Il romanico a Sant’Angelo in Formis: squilli di tromba nel concerto di flauti

Siamo stati più volte, insieme, in San Michele, a Sant’Angelo in Formis; ma camminare nella navata e ammirarne gli affreschi è un’esperienza sempre piena e nuova. Più volte abbiamo scritto di questo ciclo di pitture portentose – circa cento scene, di cui una sessantina ben conservate – ed è evidente che i molti riquadri, i molti episodi, le molte figure dipinte, non solo quella incredibilmente moderna dell’adultera perdonata da Gesù, offrono un’infinita gamma di sensazioni. Aprono quindi a molteplici approfondimenti.

E allora oggi, rimettendo il piede dentro la chiesa che l’abate Desiderio in persona volle così bella, proviamo, sottovoce, a dire come e perché il ciclo affreschi di Sant’Angelo in Formis, oltre ad essere vasto e splendido, rappresenta anche un passo cruciale nello sviluppo della pittura dell’Italia medievale, che (anche) qui da “bizantina” si fa “romanica”.

La navata della basilica

Siamo nell’ultimo quarto dell’XI secolo – è assodato che il ciclo venne realizzato per volere di Desiderio, e si ipotizza che sia stato completato prima della sua morte, avvenuta nel 1087 – e l’abate di Montecassino è uno dei grandi mecenati del tempo: chiama nella sua abbazia, dall’Oriente “greco”, i migliori frescanti, e importa così nel cuore della penisola i modi lievi e formali della scuola bizantina. E però il tempo è maturo perché nell’Italia percorsa da popoli e fermenti, gli insegnamenti della scuola greca si sporchino e si vivifichino, fino a diventare qualcosa di nuovo, o almeno fino a diventare il seme del nuovo che verrà; e qui stasera, con una schematizzazione che speriamo non risulti eccessiva, proviamo a individuare e ad indicare, dentro il vasto ciclo di affreschi di Sant’Angelo in Formis, sia il vecchio che il nuovo.

L’ingresso a Gerusalemme
Gedeone in dialogo con l’angelo

Senza tornare qui sull’impronta bizantina che segna (e frena) l’affresco del Cristo in Gloria nel catino absidale, possiamo dire che i frescanti che operarono nella basilica di San Michele seppero mantenersi ligi alla lezione dei maestri orientali, ad esempio, nella scena di Gedeone in dialogo con l’angelo; la quale costituirebbe un soggetto perfetto anche per quelle icone “bizantine” prodotte da pittori moderni che andavano di moda fino a qualche decennio fa, o per certi affreschi “neobizantini” che ebbero tanto spazio nelle chiese degli anni Sessanta. Un’altra rappresentazione che potremmo definire perfettamente greca, qui a Sant’Angelo in Formis, è quella dell’ingresso in Gerusalemme; la cacciata dal Paradiso e la Crocifissione, allo stesso modo, ripropongono gli stessi schemi e gli stessi modi dell’arte altomedievale bizantina. Ancora, azzardando ancor più nella costruzione di ponti ideali, potremmo dire che la scena della risurrezione di Lazzaro incarna profondamente lo sguardo composto eppure inquieto, semplice ma pieno di simbologie, con cui la pittura bizantina osserva e rappresenta certi episodi del Vangelo, in particolare quelli in cui sono in ballo la vita e la morte.

Panoramiche degli affreschi. Al centro, la crocifissione.

E allora, dove troviamo, tra le pitture di questa chiesa meravigliosa, quegli accenni di un nuovo vigore rappresentativo? Quali scene ci mostrano che qualcosa si muove, in questo vasto ciclo? Quali ci mostrano che l’anima dei frescanti campani non si è conformata completamente alla lezione dei maestri che Desiderio riunì a Montecassino, o almeno che a questa lezione essi seppero assistere senza però trascurare altri modelli e altre suggestioni?

Il dialogo del Maestro con l’adultera
Il bacio di Giuda

Spieghiamo in un altro articolo la forza dirompente e inquietante del pannello in cui l’adultera si trova faccia a faccia con Gesù: schema e impostazione qui possono essere anche classici, ma l’effetto del gioco di sguardi dei protagonisti e dei comprimari non è certo quello dei dipinti di Bisanzio. Decisamente anticlassica, e vivissima come una scena da teatro, è la rappresentazione del cieco nato che, miracolato da Gesù, si gira e si china a lavarsi gli occhi nel pozzo. E non basta: rompe gli schemi antichi, e ci introduce in un mondo artistico nuovo, prettamente “romanico”, per fare un altro esempio, il groviglio di persone con cui a Sant’Angelo in Formis si rappresenta il bacio di Giuda, che nell’orto degli Ulivi tradisce il Maestro. Secondo Otto Demus questo pannello, rispetto a quelli di dichiarata classicità, è attribuibile ad una “mano del tutto diversa”: “Qui predominano movimento, asimmetria, drappeggio complicato dalle molteplici fratture (…). A questo maestro, che pensa in termini di gruppi maggiori e più complessi – scrive lo studioso – devono essere attribuiti anche gli affreschi raffiguranti Cristo deriso, Pilato che si lava le mani e Cristo che porta la croce. Soprattutto la scena di Pilato è un capolavoro di intensità psicologica e di sobria concentrazione”.

La guarigione del cieco nato

Allora è vero che poche altre chiese si propongono al visitatore, come fa Sant’Angelo in Formis, come un viaggio coerente in cui tutto si collega, come un racconto artistico che sembra non avere soluzioni di continuità. E lo stesso Demus è perentorio: “Non vi può essere dubbio sul fatto che la decorazione – scrive – fu eseguita in un’unica fase, da una grande bottega riccamente differenziata, ma ciò nonostante unitaria”. Eppure anche in questo ciclo un vento nuovo, o forse una mano differente, sollevano a folate il telo elegante steso dalla tradizione “greca”: la lezione antica è certo presente, ma in diversi scene, pur nell’unitarietà complessiva, pulsa il vigore tipico dell’arte che definiamo romanica; non sempre, ma in alcuni momenti i corpi prendono carne e vita nuova, e gli sguardi acquistano profondità e fanno trapelare quelle emozioni, quei pensieri e quei sentimenti che per lunghi secoli erano rimasti dimenticati, o si erano nascosti. L’imperturbabile modo di dipingere che Bisanzio a lungo esportò – a Ravenna, a Roma, e più giù anche a Montecassino e, qui, a Sant’Angelo in Formis – non è più in grado di frenare il potente desiderio romanico di una nuova vitalità nell’espressione.

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La splendida basilica di Sant’Angelo in Formis ospita uno dei dieci cicli di affreschi che Before Chartres ha scelto per un volumetto prezioso: si intitola AFFRESCHI ROMANICI, DODICI CICLI imperdibilie propone, in un itinerario ragionato, il meglio della pittura romanica in Europa secondo gli appunti di viaggio di questo blog.

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Le storie della Bibbia hanno ispirato e guidato gli artisti romanici. Before Chartres ne ha descritte molte nei suoi articoli, e oggi ha raccolto le più affascinanti in un volumetto pieno di fede, di sapienza e di stupore, che trovi qui: STORIE della Bibbia NELL’ARTE ROMANICA.

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Quattro itinerari, dieci mete romaniche intorno a Roma, da raggiungere in giornata, e che non possono deludere mai. Before Chartres raccoglie gli appunti presi durante i suoi viaggi nei territori che circondano la Capitale nel nuovo bellissimo volumetto intitolato ITINERARI romanici INTORNO A ROMA.

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8 pensieri su “Il romanico a Sant’Angelo in Formis: squilli di tromba nel concerto di flauti

  1. Pietro Marchetti (da Fb):

    Mancata per un soffio. Ero coi mezzi pubblici a Caserta, ho fatto Casertavecchia a/r in taxi (!) perché la domenica non c’erano bus e Sant’Angelo in Formis era difficilmente raggiungibile sempre coi mezzi pubblici (considerato che un giorno intero era dedicato alla reggia di Caserta). Però a Casertavecchia non solo ho visto il duomo di San Michele e l’Annunziata ma ma anche le piccole chiese di San Pietro e San Rocco e poi, scendendo da un sentiero a piedi, San Pietro ad Montes (solo all’esterno ovviamente), mentre il cielo si colorava per un tramonto infuocato… A volte la macchina è davvero imprescindibile, anche se a me piace muovermi con i mezzi pubblici e a piedi. Da Caserta a Sant’Angelo in Formis sarebbero stati 15 minuti in auto… Ci fosse stata una pista ciclabile l’avrei fatto anche a piedi in un paio d’ore. E vabbè ho visto un solo San Michele (a cui sono particolarmente devoto) anziché due… Interessante e interessanti anche gli altri articoli del blog su questa chiesa. Per me è una delle più interessanti e belle di tutta Italia.

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  2. Giulia Lisci (da Fb):

    Adoro questa chiesa! è spettacolare! e anche la vista sulla piana sottostante non è affatto male.

    L’ho visitata un 26 dicembre, nel pomeriggio, verso le 15.30… sono entrata con la luce del giorno, c’erano canti gregoriani cantati in sottofondo… sono rimasta rapita dagli affreschi, cosí colorati, cosí descrittivi… me li sono studiati per bene… ho perso la nozione del tempo… all’uscita era buio, la piana illuminata, la chiesa pure, il piazzale vuoto, con questa musica celestiale che si diffondeva anche fuori… ne ho un ricordo preziosissimo che tengo nel profondo del 

    ♥️

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  3. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Per due volte sono andato a Sant’Angelo in Formis negli ultimi 15 anni, ma sono riuscito a vedere l’interno solo la seconda e di sfuggita, per cui conto di tornarci per assaporarlo meglio.
    Già questo tuo articolo corredato da ottime fotografie mi consente di entrare nell’edificio ad ammirare con attenzione i dettagli dei pregevolissimi affreschi, una summa della pittura romanico del Meridione.
    Meraviglia l’unitarietà dell’opera, così vasta a decorare la superficie parietale delle navate e dell’abside, vasta e unitaria, ma al contempo con ispirazioni e influenze differenti, arcaizzanti, bizantine, e innovative, più propriamente romaniche, in un ambiente dove Bisanzio permane a lungo quasi incontrastato.
    Come sempre ottime e ben documentate le riflessioni che ci proponi.

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  4. Lella Effe (da Fb):

    Visitata qualche mese fa. Bellissima abbazia assai interessante che merita protezione. Un luogo incantevole ma timidamente sperduta nel verde. Bisogna proprio andarci di proposito. Abbisogna di supporto, come pure la località che la ospita, sembrano dimenticati da Dio. La strada che conduce all’abbazia è abbastanza trascurata, sarebbe necessario anche uno spazio x parcheggiare, che manca, se non fosse x la gentilezza e l’accoglienza della gente vicina, non si sa dove lasciare i veicoli. Questo luogo incantevole merita più attenzione da chi di dovere e dalle associazioni culturali anche internazionali.

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  5. Luigi-Gino Papale (da Fb):

    La Cattedrale di S. Angelo in Formis è stata riedificata sul Tempio di Diana Tifatina, dove i cittadini di Capua Antica, oggi Santa Maria Capua Vetere, andavano a pregare. I Capuani erano molto devoti a questa divinita’, ma in citta’ vi era anche il culto del Dio Mitra a cui era devoto uno dei piu’ illustri abitanti, in questo caso acquisito, il celebre schiavo, poi diventato gladiatore, il trace Spartacus. Il Mitraismo era un religione originaria dell’Europa orientale. Spartacus fu fatto schiavo, dai romani, nell’ antica Tracia, in un villaggio presso il fiume Struma, territorio che si estendeva tra le odierne Romania e Bulgaria. Era la punta di diamante della celebre scuola capuana di gladiatori di Lentulo Battiato, scuola gladiatoria che competeva con quella di Roma. Spartacus fu in seguito il promotore della rivolta degli schiavi contro Roma, ed oggi simboleggia lo schiavo che si ribella ai padroni. Hollywood gli ha dedicato anche un film “Spartacus” con Kirk Douglas, mentre Sky ha realizzato una serie televisiva “Capua”.

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