I Duchi su, nei matronei di Sant’Eufemia

Monumento tra i più affascinanti, nell’affascinante cuore antico di Spoleto, la chiesa di Sant’Eufemia ha radici ad altissimo tasso di nobiltà: la “corte” in cui sorge, infatti, fu nel medioevo la sede dei palazzi del Vescovo; e ancor prima, quegli stessi edifici costituirono il recinto concluso di un monastero, fondato nel VII secolo e già dedicato a Sant’Eufemia; ma a sua volta anche questo insediamento religioso si era costituito su quel nucleo di edifici e strutture che avevano scelto per la loro residenza urbana, già molto tempo prima, i Duchi della Spoleto longobarda.

La chiesa nella “corte”

Al visitatore che si affacci alla chiesa dal piccolo nartece interno, il sangue nobile e il lignaggio secolare di Sant’Eufemia si mostrano immediatamente e con forza. Un passo nella navata, e si respira intenso il profumo di tempi lontani e stratificati. La linfa antica sale nella chiesa direttamente dal terreno in cui sorge, con la sua storia di nobiltà successive; in più, certamente la Sant’Eufemia romanica dialoga ancora nel silenzio con le chiese precedenti che in quello stesso sedime furono edificate in successione: dialoga con la chiesa palatina di cui i Duchi longobardi non si privarono certo; e poi la chiesa del monastero, voluti, questo e quella, da quel Teodolapio che la leggenda tramanda come fondatore del cenobio, nella prima metà del VII secolo; e ancora Sant’Eufemia dialoga con la chiesa che volle la badessa Gunderata, la quale di nuovo, regnante Ottone II, e quindi alla vigilia del Mille, ricostruì il monastero e la chiesa dalle fondamenta. Fu infine verso la metà del XII secolo che i Vescovi di Spoleto si insediarono nell’area: traslocarono qui, probabilmente, quando il cantiere per l’ampliamento della chiesa cattedrale, non molto distante, occupò la loro sede originaria, e li costrinse a cercare un’altra sistemazione sufficientemente vicina e adeguata alla bisogna; ricostruendo i propri palazzi su quello che restava del monastero (che nel frattempo non aveva goduto di buona fortuna) ne riedificarono, in forme nuove, anche la chiesa, e ci regalarono la “nostra” Sant’Eufemia.

L’interno (foto: Silvio Sorcini, iluoghidelsilenzio.it)

Come spesso accade per un monumento romanico, mentre i secoli antichi costituiscono le fondamenta su cui ergersi, i secoli successivi al medioevo portano invece rifacimenti che finiscono per stravolgerne il volto originario; a noi succede però di poter ammirare Sant’Eufemia come fu immaginata dai costruttori romanici, grazie all’intervento che all’inizio del Novecento l’ha restituita alle sue origini, eliminando gli intonaci posteriori, le tamponature e finanche la volta aggiunta a mezz’altezza, grazie alla quale si era deciso di dividerla letteralmente in due piani, adibendo al culto la metà inferiore della navata e le navatelle, ed utilizzando con funzioni diverse la metà superiore dell’aula e i vasti matronei.

I matronei

La Sant’Eufemia romanica, che oggi noi possiamo ammirare ricondotta al suo pieno splendore, ha una struttura – lo dice già uno sguardo alla pianta – che ci riporta ai più compiuti modelli d’Oltralpe del XII secolo. L’impianto è chiaro, e si direbbe pienamente rispettoso delle regole strutturali del romanico compiuto: una navata centrale divisa in quattro campate, l’ultima delle quali costituisce il presbiterio, va a concludersi nel catino dell’abside; alla navata maggiore si accompagnano ai lati due navatelle anch’esse concluse da un’absidiola; e ad ogni campata a crociera della navata centrale corrispondono, grazie al sistema dei sostegni “alternati”, due campate minori, sempre coperte a crociera, nelle navatelle; sopra a queste ultime, corrono i due matronei, coerentemente divisi in campate e coperti anche questi da crociere. Fossimo in Francia, non ci stupiremmo affatto. Ma siamo in quell’Italia medievale che ben di rado, anche nel tempo romanico, ha voluto coprire le proprie chiese in pietra; sorprende in particolare la presenza dei matronei, che in Umbria si trovano solamente qui in Sant’Eufemia.

Proprio ai matronei va dedicato un ultimo sguardo. Perché con la loro presenza riempiono di suggestione questo magnifico interno; perché con le loro ampie aperture, che addirittura replicano quelle delle grande arcate del piano terra, si rendono inconfondibili tra i tanti matronei del romanico europeo. Perché infine richiamano di nuovo gli “antenati” nobili di Sant’Eufemia, se è vero che sono stati ispirati alla cappella di palazzo dei Duchi longobardi: sono quindi vasti spazi “alti”, ispirati ai vasti spazi “alti” e nobili che aveva la cappella palatina, come spiega Adriano Prandi, secondo cui “le maestranza che ricostruirono l’edificio nel secolo XII non avrebbero fatto altro che ripetere lo schema della chiesa altomedievale”. C’è il profumo di tempi lontani, come si diceva, nella navata di Sant’Eufemia; ma lo si respira anche più su, negli spettacolari matronei, dove potente è la suggestione del rincorrersi della pietra e del vuoto, del chiaro e dell’oscuro.

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7 pensieri su “I Duchi su, nei matronei di Sant’Eufemia

  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Tra le tante e meravigliose chiese romaniche di Spoleto, addirittura una dozzina quelle giunte intatte ai giorni nostri, Sant’Eufemia occupa un posto preminente nel mio personale sentire.
    I suoi volumi nitidi, lo sviluppo lineare delle pareti, scevre di decorazioni, i bei matronei, lo slancio delle absidi come si vedono dal basso della scalinata che conduce al duomo, la rendono uno dei più pregevoli gioielli architettonici dell’Umbria.
    Forte è il legame sia nella planimetria che nell’alzato con la veronese San Lorenzo, quasi una chiesa gemella, non fosse per l’uso alternato del cotto con la pietra bianca in quel di Verona, mentre qui le murature sono tutte candide. Tutto ciò porta a pensare che vi avessero lavorato le medesime maestranze o, comunque, dello stesso milieu.

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  2. Aldo Valentini (da Fb):
    Devo tornare a Spoleto, città cosi ricca di edifici medievali, a partire dalle mura. Sant’Eufemia mi è rimasta nel cuore, sia per la facciata semplice ma armoniosa e per le sue absidi “lombarde” ma come ben dici a colpire è l’interno con i suoi matronei, unici veramente!

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