Pietre grigie e spoglie da una parte, e dall’altra mosaici d’oro e dai mille colori: visitare la meravigliosa Palermo è stato, per me che cerco le chiese del tempo romanico, quasi una doccia scozzese, un rimpallo ripetuto tra i muri nudi e ruvidi di alcune di queste chiese, e le sfavillanti pareti di altre, fatte di tessere d’oro e arcobaleno.

Il Duomo di Monreale
La visita in cinque puntate alla capitale sicula comincia a Monreale, e comincia con un tuffo nel colore. Il Duomo, infatti, costruito poco sopra la città, è una gigantesca distesa di scene realizzate secondo la tecnica cara a Bisanzio: con finissimo mosaici del XII secolo sono decorate le pareti della navata centrale, ma il flusso del racconto a colori scende anche nelle navate laterali, e conquista ogni metro della vastissima parete di controfacciata; d’oro e mosaico è tutto il presbiterio, con l’abside splendida per le figure e le tinte, e il catino famoso in cui il volto del Cristo accoglie e benedice. Per i tratti, il disegno, le scelte iconografiche, vedi già che Palermo guarda a Bisanzio, che Palermo è Bisanzio…
E però poi… Però poi Palermo ti invita ad entrare nella sua seconda anima, che in San Giovanni degli Eremiti si solidifica e si fa chiesa. E questa seconda anima è fatta – lo dicevamo – di pietra dura, spigolosa, senza compromessi. Priva addirittura di pavimentazione, San Giovanni è una semplice navata coperta con due cupole in successione, e poi un transetto anche questo coperto con cupole di pietra. Non un solo tocco di colore resta in questo spazio, che sembra il ventre aspro di una caverna. Angoli, profili, linee, e ti si mostra anche così l’altro cuore che pulsa nel corpo della città. E’ un cuore normanno. E’ il cuore normanno della Sicilia, che si cela e si rivela in molti altri aspetti dell’architettura dell’isola, ma che qui, in questa chiesa grigia, batte quasi al punto di farti dimenticare che pure l’edificio ha forme orientali.

Il presbiterio della Cappella Palatina
Esci, percorri poche centinaia di metri, e la terza grande tappa della Palermo romanica ti riporta in mezzo ad un turbinìo di colori: la “Cappella Palatina”, questa piccola basilica costruita al piano alto del grande palazzo reale, è un tripudio d’ori e smalti e disegni, è una Monreale in miniatura, è un gioiello da togliere il fiato. Di nuovo Bisanzio prende il sopravvento; di nuovo nell’abside d’oro un altro Cristo benedice, mentre parla un silenzio orientale.
Questo alternarsi tra le due anime della Palermo medievale – bizantina come le tessere dei mosaici, normanna come la pietra a vista – si ripete e si amplifica in Piazza Bellini, dove due chiese, le ultime di questa visita alla Palermo del tempo romanico, si guardano a dieci metri l’una dall’altra. Pietra piena di fascino, ma nuda e acre, nell’interno dell’austera San Cataldo, dove un Crocifisso di gran pregio si staglia sul fondo neutro, e ti sembra di essere in terra di Crociati e in tempo di carestìa; e di fronte invece risponde, con una nuova colata di colori, ori e smalti, la vivacissima chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio – la “Martorana” – che addirittura mescola Bisanzio al Barocco, con quel nartece e quel presbiterio sommati solo nel XVI secolo al nucleo originario medievale.

Le volte della “Martorana”
Cinque chiese, cinque luoghi indimenticabili, cinque modi per dire il tempo romanico a Palermo. C’è molto altro medioevo – dalle absidi della Cattedrale ai palazzi di delizie, per non dire del meraviglioso chiostro di Monreale – in questa città nobilissima. Ma per comprendere la forza dell’eredità antica dei Greci, e poi il vigore dell’eredità moderna dei Normanni, a me sono bastate queste cinque tappe, quest’altalena tra il mosaico e la pietra che solo Palermo sa offrire.
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Una parete a Monreale
Palermo fu fondata dai Fenici, e fu caposaldo in Italia della fenicia Cartagine all’esplodere delle Guerre Puniche. Il nome però (in origine “Pànormos”, “tutto porto”) le fu dato dai Greci, i quali da subito intrattennero con la città importantissimi scambi di mercato e di cultura: per questo Palermo può dirsi greca. Poi nel XI secolo Palermo fu conquistata dagli Arabi e fiorì sotto il loro dominio, che le diede una nuova e diversa impronta orientale. I Normanni, portatori di pietre e di torri in facciata, la conquistarono nell’XI secolo; l’impronta nordica si sente a Palermo – come racconta qui sopra Before Chartres – anche se in continuo e sorprendente dialogo con le culture preesistenti. A questo periodo segnato dal dominio degli Altavilla – in sostanza all’XI e al XII secolo – risalgono i monumenti che a Palermo rappresentano il tempo romanico: normanni e greci e orientali insieme.
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Mimmo De Gennaro (da Fb):
Palermo è: fenicia, greca, romana, bizantina, araba, normanna, spagnola, francese, italiana. È l’incrocio di tutte queste culture che la rendono unica al mondo, stupisce in ogni angolo. È semplicemente una bella donna che ti ammalia e quando la visita ti lascia il segno indelebile della sua presenza.
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Andrea Zitani (da Fb):
Quesito serio: perché si continua a parlare di “Arabo-Normanno”, omettendo nella denominazione, anche da parte di UNESCO, la chiara impronta bizantina di questi edifici?!? 🤔
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Antonio Ponpiamu (da Fb):
I normanni furono i mecenati. I bizantini erano le maestranze. Non credo che l’UNESCO abbia omesso che si tratta di stile bizantino.
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