L’inutile “occhio di bue” in San Michele

Non c’è dubbio alcuno: ricostruendo nel XII secolo la grande chiesa di San Michele maggiore, il Vescovo, i religiosi committenti e in generale il popolo di Pavia, immaginavano già le future incoronazioni a cui là, in San Michele, avrebbero assistito. Avevano messo mano – e probabilmente accadde dopo il grande terremoto del 1117 – alla chiesa in cui per lunga tradizione cingevano la corona i re d’Italia: nell’Europa frammentata risultante dalla disgregazione dell’Impero di Carlo Magno, Pavia era stata la capitale del regno longobardo, e fu in seguito polo centrale dell’incerto regno d’Italia; Berengario I, che divenne re nell’888, fu incoronato qui; dodici anni dopo, nell’anno 900, toccò a Ludovico III, e poi a Ugo di Provenza nel 926; Berengario II ricevette lo scettro in San Michele nel 950, e Arduino d’Ivrea assunse il governo del regno nel 1002; solo due anni dopo, nel 1004, la festa per l’incoronazione si ripetè per Enrico II, e già era il tempo in cui i re d’Italia non erano sovrani qualsiasi, ma cingevano la corona ferrea a Pavia come primo passo verso l’incoronazione imperiale, che poi si teneva a Roma. Lo spiega bene un testo pavese dell’XI secolo:

Sicut Roma coronat imperatorem in Ecclesia Sancti Petri cum papa suo, ita Papia cum episcopo suo coronat regem in ecclesia Sancti Micaelis maioris.

La chiesa di San Michele, quindi, andava quindi ricostruita in fretta; perché i re vanno e vengono, e non è detto che non se ne debba insediare uno nuovo… a stretto giro.

L’interno (foto da viaggiandoconbea.com)

Molto in San Michele fa pensare a questa funzione “incoronante” della chiesa, e in primo luogo la sua austera e possente struttura. Non lunga, e però proporzionata, dotata di un ampio transetto, la nuova chiesa concentrava nella sua parte centrale – quasi come un edificio a croce greca – l’attenzione e l’azione; i massicci pilastri complessi, alternati tra forti e deboli, portavano il peso di una copertura tutta in pietra: le navatelle, voltate a crociera, sostenevano i matronei, mentre la navata centrale era coperta da due grandi campate a crociera – quelle attuali, rettangolari, sono del XIV secolo -; una cupola fu eretta sull’incrocio tra la navata e il transetto, questo voltato a botte.

E però i costruttori pensarono alcune soluzioni specifiche volte proprio a trasformare la nuova chiesa nella più perfetta macchina per le incoronazioni.

La facciata sul transetto nord (foto: Francesco Sala)

Le diedero innanzitutto, oltre a quelli nella meravigliosa facciata, un ulteriore ingresso nobile, e lo posizionarono sulla testata del transetto nord, che guarda verso il palazzo reale. Fu proprio pensando all’ingresso del sovrano da incoronare che, su questo lato, al transetto fu dato quasi l’aspetto di una seconda facciata, con tanto di relativo sagrato: qui si sarebbe potuta organizzare, tra due ali di folla, l’accoglienza del nuovo re. Che era il benvenuto, ma a cui il clero pavese ricordava fin da subito che stava per essere incoronato per volere della Chiesa, e non per diritto assoluto: “PER ME SALVUS ERIT QUI PER ME VOTA VOVEBIT” stava scritto sul portale d’ingresso, e cioè “Per mezzo mio sarà salvo chi attraversandomi innalzerà preghiere”. Grazie a questa precisa soluzione, a quest’ingresso riservato al sovrano, ma laterale, il nuovo re raggiungeva la sede dell’incoronazione, cioè al centro della navata, non arrivando come chi giunge di fronte, in armi, e incontra il potere della Chiesa a metà strada; ma come chi è accolto, con onore sì, ma come ospite, in sostanza costretto a percorrere un’ala del transetto, passando poi ai piedi del presbiterio e addirittura a discendere per un tratto la navata dando le spalle al Vescovo, quasi andando diligentemente a prender posto sotto lo sguardo dominante del clero schierato sul presbiterio.

La navata dal presbiterio

Infine, il nuovo re si sarebbe assiso sul punto in cui, per tradizione secolare, il sovrano veniva incoronato. Qui, sul pavimento, quattro cerchi di marmo neri ne circondano un quinto, più grande e candido, in cui si legge: “REGIBUS CORONAM FERREAM SOLEMNI RITU ACCEPTURIS HEIC SOLIUM POSITUM FUISSE VETUS OPINIO TESTATUR”. E per far compagnia al nuovo re in attesa della corona, e per ricordargli i concetti fondamentali, tutto intorno i capitelli di questa parte della chiesa parlano del rapporto tra la regalità terrena e quella divina – con la vicenda di Sansone che abbatte il leone, ad esempio – e della potenza della giustizia divina, con il racconto del sacrificio di Caino e quello di Abele, con la storia di Daniele calato dal re nella fossa dei leoni e salvato da Dio, con la vicenda del sacrificio di Isacco…

I costruttori della nuova San Michele avevano trovato ancora un nuovo modo per amplificare il momento dell’incoronazione: in una chiesa tutto sommato buia, la finestra orientale della cupola era in grado di proiettare un raggio di luce sulla testa del re, in piedi nel luogo preciso in cui gli veniva imposta la corona. Questo effetto teatrale si ottiene in particolare in due periodi dell’anno: nella prima decade di maggio e ad inizio agosto. Al termine della cerimonia il re, uscendo dalla “porta del Paradiso” sul lato sud, oggi murata, vedeva nuovi messaggi di supremazia del potere religioso su quello terreno: sull’architrave, Cristo dona le chiavi del regno agli apostoli Pietro e Paolo; e un’iscrizione pur molto consunta: “NOMINO REX ISTOS SUPER OMNIA REGNA MAGISTROS” (“Io re nomino costoro maestri su tutti i regni”).

Pronta, prontissima ad assumere, ancor meglio della chiesa precedente, il ruolo di sede deputata alle incoronazioni, la nuova San Michele ebbe subito la possibilità di mettersi alla prova, con la sontuosa elevazione a re d’Italia di Federico Barbarossa, nel 1155. Si pensò che potesse essere la prima di una serie di nuove grandi celebrazioni ma… quella del Barbarossa fu invece l’ultima incoronazione celebrata a Pavia, e restò quindi l’unica per l’attuale San Michele. E con buona probabilità non si poté neppure utilizzare al meglio il potente “occhio di bue” fornito delle finestre della cupola, perché l’incoronazione avvenne troppo presto nel corso dell’anno, in un banalissimo giorno intorno alla metà di aprile…

Rilievi sulla facciata di San Michele

Non solo San Michele a Pavia: nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.

4 pensieri su “L’inutile “occhio di bue” in San Michele

  1. Paolo Salvi ha detto:

    Molto interessante la lettura mirata sulle incoronazioni che si sono svolte per oltre due secoli in San Michele a Pavia, la chiesa romanica lombarda che prediligo. Una storia che ne attesta l’assoluta importanza.

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  2. Giulio Giuliani ha detto:

    Giuliana Nascimben (da Fb):
    Molto molto interessante! La porta da cui entrava il re per essere incoronato e la porta – del Paradiso – da cui usciva incoronato! Bellissima anche la cupola a oriente da cui la luce illuminava la testa incoronata del Re! Quanti simboli, quante profonde narrazioni della vita!
    Grazie per questo splendido servizio!!
    👏👏👏

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