Questioni di razza e di discendenza nella “Puerta del Cordero” di León

La narrazione del sacrificio di Isacco, di quando cioè Abramo, per fedeltà al Signore, arrivò ad un passo dall’immolare il proprio unico figlio, è un tema diffusissimo nell’arte romanica. E in ogni luogo e in ogni regione, gli scultori dell’epoca hanno ovviamente declinato il racconto in pietra di questa vicenda con modalità e attenzioni diverse: lo si vede bene a León, dove chi scolpì la Puerta del Cordero – il portale laterale detto “dell’Agnello” – colse l’occasione, in una terra segnata dall’invasione islamica, per… mettere al loro posto, mentre raccontava di Abramo e di Isacco, gli odiati saraceni, e per ricordare – nel medioevo si parlava di razze, e le si contrapponeva senza remora alcuna – la loro posizione di inferiorità rispetto ai cristiani.

La Puerta del Cordero nel suo complesso

Sotto il tondo in cui è rappresentato l’Agnello, e sotto i quattro angeli che gli fanno da corona nella gloria – due con grande eleganza, altri due, all’esterno, un po’ forzatamente – l’episodio biblico del sacrificio di Isacco si estende su una lastra trapezoidale allungata, che è scolpita con grande padronanza. Anche se a prima vista si può avere l’impressione di un eccessivo e disordinato affollamento di figure, la sua lettura è chiarissima: la scena chiave, la rappresentazione, cioè, del momento in cui Abramo, tenendo Isacco per i capelli, alza su di lui il coltello, sta proprio al centro; per fermare il sacrificio, il Signore interviene all’ultimo, e la sua mano è posta proprio in faccia al patriarca, subito a sinistra; appena sotto, un angelo sembra consegnare ad Abramo il montone, che ha le gambe incastrate tra i rovi, e che potrà essere immolato al posto del ragazzo. In questa parte centrale, la rappresentazione non si discosta molto da quella tradizionale.

La lunetta con le vicende della famiglia di Abramo
Sara nell’angolo a destra

La lunetta del portale di Sant’Isidoro, però, fa salire sul palco altri attori. A destra una donna sta sull’uscio di casa: per tutti i commentatori è Sara, moglie di Abramo e madre di Isacco, che sembra in un certo modo rappresentare il punto di partenza della vicenda, e da questo punto di partenza, dal luogo cioè da cui sono partiti il marito e il figlio, sembra osservare ciò che accade. Secondo alcuni studiosi, i due personaggi maschili che stanno tra lei e la scena centrale sono servi che accompagnano Abramo; secondo altri, tra Sara e il sacrificio vero e proprio sarebbe rappresentato due volte lo stesso Isacco, che sale a cavallo verso il monte e poi, prima di entrare nell’area più sacra, si toglie i calzari in segno di rispetto per Yahvè. Comunque sia, la parte destra della lunetta è dedicata a Sara, madre di Isacco, che accompagna con lo sguardo lo svolgersi di una vicenda in cui la fedeltà al Signore, fino anche il gesto più estremo, è il segno distintivo della sua famiglia e della sua stirpe.

Ismaele, a cavallo con l’arco, e Agar

Nell’altro estremo della lunetta, a sinistra, altri due personaggi sembrano partecipare agli avvenimenti, o comunque a loro volta li osservano da lontano con la precisa funzione di controbilanciare la figura di Sara che sta all’angolo opposto. L’uomo a cavallo con l’arco teso è Ismaele, anche lui figlio di Abramo, ma nato dal grembo della schiava Agar; e vicino ad Ismaele sta la stessa Agar, che guarda verso il monte e segue ciò che accade. Agar e Ismaele, al tempo del sacrificio di Isacco, non facevano più parte della famiglia di Abramo: il capitolo 21 del Libro della Genesi narra che Sara, fiera di aver partorito finalmente Isacco, e di aver così garantito ad Abramo una discendenza, non voleva più in famiglia né la schiava, né il figlio che questa aveva dato ad Abramo, e pretese che il marito li allontanasse entrambi. Dio stesso incoraggiò Abramo a questo passo crudele; nel contempo però gli promise che avrebbe dato anche ad Agar e ad Ismaele un futuro e una discendenza: «Non ti dispiaccia questo, per il fanciullo e la tua schiava: ascolta la parola di Sara in quanto ti dice, ascolta la sua voce, perché attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe. Ma io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole».

La parte alta del portale, con la lunetta

Agar ed Ismaele, così, erano stati abbandonati nel deserto; là avevano trovato la benevolenza del Signore che, come aveva promesso, garantì loro la sopravvivenza, tanto che da Ismaele e dai suoi figli verranno i popoli dell’Egitto, che saranno poi detti “arabi”, e anche appunto “ismaeliti”: “Dio fu con il fanciullo – dice ancora il Libro della Genesi – che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco”. E proprio come un tiratore d’arco lo rappresenta lo scultore di León, che identifica così Ismaele in modo preciso.

Dando spazio anche ad Agar e al ragazzo, l’autore del timpano rende più completo il racconto delle vicende di Abramo; allo stesso tempo, rappresentandoli in campo opposto – da una parte Ismaele con Agar, dall’altra Sara con Isacco – sembra voler rendere evidente la propria concezione di un mondo diviso in due, in cui la discendenza di Sara attraverso Isacco, cioè il popolo di Yahvé, si trova a vivere chiaramente contrapposta a quella di Agar attraverso Ismaele: stirpe vasta anche questa, nobile in partenza perché seme di Abramo, ma ramo laterale, secondario, minore; stirpe marcata dalla figliolanza inferiore e servile; la quale non poteva che portare i figli di Ismaele, votatisi poi ad un’altra divinità, al conflitto secolare con il popolo e l’ecclesia dei cristiani.

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Il lato della basilica con i due portali

Due sono i portali che si aprono sul lato meridionale della grande basilica di Sant’Isidoro a León, nell’alta Spagna, tappa cruciale del Cammino verso Santiago. Alla Puerta del Cordero (“dell’Agnello”) di cui parliamo qui, si aggiunge la Puerta del Perdón, la cui lunetta presenta tre momenti degli ultimi giorni di Gesù sulle terra: la Deposizione, il Sepolcro vuoto, l’Ascensione. Entrambi i portali sono, nello stile artistico e iconografico, vicini alla Porta di Miègeville, il portale laterale della basilica di Saint-Sernin a Tolosa. La basilica di Sant’Isidoro di León è famosissima anche per il Panteón de los Reyes, il portico in cui sono riunite le sepolture dei sovrani di Castiglia, affrescato con splendide pitture, anche queste ascrivibili al periodo più ricco dell’arte romanica, il XII secolo.

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Non c’è, questa bellissima lunetta, nel volumetto sui grandi portali romanici che Before Chartres propone – finalmente “in carta” – ai suoi lettori più fedeli. Non c’è: ce ne sono altre dieci, di certo altrettanto belle. Vedere per credere. Qui: DIECI grandi PORTALI ROMANICI.

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5 pensieri su “Questioni di razza e di discendenza nella “Puerta del Cordero” di León

  1. Magda Viero (da Fb):

    La chiesa di san Isidoro è una basilica Palatina. Tante cose ci sarebbero da dire. Il tema principale il Sacrificio Isacco intorno agli anni 1000/1100 è molto sentito perché vuole esaltare Isacco, rispetto ad Ismaele in funzione anti islamica. E nella iconografia iberica è spesso ripresa… I moriscos sono ai confini

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  2. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Come sempre interessante la narrazione, nella quale non mi addentro.
    Mi interessa invece sottolineare un particolare che mi pare di rilevare.
    La lunetta che mostri e descrivi puntualmente è un’evidente composizione di pezzi diversi, forse anche forzatamente incastrati per rientrare nel semicerchio della lunetta (come per esempio a Tuscania). La parte che mostri del sacrificio di Isacco sembra essere pertinente ad un architrave “en batiére”, cioè cuspidato, che avrebbe così dovuto da solo coprire un portale d’ingresso, forse in altro edificio.
    Un rilievo curioso che sarebbe interessante scoprirne l’origine.

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  3. Magda Viero (da Fb):

    Stupendo Sant Isidoro. E molto bella la spiegazione della storia di Isacco.. E il sacrificio. In ebraico il Riv… Quanta esegesi su questa parola sia di fede che di storia. Come per esempio: l’inizio in cui si dice basta ai sacrifici umani per ingraziarsi Adonai ma si riparte con il capro espiatorio.

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