Il corpo mortale di una nobildonna riposa nel ricco sepolcro romanico dentro la chiesa di Santa María Magdalena, a Zamora. Il monumento funebre è anonimo – secondo molti vi è sepolta la regina Urraca de León, prima moglie di Fernando II – ed è anche decisamente inusuale, o comunque in anticipo sui tempi: è il medioevo gotico a far sfoggio di simili sepolture in forma architettonica, quali ad esempio le arche dei Della Scala a Verona; ma nel tempo romanico raramente si è giunti a tanto sfarzo e ad una strutturazione così complessa.
Perfettamente romanica, però, è la rappresentazione che va in scena intorno alle spoglie della nobildonna di Zamora. Sotto al baldacchino, infatti, il piano terreno è quello della morte, con il sepolcro vero e proprio e con la rappresentazione di un corpo femminile disteso e composto come si conviene ad una salma. Appena più su, ecco evocato, in bassorilievo, l’elevarsi dell’anima dal corpo: due angeli la innalzano, scolpita come una piccola figura orante, accolta in un lenzuolo; altri due angeli, ai lati, assistono alla scena spargendo incenso. In questo secondo livello viene così rappresentato in modo chiarissimo il concretizzarsi dell’ambizione di ogni cristiano: di non spegnersi come polvere nella nuda terra o nel sepolcro di pietra, e di salire invece verso la gloria dei beati nel cielo.
A ben guardare, due ulteriori livelli sovrastano quello del corpo morto e quello, successivo, dell’ascensione dell’anima. Tutta la copertura, infatti, è scolpita come fosse una città – e ci torneremo -. Poco più sotto, invece, all’altezza dei capitelli, il monumento si anima di una serie sorprendente di figure fantastiche e inquietanti. Il sito La frontera del Duero, nella ricca pagina dedicata alla chiesa, descrive così questo bestiario mostruoso:
Nel capitello dell’angolo nord-occidentale si vedono due uccelli dal piumaggio curato che alzano la testa per beccare i frutti che spuntano nella parte superiore del tamburo. Il capitello del vertice sud-occidentale mostra due arpie, una femmina e l’altra maschio, con le ali aperte all’indietro fino a far toccare tra loro le punte e con le code intrecciate; entrambe le arpie indossano copricapi. Nel capitello centrale sul fronte sono rappresentate quattro arpie, una per ogni lato del capitello, con le ali ripiegate sul corpo; la coda di ciascuna arpia si unisce a quella dell’arpia alle sue spalle. Nel capitello anteriore all’estremità orientale si possono vedere due animali chimerici con teste feline, corpi piumati, di uccello, con ali ripiegate, con artigli lunghi e affilati: le loro code sono intrecciate e il loro collo si attorciglia unendo l’uno con l’altro. L’ultimo capitello, quella nell’angolo nord-est, mostra un animale mostruoso con doppio collo e doppia testa che emergono dal corpo di un uccello; duplicata è anche la parte inferiore del corpo e le estremità inferiori somigliano a zoccoli.
Su questi cinque capitelli posa la copertura del monumento, in forma di città murata e turrita: ma di nuovo, sotto gli archi che l’artista ricava tra torri e mura, si affrontano altri animali fantastici: “Nei rilievi frontali – spiega il sito La frontera del Duero – si notano a sinistra due draghi che uniscono il collo al centro, hanno le ali ripiegate e le cui code finiscono per trasformarsi in steli foliati; a destra due arpie che intrecciano anch’esse il collo, indossano cappucci, hanno le ali ripiegate all’indietro e sfoggiano code di vistose piume”.
Nei quattro piani sovrapposti del monumento funebre, e nei quattro livelli in cui si articola la sua narrazione, abbiamo allora il piano della terra e della morte, e poi quello dell’anima che si eleva; essa ambisce a raggiungere il piano più alto, il quarto, quello della città turrita che non è altro che il Paradiso dei beati, spessissimo rappresentato proprio in forma di città. Ma prima di salire alla case dei santi, l’anima deve attraversare il terzo livello – quasi un “regno di mezzo” – che è presidiato, nei capitelli e negli archi, dalle figure mostruose di strani volatili, di draghi ed arpie, di leoni e chimere.
Non si contenta, lo scultore romanico – siamo con questi rilievi alla fine del XII secolo – di dare gloria ad una nobildonna di stirpe reale. Non è il suo compito celebrarne l’esistenza, la grazia, la ricchezza. Sa bene, e ce lo ricorda, che la fine della vita terrena è l’inizio di un nuovo viaggio – l’unico che conta davvero – che non è facile, e il cui esito non è né noto, né scontato. Lasciato il corpo, l’anima, così come ha fatto durante la vita, per la sua propria natura guarda al cielo e alla beatitudine eterna; ha incontrato e incontrerà, però, gli ostacoli di sempre: vizi che avvolgono e si mescolano, passioni che distolgono del perseguire il bene, devianze che, proprio come bestie mostruose, ostacolano il cammino e l’ascesa. Si contrappongono agli angeli, queste figure spaventose, questi artigli e fauci e code di serpente; e quasi quanto gli angeli valgono nel determinare il destino del defunto: il loro scopo finale è proprio la perdizione dell’anima, e le si parano dinnanzi, in vita e in morte, perché le sia reso quanto più possibile arduo e faticoso giungere infine alle dimore sicure del cielo.
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Franco Salemi (da Fb):
La Spagna è una regione molto ricca di arte romanica. Zamora è da vedere sicuramente, ma anche la vicina Toro e anche tutta la Castiglia. Poi più a nord c’è il cammino di Santiago de Compostela che è proprio una spettacolare raccolta di tesori romanici.
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Un vero capolavoro della scultura romanica, particolarmente originale proprio perché questi sepolcri sono piuttosto frequenti in epoca gotica e non ne ricordo di simili antecedenti il XIII secolo.
Le arcate trilobate del monumento fanno già presagire l’arte che verrà, ma erano già abbastanza diffuse in Spagna e Francia (portale di Saint-Michel-d’Aiguilhe un caso eclatante e superbo a me caro).
La Castiglia ed il Leon sono regioni ricchissime di pregevoli monumenti romanici.
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