Dodici apostoli arcigni a Caramanico

Sembrano tutti uguali, gli apostoli di Caramanico, schierati in sei per parte, intorno al Signore in trono, sull’architrave della chiesa di San Tommaso; due di loro, però, non stanno sull’attenti come gli altri. Hanno il volto segnato da un’espressione arcigna, tutti e dodici, per via della piega verso il basso che lo scultore ha voluto dare ad ognuna delle bocche; due di loro, però, pare stiano addirittura litigando.

Osserviamo meglio queste figure, una delle più belle figurazioni scultoree dell’Abruzzo romanico – “il più significativo esempio di rappresentazione della figura umana documentata agli inizi del XIII secolo”, secondo il Moretti – e proviamo ad identificare, là dove si può, i dodici personaggi, per arrivare a capire chi sono – e chi sono davvero! – i due apostoli che sembrano confrontarsi in modo acceso.

Andrea, Pietro e Giovanni con il Maestro

I nomi scolpiti sotto ciascuno degli Apostoli, come spesso accade, non sono di facile lettura, e così un poco ci aiutano gli attributi che, già nel tempo romanico, vennero associati dagli artisti a ciascuno dei Dodici. Possiamo innanzitutto identificare, per questa via, il buon Pietro che, con le sue chiavi in bella vista sul petto, è il quinto da sinistra. L’apostolo che sta alla destra di Pietro, è il fratello, Andrea: stavolta è l’iscrizione – “S. ANDRE” – piuttosto chiara, ad aiutarci nell’identificazione. Un passo ancora e diamo un nome ai due apostoli che stanno più vicini al Cristo in trono: alla sinistra del Salvatore ci pare di poter identificare, anche qui grazie all’iscrizione – leggiamo un “S. JACO” -, l’apostolo Giacomo, rappresentato senza barba; e poiché per tradizione l’apostolo imberbe, il più giovane, dovrebbe essere Giovanni, allora giocoforza riconosciamo l’apostolo “che Gesù amava” nella figura scolpita alla sinistra del Cristo.
Torniamo nel gruppo di destra, e dopo Giacomo, alla sua destra, incontriamo san Paolo, con il nome scritto sotto i piedi – “S. PAU” – e con la fronte decisamente stempiata, secondo l’iconografia correte.

L’architrave sopra il portone d’ingresso
Filippo con Tommaso e Simone

Procediamo ancora verso destra, ed ecco la coppia di apostoli di cui parlavamo, che sembrano quasi avere un diverbio. L’uno, mentre nella destra tiene un libro, come molti degli altri apostoli, protende la mano sinistra alzata verso la direzione in cui è seduto il Cristo, camminando addirittura verso il trono; l’iscrizione lo identifica come “S. SIMO”, cioè come l’apostolo Simone. L’apostolo subito a sinistra, sotto i piedi del quale sta scritto “S. FILIP”, si oppone girandosi incontro al compagno: è Filippo, quindi, che con la mano destra ne ferma l’impeto. La scena si svolge non proprio appresso a Gesù; ma è inevitabile collegare quel gesto, quella mano protesa, all’episodio del Vangelo in cui uno degli apostoli, l’incredulo Tommaso, volle toccare le ferite del Maestro risorto: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito al posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” (GV, cap. 20). Spiega il Gandolfo:

In ricordo della sua incredulità, vi si aspetterebbe di vedere attribuito quel gesto a San Tommaso, il quale invece si dispone alla sinistra di San Simone e, a differenza di tutti gli altri, tiene sollevato, al di sopra della spalla sinistra, un cartiglio ripiegato. Che il lapicida abbia equivocato, nel disporre i nomi, ingannato da un gesto che interpretava come giuridicamente adatto a distinguere quello che egli, a torto, riteneva il santo titolare?

La scena dei due apostoli “contrapposti” ci porterebbe quindi a scoprire un doppio errore dello scultore di Caramanico. Il primo errore sarebbe quello di aver invertito le iscrizioni sotto gli apostoli Simone e Tommaso; ma a questa inversione il lapicida sarebbe stato indotto da un altro equivoco: pensava infatti che tra tutti gli apostoli che stava rappresentando quello in posa più nobile dovesse essere Tommaso, poiché lo considerava il patrono della chiesa in cui stava lavorando. E però il “san Tommaso” a cui è dedicata la chiesa di Caramanico – i documenti storici lo certificano in modo chiaro – non è l’apostolo del dubbio, ma quel Thomas Becket che, vescovo di Canterbury, fu ucciso dai soldati del re d’Inghilterra mentre officiava in cattedrale.

Anche nel bell’architrave, così, resta traccia delle incertezze delle genti del tempo su chi fosse il Tommaso titolare della chiesa di Caramanico: l’assassinio del prelato inglese era fatto recentissimo – fu perpetrato nel 1170 -, ed era avvenuto in una terra lontana; la conseguente beatificazione, poi, pur proclamata negli anni subito successivi, faticò a lungo a divenire patrimonio comune. È vero che tra coloro che si spesero per diffondere il culto di Tommaso Becket, anche proprio con la dedicazione di nuove chiese, ci fu Papa Alessandro III; ma per molti in Italia, all’inizio del XIII secolo, “san Tommaso” non poteva essere altri che l’apostolo.

E se in qualche modo si può giustificare, con questi ragionamenti, la confusione tra i due santi nell’opera dello scultore dell’architrave, è ben più strano che la sovrapposizione resti ancora ai nostri giorni. E però perdura, perché gli stessi recenti cartelli turistici, a Caramanico, indicano anche ai giorni nostri la strada per la “chiesa di San Tommaso apostolo”, con buona pace del povero Becket, che proprio fatica a veder riconosciuto il suo patronato.

La facciata di San Tommaso e i tre portali

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2 pensieri su “Dodici apostoli arcigni a Caramanico

  1. Giulio Giuliani ha detto:

    Aldo Valentini (da Fb):
    Caro Giulio Giuliani, convengo in un errore del lapicida nello scambiare le scritte di Simone con Tommaso, ovviamente l’apostolo. Ma perché un bravo artista così abile nei ritratti e nei drappeggi avrebbe realizzato quelle bocche in giù esprimenti rabbia o disgusto? PROPRIO PER LA CONDANA DEL BARBARO, SACRILEGO OMICIDIO SULL’ALTARE DELL’ARCIVESCOVO THOMAS BECKETT!!! Ecco che così, pur senza essere presente THOMAS BECKETT diventa centrale, stravolgendo la normale posizione serafica o contemplativa degli apostoli (come quasi sempre Paolo al posto di Mattia sostituto di Giuda) in un atto di condanna verso gli assassini e soprattutto verso i sovrani avversi al capo religioso, che esso sia il Papa o il Vescovo (vedi San Lanfranco a Pavia).

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