Nel duomo di Sovana, forse la più compiutamente romanica tra le chiese del Bel Paese, si può leggere, osservandone le pareti, una regola non scritta dell’architettura romanica. A rivelarla sono i capitelli scolpiti – anzi, meglio: i capitelli che mancano! – nei pilastri compositi che fiancheggiano la navata.
In un altro breve appunto, intitolato Scultura che salva, in posizione chiave, Before Chartres ha già sottolineato come nella chiesa romanica i capitelli assolvano ad un ruolo fondamentale, propriamente salvifico. Innanzitutto salvano l’uomo che li osserva, si diceva, perché lo istruiscono sul progetto divino di salvezza: traducendo in immagini l’insegnamento di Gesù e l’opera della Chiesa e dei suoi santi, i capitelli istoriati sono una vera e propria mappa verso il tesoro della salvezza eterna. Ma poi – e insieme – i capitelli salvano perché uniscono l’uomo a Dio: posti là dove la linea retta della colonna si incontra con la linea curva dell’arco e della volta, i capitelli sono l’anello di congiunzione tra il quadrato e il cerchio, tra la terra e il cielo, tra l’umano e il soprannaturale, tra me che imparo e Lui che mi giudica.
Si evidenziava come non pochi capitelli delle chiese romaniche stanno molto in alto, quasi non visibili dai fedeli che camminano nella navata; e questo collocazione priva di senso, si diceva, si giustifica invece proprio per questa esigenza dei costruttori romanici di marcare e di evidenziare con un capitello scolpito proprio il punto cruciale e magico in cui alla parete si unisce la volta, alla linea diritta quella curva… e poco importa se i fedeli non riusciranno a vedere, perché Qualcun altro invece osserva e approva.

I pilastri del Duomo di Sovana
Sovana, con i suoi pilastri e i suoi capitelli, conferma questa legge, e permette di vederne un’ulteriore sfaccettatura, grazie ad un’assenza, grazie ad un vuoto… pieno di significato. Guardate infatti i suoi capitelli complessi: le figure corrono tutto intorno al punto in cui il pilastro si incrocia con l’arco ma… si interrompono, spariscono, sono assenti, sul lato del pilastro che guarda verso la navata. E’ solo facendo memoria della funzione salvifica dei capitelli romanici, riassunta più sopra, che si può comprendere come mai il rilievo si interrompe proprio là, proprio sul lato che sarebbe il più in vista. La ragione è quella già enunciata: nel tempo romanico un capitello ha il compito specifico di unire una linea ad un arco; e questo, sui pilastri di Sovana accade su tre lati – verso la navatella, verso la colonna precedente, verso la colonna successiva – e non sul quarto, quello verso la navata. Su questo quarto lato, infatti, la parete si incurva sì, ma più su, là dove si imposta la volta: ed infatti guardando un po’ più in alto, troveremo l’ultimo quarto del capitello, salito a posizionarsi al proprio posto, per assolvere anch’esso la funzione di congiunzione tra linea e curva, tra umano e divino.

Vezelay, i pilastri della navata: quello verso la navata è salito fino all’attacco della volta

La navata di Autun
Si tratta di una questione puramente simbolica? No, certamente. Ma anche dal punto di vista strutturale il posizionamento dei capitelli nell’architettura romanica risponde alla stessa regola chiara: poiché sono un punto di snodo, una congiunzione portante tra un sostegno ed un arco, tra un sostegno ed una volta, i capitelli “cercano” la volta stessa, la inseguono, vanno a raggiungere il punto in cui si innestano e si incurvano i costoloni… Insomma: non stanno certo a far nulla in un punto in cui a semicolonna o la parasta prosegue verso l’alto. Un capitello, insomma, è un punto di appoggio per un peso nuovo, per una struttura che grava e si aggiunge, non una cornice decorativa.
Accade solo a Sovana, che i capitelli verso la navata salgono verso l’alto? No, certo che no. In molte chiese dai capitelli bellissimi è evidente l’assenza dei capitelli stessi proprio su quella faccia dei pilastri che guarda verso il centro della chiesa: a Fromista e a Vézelay, per fare due esempi di prim’ordine, troviamo, sopra i pilastri, numerosissimi capitelli, posti in ogni punto in cui si innesta una volta, anche sulle pareti esterne della navatella; ma a questa altezza non ce n’è nemmeno uno rivolto verso la navata. Esistono chiese in cui questa “regola” non viene applicata – Sant’Ambrogio a Milano, per fare un esempio – ma in molte chiese dai capitelli bellissimi accade, proprio come a Sovana, che i pilastri tra navata e navatella terminino come in un trifoglio, e cioè con un capitello verso la navatella, uno per ogni lato verso la colonna successiva e la precedente, e con un “vuoto” invece verso la navata principale; e quel “vuoto” è stato lasciato dal capitello che è salito su su in alto fino all’attacco della volta che copre la parte centrale della chiesa.

Saint-Andoche a Saulieu
Sono cocciuti, i capitelli romanici, e lo sono in particolare quelli… verso la navata. I quali puntano al loro cielo. E se a Sovana per trovare la volta hanno dovuto arrampicarsi di poco più di un metro, ad Autun, come a Saulieu, sono saliti assai, fino a superare il falso matroneo e le finestre alte, fino a finire quasi fuori dalla portata dello sguardo dei fedeli. Ma questo, si diceva, poco importa a chi sente di svolgere un ruolo decisivo, cruciale, salvifico, e sa di essere molto di più che una pietra scolpita.
P.S.: Chi fosse interessato a capire perché mai il duomo di Sovana, nel Grossetano, può definirsi secondo Before Chartres, la più compiutamente romanica tra le chiese del Bel Paese, può leggere questo altro articolo: dice un po’ di più di questa bellissima chiesa e anche della sua particolarissima “romanicità”.
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Angela La Gilda (da Fb):
Grazie… veramente molto interessante.
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Fabio Lambri (da Fb):
Complimenti per la descrizione.
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Nella cultura indiana siamo vicini a questi concetti. Nel senso che anche le sculture nascoste alla vista dei fedeli, sono complete anche nei particolari. Rigore religioso, Valore simbolico, serietà professionale, nessun bisogno di finire in fretta, sono molte le variabili che hanno dettato questi comportamenti, per i quali, se sali con una scala, anche nei minimi anfratti sulla sommità dei templi trovi una enormità di particolari normalmente invisibili.
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Giovanni M. Seregni (da Fb):
Perché dovrebbero esserci dei capitelli laddove non fanno da piede a un arco? chiaro che non ci siano dove sarebbero solo interruzione di un pilastro. In foto, dove si vorrebbe supporre che mancasse, ci sono correttamente quelli laterali sugli archi, verso la navata no, non è mica un giunto intermedio del pilastro, il capitello.
Si può supporre di tutto a livello di simbolo, cito l’articolo (la ricchezza figurativa dei capitelli collocati in alto, anche posti fuori dalla vista dei fedeli, conferma e rafforza l’ipotesi che ad essi, tra il terreno e il divino, sia attribuito un valore evocativo ancor prima che decorativo, e quasi magico) ma il capitello, che è monoblocco, ha una funzione precisa di ripartizione dei carichi su una piattaforma affidabile, che è data dalla sua conformazione compatta, che costituisce come una piccola nuova fondazione. Dunque, venendo alla volta superiore, non mi meraviglio che erigendo una volta impegnativa la si sia voluta appoggiare a una serie di capitelli. Non c’è di mezzo un fatto decorativo o simbolico, alla base c’è il voler porre un elemento di distribuzione sulla parte sottostante che potrebbe essere più slegata. Così come inserendo putrelle in un muro si pone uno spezzone di putrella di appoggio e non si appoggia la putrella direttamente alla muratura, che potrebbe slegarsi sotto sforzo. Il principio del capitello è questo. Poi si può aggiungere intenzioni a piacere, però la dimostrazione che l’articolo fa usando la volta non è convincente.
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Dimentichi, Giovanni, che i capitelli romanici – non quelli gotici, non quelli classici, non quelli rinascimentali – sono “istoriati”, e portano simboli e storie e significati decisamente religiosi. Il tuo discorso – correttissimo – vale per i capitelli di ogni tempo; ma di fronte ad un architetto romanico che a venti metri di altezza pone una serie di capitelli che raffigurano simbologie scolpite o addirittura vicende bibliche o cristologiche, qualche domanda è necessario affrontarla.
In più, ripeto, in molti tempi e in molte chiese la regola che per te è ovvia non è affatto rispettata: quindi non è per nulla scontata. E se a Vézelay ci sono cento capitelli, eppure mancano proprio nei punti in cui potrebbero essere più visibili (l’affaccio del pilastro sulla navata), allora qualche domanda è necessario affrontarla.
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Maurizio Tobanelli (da Fb):
È un interessantissima chiave di lettura!
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