Canigou? Ho un capitello da restituire

Erano perduti, e sono stati ritrovati. La vicenda dei capitelli del Canigou ricorda quella del “figliol prodigo” del Vangelo, tornato alla casa del padre dopo un lungo e faticoso periodo di lontananza. Anche ai bei rilievi del monastero di Saint-Martin è successo, infatti, di lasciare il chiostro in cui sono nati; e anche a loro, come al giovane figlio della parabola, dopo il ritorno è accaduto di essere premiati e di riavere una posizione d’onore.

Non se ne sono andati per propria scelta, i capitelli del Canigou. In un altro appunto Before Chartres racconta di come l’intero monastero sia stato a lungo abbandonato e via via nei secoli fosse diventato quasi una vasta rovina. Ecco: in quel periodo molti materiali, preziosi e non, furono asportati; le pietre vennero utilizzate dalla gente dei villaggi più a valle per tirar su muri, mentre i pezzi più belli, e tra questi i capitelli del chiostro, divennero nobile ornamento per le case e le ville di chi riuscì ad entrarne in possesso.

Quella che intenerisce è la seconda parte della storia del Canigou: racconta di un vescovo che si appassiona alle sue povere pietre consunte e si impegna a restaurarlo, e narra di come si andò in cerca dei capitelli dispersi. E se è vero quanto si racconta, tutti i villaggi vicini contribuirono alla rinascita del monastero anche restituendo, come atto di amore verso Saint-Martin, le più importanti tra le pietre portate via dalle sue rovine.

Restituiti al monastero del Canigou, i capitelli recuperati non sono tornati propriamente nel chiostro: quello che vediamo oggi, infatti, non ha colonne, e a reggere gli archi che guardano, come in ogni chiostro, verso l’interno, sono larghi pilastri senza neppure una cornice. I capitelli quindi sono stati ricollocati sotto gli archi che, nell’ala del chiostro che corre lungo il dirupo, si aprono verso l’esterno, quasi sul vuoto. Difficile dire come fosse il chiostro in origine, se avesse colonne o meno, e se già presentasse questa particolare “loggia” – peraltro simile a quella del priorato di Serrabone, non molto distante, sempre sui Pirenei francesi -. Oggi è comunque uno dei luoghi più fotografati del monastero, proprio per la presenza dei capitelli, in tutto una dozzina. Tutti si caratterizzano per un tratto primitivo, per certi aspetti duro come il materiale in cui sono scolpiti. Alcuni presentano figure geometriche e vegetali; altri disegnano strani intrecci di animali – particolarmente bello quello in cui un cane e un uomo incappucciato si affrontano in uno strano dialogo -; un altro ancora propone una processione di monaci. Il più interessante mostra figure danzanti, intervallate negli angoli da altri personaggi dall’interpretazione complessa; una delle sue quattro facce, invisibile perché addossata alla parete, è anch’essa scolpita, a riprova del fatto che non era stato concepito per il luogo in cui si trova ora.

Prova che ai capitelli che se n’erano andati via è stata data, proprio com’è accaduto al figliol prodigo tornato a casa, una collocazione nuova e comunque d’eccezione, quasi un premio dopo tante peripezie; e di certo l’attuale posizionamento è l’esito di un processo, di abbandono e di ritrovamento, di andata e di ritorno, di smembramento e di ricomposizione.

E per tutto quanto visto fin qui, i capitelli del Canigou possono essere assunti come caso esemplare. La loro vicenda infatti riassume quella dei tanti capitelli romanici che sono stati spostati, rovinati a martellate, dimenticati, riutilizzati, perduti e ritrovati, rubati, trasferiti a migliaia di chilometri di distanza, sostituiti da copie. Chi si appassiona a queste storie ne trova molte e diversissime, alcune delle quali già raccontate da Before Chartres: si pensi ai capitelli della chiesa di San Martino a Fromista, in parte originali e in parte rifatti; o a quelli della basilica di Saint-Lazare ad Autun, dove i pezzi più preziosi sono stati ricollocati nella Sala capitolare e sostituiti nella chiesa da copie, com’è accaduto a Jaca, per i notevoli capitelli che stavano sotto la “loggia” sul fianco meridionale; si ricordino poi i capitelli del chiostro perduto di Notre-Dame de la Daurade, esposti ora nel Museo degli Agostiniani di Tolosa, e quelli del chiostro francese di Cuxa, molti dei quali hanno compiuto un lungo viaggio verso gli Stati Uniti. Ancora, tra le vicende occorse ad un singolo pezzo la più appassionante è quella del “capitello del satiro” di Jaca, che è stato spostato, nascosto, censurato, dimenticato e poi ritrovato. Sorte ben più triste, infine, è toccata ai due bellissimi capitelli del portale del priorato di Serrabone: tutti ne ammiriamo la pregevolissima fattura e i tenui colori… dimenticando che siamo di fronte a copie moderne, perché gli originali sono stati rubati, e se n’è persa ogni traccia.

Non ci sono, questi pezzi notevolissimi, nel volumetto sui capitelli medievali che Before Chartres propone, finalmente “in carta”, ai suoi lettori più fedeli. E però ce ne sono altri dodici – anzi, per la verità ce ne sono altri quattordici – che hanno la pretesa di essere altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: “DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI”

3 pensieri su “Canigou? Ho un capitello da restituire

  1. Giulio Giuliani ha detto:

    Sandro Civoli (da Fb):
    Il Canigou è un posto di grande fascino, anche grazie a quella loggia di cui si parla nell’articolo. La salita a piedi non è uno scherzo ma invito tutti gli appassionati ad andare a vedere questa meraviglia del medioevo.

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  2. Giulio Giuliani ha detto:

    Luigi Bianco (da Fb):
    Interessante la storia della restituzione dei capitelli. Chissà però con quali forzature i villaggi intorno al monastero sono stati costretti a restituire il maltolto. Credo poco a restituzioni volontarie.

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  3. Paolo Salvi ha detto:

    Il monastero di Saint-Martin-de-Canigou è uno di quei luoghi simbolici, un po’ come la nostra Sacra di San Michele in val di Susa o San Pietro al Monte presso Civate, arroccati sui monti e raggiungibili dopo un lungo, faticoso, percorso nei sentieri del bosco.
    Fu così per me nel 1991 quando ebbi la fortunata idea di visitare il Roussillon e i Pirenei francesi. Questa era una delle tappe principali, irrinunciabili, come i citati Saint-Michel de Cuxa e la Prieuré de Serrabone, che porto nel cuore.
    Interessante l’articolo che ricorda la perdita ed il successivo recupero dei capitelli ricollocati, presumibilmente in modo differente dalle origini, in fase di restauro.
    Tante perdite purtroppo sono state definitive e possiamo rallegrarci quando anche un singolo pezzo (qui 12 capitelli!) torna “all’ovile”.
    Ognuno di essi concorre ad aumentare il fascino di un edificio che per la sua superba collocazione già ha.

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