La carica della santità, mal compresa nei beati di Sant’Angelo in Formis

Chi si salverà, alla fine? Chi troverà misericordia nello sguardo del Cristo giudice, quando verrà nell’Ultimo Giorno, e potrà entrare nella schiera di coloro che in eterno gioiranno al cospetto del Signore? Ma ancor più a fondo: che cosa significa essere santi? La controfacciata della chiesa di Sant’Angelo in Formis, presso Capua, è certamente una delle più vaste e note rappresentazioni della Seconda venuta, e mostra i volti di coloro che, negli ultimi giorni, tra alberi e fiori, celebreranno salvi la gloria di Dio: stanno in basso a sinistra, contrapposti come sempre ai dannati torturati all’inferno, posti a destra. L’affresco ci mostra la serenità dell’animo di questi eletti, riassunto in un sorriso appena accennato e nella posa orante e grata… e però non ci può dire chi sono i santi, e perché hanno meritato di essere tali.

La schiera dei beati a Sant’Angelo in Formis

Chi si salverà, alla fine? La liturgia di oggi, giorno di Ognissanti, offre, attraverso due dei brani letti durante la messa, alcune indicazioni che, se possono essere considerate da qualcuno profezie d’altri tempi, nei secoli romanici avevano invece, senza dubbio, ben altro valore. Il settimo capitolo del Libro dell’Apocalisse è il primo di questi testi rivelatori, in cui Giovanni narra la sua visione:

Dopo ciò, vidi quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra, e trattenevano i quattro venti, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta. Vidi poi un altro angelo che saliva dall’oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: «Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi».
Poi udii il numero di coloro che furon segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d’Israele (…). Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani (…). Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: «Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.

Il piedi, davanti al trono, stanno anche i beati di Sant’Angelo in Formis. Portano in mano rami, altri dietro il vasto gruppo allungano le braccia verso alberi frondosi, per prenderne rami con cui dare gloria a Dio. Il Libro dell’Apocalisse non ci parla di pochi eletti, ma di una “moltitudine immensa”, e il frescante di Capua prova a renderla nel suo dipinto aggiungendo un gran numero di teste – anzi, di nuche – dietro la fila in primo piano.

Veduta complessiva del Giudizio universale

Colpisce, nel brano di Giovanni, come si sottolinei il travaglio che hanno subìto, in passato, coloro che ora stanno davanti al trono e si apprestano a godere della gloria celeste. Più ancora che per gli atti compiuti, verrebbe da dire, l’elezione dei santi del cielo passa attraverso una precedente sofferenza; più ancora delle buone opere compiute dal singolo, si direbbe, a salvarli tutti è stata la “grande tribolazione” attraverso cui sono passati. Ci torneremo.

Possiamo già affermare, intanto, che l’arte romanica non è riuscita a rendere fino in fondo l’emozione della salvezza acquisita, e che ha faticato assai a tradurre nelle arti figurative la fatica che precede la salvezza – “sono passati attraverso la grande tribolazione” – e poi la gioia della beatitudine; fatica e gioia che non si leggono nella pur bellissima immagine di Sant’Angelo in Formis, né nelle molte altre rappresentazioni romaniche dei beati, a cominciare da quella “parallela” di Torcello; tanto che in questi “Giudizi” medievali la parte destra, dedicata ai peccati e alle conseguenti pene infernali, è quasi sempre la più vivace, mentre quella che rappresenta i beati – e forse in proposito solo la lunetta del portale di Autun fa eccezione – è quasi sempre più composta e pallida, quasi banale.

Eppure la beatitudine è gioia piena e incessante, non serenità; eppure la santità passa attraverso una preventiva “grande tribolazione”, e non viene così, come un dono per i buoni. Lo conferma il secondo brano della liturgia della festa di Ognissanti, un passaggio del Vangelo di Matteo, al capitolo 5, che è lontanissimo dal tema della fine del mondo e del Giudizio universale, e che però risulta fondamentale, perché mentre ci aiuta a capire chi sono coloro che alla fine si salveranno, allo stesso tempo ribadisce che non ci sarà gioia se non per chi avrà sofferto:

Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia: rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Uno scorcio dell’affresco

E’ questo il ritratto morale di chi aspira alla beatitudine, che l’arte romanica sembra non riuscire a rappresentare nella sua complessità. Sono questi i santi: gente che ha patito, e che ora gioisce in modo pieno. E’ questa la beatitudine: subire la povertà, l’afflizione e il pianto, senza reagire; è avere fame e sete, ed essere vittime dell’ingiustizia, e perseguitati e insultati e maledetti; e poi avere, rispetto a queste tribolazioni, la “salvezza” portata dal Cristo. Salvezza che nel testo evangelico, si badi bene, è contemporaneamente terrena ed eterna: perché se è vero che Cristo annuncia nel suo discorso una “ricompensa nei cieli”, è anche vero che l’orizzonte di buona parte delle “beatitudini” è terreno e immediato, perché promette ai beati che saranno saziati, che erediteranno la terra, che avranno consolazione e troveranno misericordia, e non necessariamente dopo la fine dei tempi.

Non è facile per noi comprendere chi si salverà: chiudiamo gli occhi troppo spesso sule tema della necessaria tribolazione, e ancor più fatichiamo a vedere come la salvezza promessa è qui e nell’oggi – “già e non ancora” – oltre che nei giorni che verranno dopo la fine. Faticarono allo stesso modo anche gli artisti romanici, che nella rappresentazione della santità dei molti non trovano slancio, e sembrano, per una volta, non avere granché da insegnarci.

Un altro scorcio della controfacciata

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La splendida basilica di Sant’Angelo in Formis ospita uno dei dieci cicli di affreschi che Before Chartres ha scelto per un volumetto prezioso: si intitola AFFRESCHI ROMANICI, DODICI CICLI imperdibilie propone, in un itinerario ragionato, il meglio della pittura romanica in Europa secondo gli appunti di viaggio di questo blog.

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Le storie della Bibbia hanno ispirato e guidato gli artisti romanici. Before Chartres ne ha descritte molte nei suoi articoli, e oggi ha raccolto le più affascinanti in un volumetto pieno di fede, di sapienza e di stupore, che trovi qui: STORIE della Bibbia NELL’ARTE ROMANICA.

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Quattro itinerari, dieci mete romaniche intorno a Roma, da raggiungere in giornata, e che non possono deludere mai. Before Chartres raccoglie gli appunti presi durante i suoi viaggi nei territori che circondano la Capitale nel nuovo bellissimo volumetto intitolato ITINERARI romanici INTORNO A ROMA.

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7 pensieri su “La carica della santità, mal compresa nei beati di Sant’Angelo in Formis

  1. Alfredo Carannante (da Fb):

    Sconvolgente… di una bellezza incredibile. La prima volta che vi entrai nemmeno sapevo della sua esistenza. Tra l’altro fu eretta sul monte Tifata sopra uno dei più importanti santuari dedicati a Diana Tifatina delle selve di leccio. Monte sacro dell’antica Capua.

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  2. Attilio Vescovi (da Fb):

    Una chiesa incredibile… e poco conosciuta. Quando l’ho vista non credevo ai miei occhi perché sui testi a mia disposizione la gran parte degli affreschi ne’ è citata ne’ esistono foto… non mi è sembrato vero di farlo e in perfetta solitudine.

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  3. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Sant’Angelo in Formis è certo la chiesa più iconica della Campania romanica, con quei pregevolissimi affreschi che in parte descrivi. Lasciano senza fiato vedendoli appena entrati in chiesa, pur avendone un prezioso anticipo sotto il portico nella lunetta del portale. Davanti ai nostri occhi si distende un manto di pitture di freschezza inaudita tanto sono ben conservati e restaurati. Un’opera paradigmatica per la pittura romanica del Mezzogiorno.

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