Colli coltivati ad ulivo, tutto intorno; in alto le chiome larghe dei pini marittimi, che rendono meraviglioso il panorama intorno a Roma; in basso, dovunque, i rovi che lo rendono inconfondibile. La basilica di San Giovanni in Argentella, a pochi chilometri da Palombara Sabina, sopravvive nascosta dentro questo florido ambiente: i rovi la circondano tutta, e quasi appena ne esce, che non capisci se è stata da poco liberata dai cespugli che le stavano più addosso, o se gli sterpi, invece, stanno avanzando e sono prossimi a soffocarla.

Comunque, la vista della basilica avvolta in questo rigoglio di basse sterpaglie tipicamente romane – che addirittura, circondandola, la fanno sembrare piccola, mentre la sua mole è di tutto rispetto – è uno spettacolo a cui non si può rinunciare. Anzi: pochi luoghi avrai trovato accoglienti come l’angolo di mondo che si distende lungo il fianco sinistro della chiesa: sotto la parete in bella muratura, che dal campanile in facciata va fino alle absidi, e all’ombra di queste, qualcuno ha messo un tavolaccio di marmo grezzo, e panche, squassate, sotto una tettoia incerta e fatta di poche assi coperte da un rampicante; ma che meraviglia questi pochi metri dedicati all’uomo, se non a Dio, ricavati tra la chiesa e i cespugli che, da sopra un muretto, minacciano la basilica e insieme la proteggono dal mondo esterno, che senti lontanissimo… Da una bocca antica – qui tutto sembra vecchio di secoli, anche i pochi grappoli d’uva, anche il tubo utilizzato per innaffiare – zampilla un’acqua fresca e limpida, e non serve null’altro.

San Giovanni “in Argentella” – il cui nome deriva appunto dalla limpida sorgente che in passato sgorgava nella cripta e la riempiva, considerata a lungo fonte miracolosa – è una notevole basilica paleocristiana… costruita però tra XI e XII secolo, nel luogo in cui in precedenza si erano succedute altre costruzioni sacre.
Il suo interno è una lineare e vasta aula a tre navate, di una semplicità estrema, di cui appena si coglie l’asimmetria e la deformazione della pianta. Gli elementi di spoglio, in particolare le colonne e i capitelli ionici, riportano l’Argentella verso i secoli antichi; ma lo spirito – crudo, essenziale, secco, quasi scheletrico – è quello del tempo romanico, così come siamo abituati a figurarcelo. Come in molte basiliche di questo genere e di questo tempo, sotto l’abside centrale il presbiterio si rialza, e al centro troneggia un prezioso ciborio, sostenuto da colonne e capitelli in stucco, datato all’XI secolo; la navata di destra presenta, nella sua parte terminale, l’altra pregevole struttura scolpita, una “pergola” cosmatesca che porta la data del 1170. Nella navata di sinistra una particolare struttura interrompe il fermo procedere del colonnato: è quasi un soppalco, anche questo ridotto alla struttura portante, e dà accesso ad una cappella sopraelevata dedicata al culto dell’Arcangelo Michele.



Non sarà capitato solo a me di entrare nella basilica – oggi lo si può fare al sabato pomeriggio o la domenica mattina – e di essere l’unico visitatore. Allora, al piacere della scoperta per questo gioiello nascosto della Sabina, si somma il senso di smarrimento: si fa strada l’idea di trovarsi in un “grande vuoto antico”, dove la voce delle colonne e dei capitelli non ha più interlocutori, così come sembrano parlare al vuoto i pochi stralci di affreschi rimasti sulle pareti, riferibili a secoli differenti da quelli romanici.

Antica tre le chiese romaniche intorno a Roma, così appare la splendida Argentella: fuori la basilica è come sospesa, in magico equilibrio tra la conservazione orgogliosa di se stessa e la tentazione di sciogliersi dentro il rigoglio di verde, di terra e di legno che la circonda da sempre; e anche all’interno il fluire del tempo sembra congelato in un istante ambiguo, posto tra l’era dei primi cristiani e quella dei monaci benedettini che presidiarono l’Argentella nel medioevo. E il ciborio alto e bianco, sul presbiterio alzato, è come una sentinella che sorveglia il vuoto vasto della basilica, o che in questo spazio cristallino e umido si è assopita, ormai da molti e molti secoli.
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Ricca di fascino questa antica abbazia dall’impianto basilicale, di rimando arcaico, quasi paleocristiano. Superbo, nel presbiterio sopraelevato, il semplice ciborio, decorato ed ingentilito da stucchi nei sottarchi e nei capitelli stessi.
L’esterno mostra i volumi nitidi, che denunciano le tra navate interne ed il campanile svetta su di essi con la tipica scansione laziale accentuata dalle fasce marcapiano aggettanti e con motivi classici.
Anche la Sabina è un’area che non ho visitato e quindi, grato, me la segno per viaggi futuri, evidentemente necessari.
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Carla Porrati (da Fb):
Splendido esempio di romanico, quello che più mi piace dove la semplicità della struttura è arricchita dalla bellezza della decorazione dei capitelli e del ciborio. Il vero spirito dell’architettura romanica, il luogo dove la preghiera più intensa raggiungevo il cielo.
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Stupefacente la basilica, benissimo il commento
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Stefano Suozzo (da Fb):
Una volta decorata da un pavimento cosmatesco di cui non è rimasta più traccia, ahimè, a parte una piccola rota di porfido rosso a metà della navata centrale. Luogo ameno, da visitare più e più volte.
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Amalia Signoris López (da Fb):
Bellissimo. E la spiegazione molto didattica. Grazie.
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Marialaura Ponzo (da Fb):
Bellissima… visitata la scorsa estate..soprattutto una scoperta per me trovare una chiesa romanica dalle mie parti… grazie a voi, Before Chartres!
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Silvia Trevale (da Fb):
Stupenda, pur nell’abbandono dell’ambiente circostante. L’ho vista anni fa. La nostra guida cercava degli affreschi che però, come ci disse il custode, erano nell’abitazione di quest’ultimo. Peccato.
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Francesca Migneco (da Fb):
Mi sembra meraviglioso questo gusto antiquario che fa ricuperare materiali preziosi da strutture antiche.
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