Il racconto delle “tentazioni di Gesù”, di come cioè il diavolo tre volte insidiò il Cristo nel deserto, ricorre più volte nell’arte medievale. Per la sua strutturazione complessa – tre volte, in tre luoghi differenti e in tre modi diversi Satana si rivolge a Gesù per metterlo in difficoltà – costituisce una sfida per l’artista dei secoli di Mezzo; sfida di fronte alla quale c’è chi si arrende, osiamo dire “alla maniera bizantina”, e c’è invece chi si ribella e insegue un nuovo modo di rappresentazione. E questo nuovo modo è decisamente romanico.
Nella basilica di San Marco, riempita di mosaici splendidi molti dei quali risalenti al secolo XII, un vasto pannello offre l’esempio più bello e potente della prima modalità di rappresentazione, che guarda alla lezione di Bisanzio. Il triplice dialogo è narrato attraverso la triplice ripetizione della stessa scena, appena mutati alcuni elementi, giusto quelli necessari a distinguere una tentazione dall’altra.

Il mosaicista di San Marco lavora seguendo l’ordine delle tre tentazioni secondo il testo di Matteo. Nella prima scena il Maestro è nel deserto, e ha fame: il tentatore – scrive l’evangelista – allora gli si accosta e gli dice: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane”; e il mosaicista lo rappresenta con una grande cesta piena di pietre, mentre si sente rispondere quel famoso “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Nella seconda scena il Maestro è in piedi sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme, dove il demonio lo ha condotto e dove viene sfidato a tentare l’Onnipotente: “Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede”. Nella terza scena muta solo il luogo su cui si colloca la figura di Gesù, che ora è un pinnacolo di pietra, la cima di una montagna: “Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai”; per il resto, la figura del Cristo e quella del diavolo sono pressoché identiche. Chiudono la narrazione le figure degli angeli che, superate le tentazioni, servono Gesù, mentre Satana se ne vola via scornato.
Questo racconto – sia concesso di dirlo con una sintesi estrema – è tipicamente bizantino: non si preoccupa di movimentare o mutare le scene, e si contenta di tradurre in immagini il succedersi degli avvenimenti, ripetendo figure che sono evidentemente un cliché, e che come cliché e come icone il mosaicista trova giusto e doveroso riproporre. In questa modalità di rappresentazione – possiamo dirlo? – c’è ben poco di romanico.
Ma in che modo lo spirito romanico, occidentale, ha potuto inserire se stesso nella rappresentazione di questo episodio complesso? Detto in altre parole, come sono organizzate le rappresentazioni delle “tentazioni di Gesù” più coerenti con lo spirito romanico, o più permeate da questo spirito? Il primo evidente passaggio è quello di certe rappresentazioni scolpite nei capitelli, alcune delle quali anche molto note. In esse, lo scultore “romanico” separa le tre fasi dell’episodio – esemplari sono i capitelli “delle tentazioni di Gesù” delle chiese di Autun, di Saulieu, di Chauvigny – e rappresenta di volta in volta una delle tentazioni. Non è un passaggio banale: intanto si evidenzia un rifiuto, il rifiuto cioè della rappresentazione triplice, ripetuta, per cliché; e in secondo luogo risulta chiaro che l’artista “romanico” cerca, separando gli episodi e rappresentandone uno solo (o uno per volta) di dare a quell’episodio la carica affabulatoria, il potere evocativo, la potenza che possono sprigionare dal mettere faccia a faccia, ma una volta sola, il Signore e il suo grande Nemico.
Però la più profondamente romanica, tra le rappresentazioni medievali delle tentazioni di Gesù, è quella che a Compostela si intravvede non senza fatica nella “Puerta de las Platerìas”. E’ là che un artista del XII secolo ha rappresentato, tutti insieme e nella stessa scena, i tre momenti delle tentazioni, e insieme ad essi anche le altre presenze accessorie.

Il rilievo concentra nello spazio di un semicerchio una congerie di personaggi e suggestioni organica e densa di significati. Il Cristo è in piedi, il capo chino, quasi sofferente; tra le mani ha il rotolo (come a San Marco) che rappresenta il riferimento ai testi, sulla base dei quali pronuncia le sue risposte al demonio. Di fronte lo sfidano due diavoli – ce n’era un terzo, più in basso, un quella parte di pietra spezzata che però conserva il profilo di una testa e di un’ala? – che sono il simbolo delle differenti e successive tentazioni; dietro di lui, ma anche davanti al suo volto, due angeli già lo onorano con i turiboli; così l’azione concentra e fonde in un’unica scena i diversi momenti del racconto, tutti insieme rappresentati, tutti connessi, l’uno a reggere l’altro, come insegna lo spirito romanico. Tra i demoni e il Cristo, infine, sta un albero, lungo cui si muove un serpente; e con questo elemento il gusto evocativo del romanico affianca alle tentazioni a cui Gesù si sottrae il richiamo ad un altra grande tentazione, quella dell’Eden, a cui invece Adamo ed Eva non seppero resistere.
C’è un abisso tra la lineare e ripetitiva narrazione di San Marco e quella appassionata e circolare della “Puerta de las Platerias”: davvero il soffio del romanico, là dove ha spirato con forza, ha portato molto di nuovo, rendendo fertile e fecondo un mondo artistico e sociale che nel passaggio dalla classicità al medioevo sembrava essersi irrigidito e impoverito, e invece si preparava ad una nuova grande stagione di vitalità e speranza.
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Franco Soave (da Fb):
Non c’è dubbio che l’arte del medioevo è più movimentata di quella bizantina. Ma i mosaici di San Marco a Venezia restano uno dei cicli più belli del periodo.
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Come sempre molto interessanti questi paralleli su un tema specifico, come quello delle Tentazioni di Cristo. Gli esempi proposti sono tutti molto affascinanti.
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Convincente ed esemplare dimostrazione delle differenze tra la concezione bizantina e quella occidentale nell’analisi dell’insieme e dei dettagli. Grazie
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