Fu il parroco di Maderuelo a chiedere al vescovo il permesso di venderlo: l’antico eremo, alla fine, non serviva più alle funzioni liturgiche, non aveva alcun valore, e sarebbe stato molto meglio utilizzato dai contadini del posto. Peraltro, quella lunga costruzione coperta da un tetto a due falde, e terminante in una seconda sala appena un po’ più piccola, della chiesa non aveva, e non ebbe mai, neanche la forma. Nell’anno 1898, così, col consenso delle autorità diocesane – lo racconta bene Paz Villén Gonzàles nel Gruppo “Un Mundo de Romanico” – l’eremo magico “de la Vera Cruz” divenne ufficialmente una stalla, venduto ad un agricoltore locale per 150 pesetas.
Eppure i mirabili affreschi che decoravano il locale minore, cioè il presbiterio dell’antico eremo, erano ancora là, sulle pareti. A notarle, vent’anni più tardi, fu un “americano”, che fiutò l’affare e, secondo il racconto di Paz Villén Gonzàles, “por lo pelos” non riuscì a concluderlo:
Hasta que en 1920 un desconocido americano se enteró de los frescos que guardaba en su interior y ofreció al dueño la cantidad de 30.000 ptas. a cambio de las pinturas, que se salvaron por los pelos, sino llega a ser porque Bellas Artes envío a un emisario a la capilla y ahí encontró al pintor y el albañil en plena faena.
La scena è insieme pittoresca e inquietante: dopo secoli di abbandono, mentre il Pantocrator sul soffitto è costretto a respirare odore di bovino invece che profumo d’incenso, si scatena finalmente una gara serrata per il possesso degli affreschi, di cui tutti infine vedono la bellezza. Tra lo sconosciuto “americano” – che già immaginava anche per questo capolavoro la sorte toccata ai capitelli di Cuxa o alle pitture della vicinissima San Baudelio de Berlanga, trasferite oltreoceano – e il contadino che vanta i suoi diritti sulla stalla diventata improvvisamente un tesoro, si inserisce all’ultimo l’emissario delle Belle Arti. Secondo il modello spagnolo, vista l’impossibilità di garantire la conservazione degli affreschi in loco – nell’area nel frattempo si stava realizzando un vasto invaso idrico – si apre per il ciclo di Maderuelo la prospettiva dello “stacco” e della collocazione in un museo: dal 1947 le mirabili pitture dell’eremo “de la Vera Cruz”, trasferite su tela e distese su una perfetta riproduzione del locale in cui erano state dipinte, costituiscono una delle più importanti sale medievali del Museo del Prado, a Madrid.
Il ciclo è impressionante per la quasi completa conservazione di quanto il maestro di Maderuelo aveva realizzato – siamo nella prima metà del XII secolo – sulle quattro pareti e sulla volta a botte sovrastante. Mentre i due lati lunghi sono occupati da due “processioni” abbastanza statiche di apostoli e santi, le pareti minori si animano di una ben più forte vivacità. Sulla parete di fondo si stende il racconto del sacrificio di Caino e Abele al Dio giudice, rappresentato in forma di Agnello; più in basso, la Maddalena lava i piedi del Cristo e uno dei Magi adora il Bambino. Di fronte, nella parete di ingresso, si stende la grande rappresentazione della creazione di Adamo e del peccato suo e di Eva; i corpi dei progenitori, resi quasi come in uno studio anatomico, sono un prodigio di semplificazione grafica, come pure gli alberi della scena – verde e fiorito quello accanto a cui nasce Adamo, secchi e bruni quelli del momento del Peccato -. Sulla volta, circondato da due nuove “processioni” statiche e questa volta angeliche, si distende la figura possente, del Cristo in Gloria. Reggono la mandorla quattro angeli, come di consueto, e la loro postura è forse l’aspetto più curioso di tutta la scena: uno, in alto a sinistra, sembra spingere la “mandorla” come fosse un’automobile in panne; sull’altro lato l’angelo corrispondente proprio non trova la sua posizione…
Nel candido svolgersi delle sale del Prado, il presbiterio dell’eremo de la Vera Cruz – ambiente 51C -, con i suoi muri “finti” e i suoi affreschi originalissimi, è una invasione di colore ed energia romanica. A Maderuelo, invece, tutto è un po’ meno esaltante. L’eremo non è più una stalla ma, ovviamente, non è tornato ad alcuna funzione religiosa, e si trasformato… nel museo di se stesso. Ai visitatori che arrivano fino a qui, il presbiterio si presenta spoglio, ma non del tutto: come avviene ogni volta che si “staccano” da un muro gli affreschi, è rimasta sulle pareti la traccia di quanto vi era dipinto, l’impronta lieve del colore che era penetrato più in profondità; le autorità del posto hanno però chiesto che all’altro capo dell’eremo, opposto al presbiterio, fosse realizzato un locale identico, e su questo hanno fatto ridipingere, a partire da precisissimi rilievi e fotografie, l’intero ciclo, perché il visitatore possa assaporare già qui, senza dover arrivare fino a Madrid, lo splendore del ciclo originario.
E insomma degli affreschi del maestro di Maderuelo, come di certi capolavori dei grandi del Rinascimento, oggi possiamo ammirare ben tre versioni: gli affreschi originali sradicati ed esiliati a Madrid, la loro anima pallida testardamente aggrappata alle pareti di un tempo, e una nuova scintillante riproposizione. Che è quasi uguale all’originale, e quasi nel posto esatto in cui fu realizzata.



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Grazia Renga (da Fb):
A mali estremi, estremi rimedi. Lo “strappo” degli affreschi e la “delocalizzazione” hanno preservato un vero tesoro artistico, anche se dovevano essere preventivamente tutelate. Concludo con un altro detto popolare: dalle stelle alle “stalle”. Buona giornata 😊
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