Tra gli episodi evangelici più amati dal medioevo romanico, e più spesso rappresentati in questi secoli, c’è la deposizione di Gesù dalla croce. Prima che Benedetto Antelami, a Parma, scolpisse il suo capolavoro, molti altri artisti senza nome – ma forse ancor più schiettamente romanici – avevano dipinto con il loro scalpello questo passaggio pieno di pathos e di emozione. E tra le Deposizioni più belle mai rappresentate su un capitello c’è quella custodita a Madrid, nel Museo Archeologico Nazionale, proveniente da Aguilar de Campoo, dal monastero di Santa María la Real.
Intorno alla croce nodosa, a cui ancora il Cristo è appeso, si muovono quattro personaggi. Piangono ai lati, disperati, Maria madre di Gesù e Giovanni, l’apostolo prediletto: entrambi, secondo la tradizione, assistettero al trapasso, ai piedi del patibolo. Ma è sera, ormai, e due uomini si adoperano per calare il corpo: sono due ricchi ebrei, membri influenti della comunità di Gerusalemme, convertiti dalla predicazione di Gesù. Mentre nei Vangeli sinottici si parla del solo Giuseppe d’Arimatea, è il Vangelo di Giovanni – proprio l’apostolo presente alla scena – a testimoniare la partecipazione di un altro personaggio, Nicodemo, che assume un ruolo di uguale importanza:
Dopo questi fatti, Giuseppe d’Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei (Gv 19, 38-39).
Il capitello di Aguilar, quindi, ci mostra come Giuseppe d’Arimatea riceve sulle sue spalle il peso del corpo di Gesù, tolto il primo dei tre chiodi, mentre Nicodemo armeggia ancora per liberare la mano sinistra del Messia. Cinquecento anni più tardi rispetto all’artista di Aguilar de Campoo, Caterina Emmerich, una mistica tedesca, descrive nelle sue visioni lo stesso avvenimento, e ne evidenzia, proprio come fa il capitello conservato a Madrid, la carica di emozione e sofferenza:
“Era una scena commoventissima: essi usavano gli stessi riguardi, le stesse precauzioni, come se avessero paura di procurare a Gesù qualche dolore, e riversarono su quel corpo tutto l’amore e tutta la venerazione che avevano avuto, mentr’era in vita, per questo Santo dei Santi. Tutti coloro che assistevano avevano gli occhi rivolti al Salvatore, e ne seguivano i movimenti, e ad ogni istante alzavano al cielo le braccia, piangevano le loro lacrime ed esprimevano in ogni modo possibile il loro dolore. Tutto però si svolgeva con la più grande compostezza, e coloro che lavoravano, presi da rispetto involontario, come chi partecipa ad una cerimonia santa, non rompevano il silenzio che di rado e a mezza voce, solo per avvertirsi a vicenda e aiutarsi”.
“Quando il corpo fu calato – dice ancora la santa mistica – venne avvolto dalle ginocchia ai fianchi e deposto fra le braccia della Madre, braccia che alla aveva proteso verso di Lui, piena di dolore e di amore”. I secoli moderni rappresenteranno molte e molte volte questo secondo momento, di cui la “Pietà” michelangiolesca costituisce il vertice inarrivabile. Ma nel capitello di Aguilar de Campoo l’appassionato e struggente amore con cui Maria si appresta a ricevere il corpo del figlio morto si concentra tutto, e tutto si narra, in quella mano destra del Cristo, avvicinata al viso e riempita di lacrime. Ancora la madre non può tenere in grembo il figlio ucciso; e però già il suo cuore è straziato perché, come sottolinea San Bonaventura, tutte le ferite inferte – dai colpi del flagello alla corona di spine, dai chiodi nei polsi e alla lancia conficcata nel costato di Gesù – tormentano tutte insieme ora il cuore e l’animo di Lei.
Sarà piena di eleganza, la rappresentazione che di questo episodio farà l’Antelami, all’alba del tempo gotico, seguendo peraltro lo stesso schema iconografico. E però la “scena commoventissima”, il dolore e la cura, il senso di angoscia e di preghiera, traboccano in questo capitello precedente di qualche decennio, vera e propria visione mistica, in cui la ricerca della bellezza e dell’equilibrio è l’ultimo dei pensieri di chi agisce intorno alla croce, di chi scolpisce, di chi osserva e prega.
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Non c’è, il capitello della Deposizione di Aguilar de Campoo, nel volumetto sui capitelli romanici che Before Chartres propone, finalmente “in carta”, ai suoi lettori più fedeli. E però ce ne sono altri dodici – anzi, per la verità ce ne sono altri quattordici – che hanno la pretesa di essere altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI
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Le storie della Bibbia hanno ispirato e guidato gli artisti romanici. Before Chartres ne ha descritte molte nei suoi articoli, e oggi ha raccolto le più affascinanti in un volumetto pieno di fede, di sapienza e di stupore, che trovi qui: STORIE della Bibbia NELL’ARTE ROMANICA.
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Roberto Romanico (da Fb):
Meravigliosa… una scena teatrale davvero drammatica.
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Carla Guglielmi (da Fb):
Lo stesso pathos però si ritrova in altre opere romaniche: si pensi solo alla Deposizione negli affreschi della cripta di Aquileia, che è bellissima.
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Parallelo pertinentissimo, Carla. Della cripta di Aquileia, e di quella Deposizione, Before Chartres ha parlato qui: https://beforechartres.blog/2018/06/16/aquileia-difficile-la-cripta-e-unoasi/
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Un capitello di raro spessore evocativo questo di Aguilar de Campoo, dove la tensione e il pathos emergono prorompenti, ma rappresentati con estremo garbo.
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