In cerca del romanico in San Clemente

Roma è forse il luogo in cui le ricerche dell’appassionato di arte romanica sono più faticose. Nell’Urbe eterna, i secoli XI e XII sono più che altrove un tempo di passaggio, e la tradizione dei secoli precedenti – l’impero antico e la città paleocristiana – è così influente che nessun edificio sembra poter sorgere “nuovo”; contemporaneamente il fiorire, dopo il medioevo, dell’arte rinascimentale e barocca sembra così potente da poterne cancellare ogni traccia.

Anche la chiesa di San Clemente, in Laterano, appare in questo modo pressata: sotto il suo pavimento si trovano, su strati diversi, una basilica paleocristiana, un tempio pagano e una villa antica; quanto alla chiesa, invece, notevoli sono gli interventi barocchi, la facciata è settecentesca, e ben poco medievale è il protiro di accesso alla basilica… E così il “sito” di San Clemente ci si presenta come un palinsesto complesso in cui, per usare le parole delle guide per turisti, si sovrappongono mirabilmente – possiamo, noi maniaci del romanico, dire “fastidiosamente”? – l’arte e l’architettura di secoli e millenni successivi.

La navata, la schola cantorum e l’abside

Però San Clemente, la chiesa attuale, è radicalmente romanica; o meglio, e di più: San Clemente costituisce una delle più compiute realizzazione di quel “romanico” che la città di Roma volle darsi ai tempi dei pontefici ambiziosi, per poi esportarne i canoni anche nei vasti territori in cui giunse, nel medioevo, la potente influenza della capitale dei Papi; e forse di queste realizzazioni del “romanico romano”, San Clemente fu il prototipo. Sorse infatti all’inizio del XII secolo, nei decenni in cui, su impulso di Papa Gregorio VII, si sviluppò quella grande riforma della Chiesa che metteva al centro del potere, e alla guida della Cristianità, il Vescovo di Roma. Ed è proprio sulla scia di questa riforma che durante il pontificato di Pasquale II, mentre si riaccende la disputa per le Investiture, la Santa Sede avvia un processo di ricostruzione e di restituzione architettonica, con lo scopo preciso di affermare il primato romano sugli altri poteri. L’Urbe è ancora la più grande e popolosa città d’Europa, e il programma di renovatio Romae, con il recupero dell’immenso patrimonio antico e con la costruzione di nuove grandi edifici, intende riaffermarne l’autorità universale.

Non caso, apprestandosi a restituire dignità alla vetusta basilica San Clemente, si scartò il progetto di un restauro della chiesa paleocristiana, ormai fatiscente: essa fu invece completamente interrata, e finì così per costituire le fondamenta su cui far sorgere la nuova basilica. E questa fu costruita con un consapevole e notevole riuso – primo capisaldo del “romanico romano” – di elementi antichi, dalle colonne alle lastre che delimitano la schola cantorum, elementi peraltro messi a disposizione in modo ingente dalle varie rovine di Roma e dalla stessa basilica antica; antico è anche lo spirito di tutta la costruzione, poiché ai Papi pareva ovvio che valorizzare la Roma classica e imperiale, e rinnovarne lo spirito, significava restituire alla Roma dei loro tempi l’autorevolezza spettante alla sede di Pietro.

La Schola cantorum al centro della navata

San Clemente poi fissa con precisione quello che diventerà l’indice di riferimento per ogni chiesa da lì in poi a Roma e nelle terre dei Papi. All’impianto basilicale su tre navate e tre absidi, sparite da colonne, con copertura a capriate, si aggiunge un’attenzione fortissima verso gli arredi liturgici che completano la funzionalità della luogo della celebrazione: “Nelle chiese romane – scrive Carlo Tosco parlando proprio di San Clemente – si afferma il ‘basso coro’: una recinzione posta di fronte all’altare, riservata ai cantori, che occupa gran parte della navata maggiore. Il recinto ospita il coro dove viene celebrato ogni giorno l’ufficio liturgico, con la presenza di un doppio ambone, uno maggiore riservato alla lettura del Vangelo (a sinistra) e uno, più piccolo, alla lettura dell’Epistola (a destra)”. E ancora: “L’arredo sacro è completato dell’altare sormontato da un ciborio, posto tra il coro e l’abside, e dal seggio vescovile addossato alla parete di fondo”.

“Basso coro” (o schola cantorum), ambone (doppio) per le letture, ciborio sopra l’altare: così la nuova San Clemente disegna se stessa e ispira la fisionomia della tipica chiesa romanica romana, che torna, per citare solo due esempi, in Santa Maria in Cosmedin, dentro l’Urbe, ma anche a Castel Sant’Elia, poco distante dalla capitale. E per non dire dei pavimenti, che secondo il Tosco si fanno nuovi proprio qui: “Nell’allestimento liturgico di San Clemente fa la sua comparsa l’opera dei marmorari romani, gli artefici che diventeranno protagonisti dell’ornamento delle chiese tra XII e XIII secolo, in seguito identificati dalla storiografia ottocentesca con il nome di Cosmati”.

La cattedra sul fondo dell’abside
La facciata neoclassica

Si entra in San Clemente un po’ confusi, per quei secoli d’arte che stanno sepolti sotto le sue fondamenta, e per quei rimaneggiamenti barocchi che gravano sulla chiesa, dagli archi dei colonnati in su e poi in alto, nella copertura lignea a grandi quadri dipinti che ha sostituito l’originario susseguirsi delle capriate. Ma là dove il visitatore cammina, e là dove si muovevano e pregavano e celebravano religiosi e laici del tempo romanico, San Clemente è una splendida mappa, uno splendido manuale della liturgia di quei secoli. Ed è emozionante scoprire come nella sua navata, archetipo del “romanico romano”, “architettura e decorazione – per concludere con le parole di Carlo Tosco – vengono concepite in un progetto unitario, che punta a una nuova sintesi tra lo spazio costruito e lo spazio sacro”.

Alcune delle foto sono prese dalla pagina Facebook della Basilica di San Clemente, molto ricca di immagini anche delle liturgie attuali.

Fedeli nella navata

7 pensieri su “In cerca del romanico in San Clemente

    • Giulio Giuliani ha detto:

      Nel romanico compiuto, sì. Semplificando, quando dalla volta a botte continua si arriva alla volta a crociera, la volta stessa viene ad essere costituita da crociere allineate in successione, e ogni crociera costituisce, in pianta, una “campata”. In Italia però spessissimo le chiese del tempo romanico non sono coperte da una volta in pietra, ma da una copertura lignea: San Clemente in origine era coperto da capriate in legno, e il soffitto attuale sempre in legno, è del tempo barocco.

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  1. Paolo Salvi ha detto:

    Nel mio unico viaggio a Roma non sono riuscito a visitare San Clemente, forse la più bella tra le chiese romaniche dell’Urbe.
    Studiata ed ammirata da sempre sui testi del liceo e universitari rimane una lacuna da colmare, spero a breve.
    È, come ben dici, un edificio paradigmatico per Roma ed il Lazio, caratterizzato da quegli elementi che diventeranno invarianti nel panorama regionale.
    Sublime.

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  2. Giulio Giuliani ha detto:

    Francesco Giusto (da Fb):
    San Clemente è oggi retta da Padri Domenicani Irlandesi (ti si presentano altissimi, ascetici, rossi capelli).
    Superato il fitto portico esterno, ci si ritrova in ambiente impostato sul classico romanico con innesti successivi dovuti alle intemperie della storia e delle storie.
    Il grande mosaico al termine della navata centrale merita la nostra attenta partecipazione, per la bellezza, la perizia dell’artista, il soggetto sacro.
    Ma è nei piani sotterranei che la Basilica si rivela un autentico libro di memorie: Roma vi è dalle origini ai giorni nostri.
    Quello che più mi è rimasto impresso: il sarcofago in porfido rosso del cardinale Cicognani, gia’ titolare della Basilica; il tumulo incassato nella pietra contenente i resti mortali di San Cirillo: in tempi di pace incontravi ogni giorno una lunga fila di fedeli ortodossi in orazione, gli uomini conserti, le donne bionde con il capo coperto da colorati fazzoletti; più giù il mitreo illuminato, testimone delle culture orientali arrivate a Roma in antichità.
    Su tutto, attraverso tutto, il sottofondo liquido delle acque sotterranee che sorreggono Roma.
    Esci dalla Basilica e torni alla luce, un po’ frastornato dal tanto vedere.

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