Oggi stanno in un museo, le “metope” di Modena; eppure un tempo queste otto pietre misteriose erano poste ai confini delle terre abitate dagli uomini. Come cippi, come presìdi di fronte al nulla, le otto lastre scolpite stavano negli otto punti cruciali lungo il perimetro del mondo conosciuto.
Modena, Museo lapidario del Duomo: alle scolaresche in gita e ai visitatori, le “metope” presentano otto figure dall’altissima qualità. C’è l’acrobata dai lunghi capelli, uscito come da un libro di Salgari, che pare sospeso in un balzo; c’è una sirena con la doppia coda, figurazione diffusissima nel medioevo romanico, ma con le pinne che si trasformano in piedi appena accennati; ci sono gli “antipodi”, due figure poste – anche questo tema è spesso affrontato degli scultori medievali – accovacciate ma… l’una al contrario dell’altra, come una sorta di Yin e Yang; e ancora torna, su una metopa particolarmente rovinata, la rappresentazione consueta dell’ermafrodito, con il seno di una donna e i genitali del maschio; rara, invece, quasi un hapax nel romanico, è la figura della fanciulla con il terzo braccio che sbuca da dietro la schiena…
Gli studiosi concordano: le otto metope – anche quella con l’ittiofago, il mostro con una sola zampa equina che si ciba di pesce, e anche quella del fanciullo con il drago, che sarebbe uno “psillo”, cioè un essere immune da morso dei serpenti – presentano ciascuna un tipo umano speciale, un monstruum, una di quelle popolazioni che il tempo romanico collocava nelle terre non conosciute. I rilievi modenesi, così, non sono il frutto di un semplice divertimento, e formano invece insieme un vero e proprio catalogo coerente di creature fantastiche – ma non fantasiose! – della cui esistenza il medioevo è certo, anche se a corto di informazioni verificate.







Per due altri motivi, oltre che per gli stessi soggetti illustrati, possiamo affermare che le otto metope di Modena sono nate come segni posti ai confini del mondo, in faccia all’ignoto. Il primo motivo è il gusto “esotico” con cui sono state incise nella pietra: realizzate nei primi decenni del XII secolo da un allievo – e che allievo! – di quel Wiligelmo che ebbe gloria e onori come massimo scultore nel cantiere della cattedrale di Modena, le otto figure mostrano, rispetto alla grafica del Maestro, ben altra ispirazione. Profumano d’oriente, e di Grecia classica, magari conosciuta attraverso il filtro borgognone o per chissà quali altre vie.
Ma l’altra ragione che fa di queste grandi lastre delle vere e proprie pietre di confine è la loro collocazione originaria. Stavano infatti sopra il tetto della cattedrale, quattro a nord e quattro a sud, appoggiate ai montanti esterni di quei muri che, come moderni frangifuoco, tagliano il tetto stesso della navata in corrispondenza dei costoloni di sostegno interni. Stavano cioè lungo il perimetro ideale della cattedrale stessa, al confine tra la chiesa e il cielo, ma anche al confine tra essa e il mondo; e così, mentre la cattedrale rappresentava lo spazio dell’uomo, le metope esotiche ne marcavano il bordo, la linea di separazione tra l’umano e ciò che di sconosciuto – seppure intuito – doveva esistere al di fuori del mondo noto.

Stavano, le nostre otto metope scolpite di figure fantastiche, come certe figure di mostri stanno nelle mappe medievali: tutto intorno, sopra il mare che circonda le terre emerse, a dire anch’esse che c’è altro al di là dell’acqua, ed ha forme strane. Un parallelo ulteriore è inevitabile, per Before Chartres, ed è quello con il soffitto della chiesetta svizzera di Zillis: anche là, tutte le raffigurazioni contenute nel grande rettangolo ligneo raccontano la storia dell’uomo e della sua salvezza; tranne quelle sul bordo, tranne le 48 formelle che costituiscono il perimetro, fitte di scene marine e di animali fantastici, a ricordare quanto il mare circonda la terra, con il suo mistero, e quanto il cielo sovrasta il nostro mondo, con vie e pensieri a noi non noti e non comprensibili.
Ancora più pieno di fascino si mostra, letto dentro questo contesto, il più bello tra gli otto rilievi modenesi. La chiamano metopa “della grande fanciulla”, e mostra l’appassionante figura di una giovane come addormentata sull’arenile, un braccio forse legato dietro la schiena, l’altro a cercare la voluta floreale che completa la scena: si dice rappresenti la leggendaria fanciulla che sarebbe stata rinvenuta su una spiaggia europea, legata e ferita a morte al capo, avvolta in un mantello di un rosso cupo come la sua fine. Ancora un messaggio dal mondo ignoto; ancora un incrocio, inspiegato, tra universi, che ha un volto leggiadro, ma pieno di interrogativi e paure.

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Non solo Modena e la sua cattedrale: nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.
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Michele Arcangelo Sarti (da Fb):
Che bravi! Ottima esposizione.
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Interessante. Non le conoscevo proprio, come non conoscevo il Museo Lapidario. Ne terrò conto la prossima volta che torno a Modena.
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Molto interessante. Non conoscevo l’esistenza di queste metope originali e nemmeno che fossero in un Museo Lapidario. Ne terrò conto la prossima vota che torno a Modena.
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Elisabetta Brunello Covi (da Fb):
Grazie, davvero interessantissimo.
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Aldo Valentini (da Fb):
Bellissimo, istruttivo articolo, interessante non sapevo di queste metope che veramente ricordano il mondo greco e in ceri casi addirittura persiano! Ricordo bene la tesi degli esseri viventi (mostri) considerati esistenti ai confini della terra! Superlativo il confronto con Zillis (riletto il post!). Post magico.
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