Ha anche un’altra anima, l’Abruzzo romanico, piena di linee essenziali, e di grandi fiori sbocciati. È un’anima in apparenza simile a quella che si mostra a Moscufo, a Rosciolo, a San Clemente al Vomano, fatta anche questa di amboni, e fatta anche questa di decori con fiori e girali; questa seconda anima, però, è fredda e rigorosa tanto quanto la prima era calda e suadente…
Casauria, abbazia di San Clemente: la linearità della vasta navata, spoglia e possente, per certi aspetti moderna come l’hangar di un aeroporto, è nobilitata, e si accentua e risalta, grazie ai due strepitosi arredi, l’ambone e il candelabro, che giganteggiano a metà percorso. Ed eccola, l’anima fredda del romanico di Abruzzo: è fatta di spazi precisi e di linee, di rette e di circonferenze, e di pulpiti stavolta squadrati, puri, lontanissimi da quelli realizzati dall’atelier di Roberto, Ruggero e Nicodemo. L’ambone di Casauria è esemplare: i pannelli, rettangolari e verticali, si susseguono su ognuno dei lati, ciascuno con un grande fiore aperto in tutto il suo splendore, da cui salgono rami; solo al centro del lato verso la navata, al fiore aperto si sostituiscono un’aquila e un leone alato, a reggere il leggìo, richiamo consueto al Vangelo che dall’ambone viene proclamato.
Casauria, con il suo pulpito, è esemplare: questa geometria di rettangoli che contengono cerchi, questa decorazione in purezza, è il tratto distintivo dell’altra metà dell’Abruzzo romanico. Che non racconta più, come fanno gli stucchi di Rosciolo, Moscufo, Cugnoli e Vomano, il caos di un bosco abitato da gnomi e animali. Al contrario dà ordine, quest’anima fredda: traccia riquadri e cornici, prefigura il Rinascimento, quasi, e rifiuta l’horror vacui che invece è il motivo guida di tanta arte del medioevo, anche del medioevo gotico.



Abbiamo respirato quest’aria anche a San Liberatore a Maiella – là l’ambone è in gran parte ricomposto – e ancor più la respiriamo a Corfinio: nella chiesa lunga e sottile di San Pelino, il pulpito si propone, di nuovo, con una struttura di rigida linearità: quattro colonne e quattro capitelli reggono la cassa cubica, entro cui stranamente è inglobato uno dei pilastri della navata; e sulla cassa tornano i grandi fiori, questa volta, però, sbocciati su campi rettangolari lisci come specchi; al centro del lato verso la navata, un semicilindro con archeggiature sporge per far da piano d’appoggio al leggìo, ma è semplice anch’esso, tutto giocato su geometrie di linee e di cerchi. Aveva ed ha la stessa impostazione lineare, fatta addirittura quasi più di vuoti che di pieni, il pulpito della chiesa di Pianella, con i suoi Viventi persi in ampi specchi di marmo deserti…
Non solo nei pulpiti, ovviamente: i grandi fiori in marmo, e i decori comunque vegetali e comunque circolari, tornano, qui in Abruzzo, in molti portali, a partire proprio da quelli, “primitivi” e precursori, di San Liberatore a Maiella. In questi portali, gli stipiti piani si propongono come il luogo delle grandi corolle, o delle grandi volute vegetali, ripetute identiche l’una sopra l’altra, oppure dei racemi che girano in tondo e fan da corona – cinque, sei, dieci volte allo stesso modo – ad un gran fiore o ad una gran foglia. Dagli stipiti, passano sugli architravi e sugli archivolti: accade nei portali di San Pelino a Corfinio e di San Clemente al Vomano, e nelle belle finestre di Moscufo e di Bominaco. E questo modo di decorare diventa quasi un marchio dell’arte del tempo, in questa terra ricca e florida che si può permettere due splendide e diverse modalità di fare arte negli stessi decenni.
C’è un dialogo – ci chiediamo – tra quest’anima fredda e quella invece più calda e pittoresca degli amboni e dei cibori della scuola di Ruggero, di Roberto e di Nicodemo? È possibile che gli scultori dei grandi amboni in marmo bianco, fatti di fiori in regolare cadenza, stiano percorrendo la stessa strada su cui camminano già gli autori dei vivaci decori a stucco, pieni invece di frasche confuse e di animali, di omini nudi avvolti tra le felci?
Evidentemente sì: si guardi la trave di base del cassone del pulpito di Bominaco, e vi si troverà qualcosa di molto simile alle scene tipiche dei cibori e degli amboni di Rosciolo e del Vomano; e però che distanza nel risultato… E forse, proprio confrontando questa fascia a girali di Bominaco – così fredda – con quelle caldissime della scuola di Nicodemo, si può concludere che a dividere le due diverse anime della scultura decorativa romanica della regione, una calda ed una fredda, non c’è null’altro che… il marmo. A fare la differenza, infatti, non sono tanto i soggetti; e invece sono, decisamente, il materiale utilizzato e ancor più la tecnica di realizzazione: perché l’anima calda, a Rosciolo, a Moscufo e al Vomano, si fonda sulla produzione di decori a stucco, lavorati e plasmati morbidi prima che il materiale si indurisca; e l’anima fredda invece – a Casauria, a Bominaco, a Corfinio… – si trova a lavorare, a forza di scalpello, col gelido e rigido marmo, e dal marmo fa nascere i nobili esiti della propria arte.
Questione di materiali, allora, e di tecniche diversi: mentre l’anima calda trova nello stucco, e nelle sue imperfezioni, tutta la propria vitalità, irrispettosa e fluida, gli scultori – scultori! – d’Abruzzo hanno a che fare con la millenaria durezza del marmo, e con la lezione millenaria che il marmo porta con sé: lasciano a Nicodemo e ai suoi soci le sperimentazioni e la fantasia, e nella pietra dura parlano il linguaggio senza tempo, e per molti aspetti classico, della scultura vera.
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Centocinquantun pagine per raccontare l’Abruzzo, una terra fiera, in cui l’arte romanica è fiorita rigogliosa. Raccolgono e raccontano le grandi chiese e le grandi abbazie isolate, l’arte vivacissima di Ruggero, Roberto e Nicodemo, e i loro splendidi arredi pieni di girali, mostri, animali e piccoli uomini nudi, e ancora i portali e gli architravi, gli amboni e i cibori… Il viaggio nell’Abruzzo romanico, non delude mai, e così non delude il nuovissimo volumetto ITINERARI alla scoperta DEL ROMANICO IN ABRUZZO, che raccoglie gli appunti di viaggio di Before Chartres.
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La terra alta tra Milano e i Laghi è una delle culle, se non la vera culla, dell’architettura romanica. Da qui i “maestri comacini” portarono i segreti della loro laboriosa abilità costruttiva un po’ dovunque in Europa. Un itinerario in dieci tappe racconta le loro realizzazioni più preziose – da Galliano ad Almenno San Bartolomeo, da Gravedona ad Arsago Seprio a Civate – e lo spirito, i colori, i materiali, i modi e i vezzi che hanno lasciato nelle loro terre d’origine: DIECI PERLE romaniche TRA MILANO E I LAGHI.
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Nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.
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Federico Terzi (da Fb):
Molto interessante il confronto tra questa serie di pulpiti e le opere della scuola di Nicodemo da Guardiagrele, nella stessa regione. Su queste ultime questo blog ha già scritto?
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Trovi nel blog, subito dopo questo articolo, quello dedicato all’anima “calda” della decorazione romanica d’Abruzzo. Qui di seguito, per comodità, il link: https://beforechartres.blog/2023/03/25/i-tre-amboni-dabruzzo-quasi-gemelli/
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Affascinante romanico d’Abruzzo, affascinante e ricco di esempi scultorei negli amboni e nei cibori, come in questo caso a San Clemente a Casauria e negli altri esempi che citi, famosi ed amati.
Interessante il confronto tra amboni prettamente litici e quelli decorati in stucco della triade eccellente di Ruggero, Roberto e Nicodemo.
Eppure non riesco a trovarli poi così freddi questi successivi scolpiti nella pietra.
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Articolo interessante! Comunque vorrei solo sottolineare che la foto del portale è errata, poichè quell’ingresso non è della chiesa di Moscufo (Santa Maria del Lago).
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E hai visto bene, Anna: un lapsus già corretto, poiché il portale, come si dice nel testo, è quello di San Clemente al Vomano.
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Gio Mì (da Fb):
Bellissimo articolo. L’abbazia di San Clemente di Casauria, nel medioevo aveva possedimenti nei territori di Lesina (Fg). Tant’è vero che aveva costruito una sua cella monastica in mezzo al lago per la cattura, essiccazione e commercializzazione del pesce. Ancora oggi ci sono i ruderi della predetta chiesa su quello che noi lesinesi chiamiamo l’isolotto di San Clemente.
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Antonella Gotica (da Fb):
Uno più bello dell’altro … molte chiese però non sono visitabili.
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Tvllia Rita (da Fb):
Ma no dai. Io ne trovai solo una chiusa, perché il custode doveva andare in vacanza. Le altre le ho viste tutte.
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Anch’io, Antonella, mi permetto di dire che ho trovato l’Abruzzo molto accogliente, da questo punto di vista: nel mio ultimo soggiorno, la scorsa estate, con un po’ di organizzazione ho potuto entrare in tutte le chiese che ho desiderato visitare. C’è stato sempre un numero da chiamare, una persona che aveva aperto, o che è venuta ad aprire.
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Gatto Piana (da Fb):
Probabilmente dopo le innumerevoli proteste che hanno ricevuto quando le abbiamo trovate tutte chiuse. Purtroppo prima del prossimo anno non potrò tornare… sarebbe magnifico poter avere i numeri da chiamare! Grazie.
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Questi i numeri di cellulare che mi hanno consentito di entrare nelle chiese romaniche di Abruzzo non regolarmente aperte, molti dei quali sono affissi sui portali: Vomano: custode 3280276316. Ronzano: custode 3279525110. Rosciolo: custode 3665902125. Moscufo: pro loco 3398778265. Alba Fucens: custode 3406255973. Capestrano: pro loco 3476054489. Corfinio: parroco 3291838450. Cugnoli: parroco 3405080724. Da utilizzare ovviamente con cortesia e discrezione.
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Fausto Filippini (da Fb):
Comunicano una purezza e una semplicità che avvince. Come è facile raccogliersi in quelle chiese. Grazie e cari saluti a voi.
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Alphonse Du Maurier (da Fb):
Anche noi abbiamo trascorso le nostre estati post covid in Abruzzo e abbiamo visto tutte le chiese che, come ha scritto sopra Before Chartres, sono visitabili dietro una chiamata ai numeri visibili o in loco o sui portali. Quello che mi permetto di aggiungere è che la maggioranza delle persone che ci hanno aperto quelle meraviglie erano (sono) volontari e ai quali rinnoviamo ancora il nostro ringraziamento ❤
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Lucio Taraborrelli (da Fb):
Potremmo innanzitutto partire dal materiale con cui sono realizzati gli amboni di Corfinio, Bominaco, San Liberatore, San Clemente e Pianella (è questo l’ordine cronologico delle cinque opere), che non è il marmo. Chiarito questo, e chiarito che le opere sono state ricomposte e integrate nel Novecento da scalpellini locali, con ricostruzioni a volte del tutto arbitrarie (come ad esempio l’ambone di San Liberatore, ricomposto utilizzando elementi provenienti da San Pelino di Corfinio), si sarebbe potuto parlare della aniconicità dell’ambone di Corfinio, nata proprio come reazione all’esagerata iconicità degli amboni di Nicodemo, al fatto che questo precede sicuramente l’ambone di Bominaco, l’unico datato dei cinque, e che gli altri tre rimontano, per una serie di riscontri figurativi, a dopo il 1180; inoltre che l’ambone di Casauria raccoglie in sé, elevandole alla massima espressione, le esperienze dei tre precedenti cantieri, e che l’ambone di Pianella aveva assorbito gli esiti dell’arte espressa dalle maestranze che avevano operato nel cantiere di Casauria.
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Grazie, Lucio. Molto interessante, in particolare, il collegamento dei “nuovi pulpiti” con gli arredi liturgici di Nicodemo – e ancor prima, di Ruggero e Roberto – in termini di reazione all’esagerata profusione di immagini.
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Lucio Taraborrelli (da Fb):
E’ interessante il dibattito che c’è stato in passato riguardo la primogenitura tra l’ambone di Corfinio e quello di Bominaco, che vedeva schierati chi per l’uno e chi per l’altro. Ma la committenza del vescovo valvense Oderisio da Raiano e il fatto che l’abbazia di Santa Maria Assunta di Bominaco dipendeva direttamente dalla diocesi di Valva (e dunque difficilmente il suo ambone può aver anticipato quello della sua cattedrale), portano a considerare l’ambone di Corfinio il primo delle serie. Oderisio fu vescovo dal 1168 e dunque l’opera deve datarsi a pochi anni dopo l’ultima opera oggi documentata di Nicodemo (1166). L’ambone di San Pelino, in cui sono completamente assenti figurazioni umane e animali, nacque forse proprio come precisa contrapposizione alla Scuola di Ruggero, Roberto e Nicodemo. Nell’ambone di Bominaco compaiono alcune timide piccole figure agli angoli degli architravi, figure che torneranno più eclatanti a San Liberatore, a Casauria, a Pianella, a Prata d’Ansidonia e a Corcumello. Una sequenza affascinante.
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…affascinante, e forse più difficile da apprezzare, per noi nutriti di un medioevo un po’ fantasy, in confronto alle figurazioni a stucco, così fantasiose e vive, di Nicodemo…
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Lucio Taraborrelli (da Fb):
Beh, certo, le opere di Nicodemo hanno tutt’altra presa. Hanno un fascino immediato, capace di catturare anche i profani. Ma parliamo di lavori in stucco, a cui quelli artisti potevano dare la forma che volevano. Con la pietra della Maiella, seppur tenera e lavorabile, era un altro discorso…
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