Nelle ultime ore di questa Epifania, ci proviamo, finalmente; chissà che oggi, giorno dedicato, possa risultare meno faticoso scrivere della più faticosa Epifania del romanico, quella cioè del Santiago di Agüero, nel cuore caldo dell’Aragona.
Mentre percorri la strada che ti porta su, che in agosto è spaccata dal sole come poche altre, la chiesa ti si mostra per un attimo, in uno slargo tra gli alberi, e la vedi là in alto, sbucare dal verde che la circonda. C’è davvero una chiesa, lassù; ed è grande, a giudicare dalle tre absidi possenti… Sali ancora fino all’ultima decisiva svolta, e poi la incontri di nuovo, diversa, quasi angosciante, e non solo per colpa dell’afa. In questo posto in cima ad un colle, in faccia all’altura che ospita la cittadina di Agüero, potevano costruirci al massimo un eremo, tanto sono scostanti il luogo e il clima, ed invece vollero qui una grande chiesa. Alla fine non ebbero né questa, né quello. Della chiesa dedicata a San Giacomo – “san Yago” – si tirò su, infatti, solo la parte orientale, e nemmeno quella fu completata a dovere, perché absidi e transetto – la navata non fu nemmeno iniziata – furono coperti in fretta quando si interruppero i lavori: così quello che vedi arrivandoci da ovest non è che un vasto transetto, come braccia aperte senza un corpo, terminato però con un tetto che ricorda le capanne delle spiagge, e dietro al quale si appoggiano le absidi.
Così si rivela, il Santiago di Agüero: duro, incompiuto, deluso, e solitario in mezzo al nulla. Che ci sia una persona, seduta dentro, ad attendere che qualcuno arrivi, è un’altra epifania. Anche se muta e immobile come una sfinge, con la sua presenza paziente consente di osservare anche quel che resta – o meglio quel che fu realizzato – dei progetti ambiziosi: la muratura è possente e pesante, e il tratto distintivo è l’uso frequente delle colonne addossate, che segnano le absidi sia dentro che fuori, come contrafforti, e secondo gli studiosi sono un elemento mutuato dalla vicina Castiglia. Ma della visita a quest’aula triste e inutile non può che restare, come ricordo più nitido, il contrasto tra il buio dello strano spazio interno e la luce tagliente che penetra dall’unico ingresso, la porta, stretta, sulla testata del transetto, rivolta proprio a mezzogiorno.
Fuori, questa porta meridionale è un bellissimo portale. D’estate la luce del sole lo avvolge con tanta violenza che piuttosto che osservarla in loco è quasi più facile rileggerla attraverso le fotografie, e lo stesso fotografare è un’impresa.
Anche il portale è una nuova Epifania, con i Magi che, nella lunetta, adorano il Bambino. Pochi dubbi sull’autore di questo rilievo: non può che trattarsi di quello scultore – o di quell’atelier – che proprio da qui prende il nome di “maestro di Agüero”, e che ci ha lasciato, come suoi capolavori, i capitelli del chiostro di San Juan de la Peña, oltre a molte altre opere in giro per la regione. Commentando quei capitelli abbiamo parlato di una modernità ripetitiva, quasi grafica, come di una scuola che, guidata da un maestro, si proponesse addirittura realizzare le proprie opere “in serie”…
E il portale del Santiago, pur pieno di fascino, non smentisce la tesi: secondo Angel San Vicente, che racconta l’Aragona romanica per Jaca Book, gli undici pezzi che lo compongono – cioè la lunetta, gli otto capitelli e le due mensole sotto la lunetta – potrebbero essere stati scolpito in bottega, e trasferiti qui dopo essere stati acquistati alla bisogna. Lo si dedurrebbe dalla discrepanza tra la forma e la dimensione della lunetta, visibilmente adattata all’archivolto, e dalla ripetitività dei soggetti dei capitelli, nei quali è impossibile riconoscere anche un’ombra di discorso logico: ci sono leoni, vegetali, mostri e ballerine (quelle, appunto, del maestro di Agüero), e ancora soldati affrontati e un centauro… ma pezzi e iconografie sono messi insieme senza né logica né coerenza figurativa. Anche sul tema dell’adorazione dei Magi, il maestro, con la sua scuola, si era già cimentato e ancora lo farà. E’ innovativo nel tratto: c’è tra gli studiosi chi ha datato proprio questo rilievo al Trecento avanzato, dicendo che un re mago che bacia il piede del Bambino non si vedrà che con Giotto e i Pisano. Ed è innovativo nella produzione: risulta infatti nuova, dopo secoli di sculture realizzate in loco e sotto l’attento sguardo dei committenti religiosi, la disponibilità del “maestro di Agüero” ad accettare commissioni da lontano, quest’ansia di produrre, di vendere, di accontentare anche attraverso la riproduzione degli stessi modelli, questa modalità di produzione artistica – è possibile un paragone con la vicenda artistica di Ruggero, Roberto e Nicodemo in Abruzzo? – che senza dubbio precorre i tempi.
Nulla resta immutabile, nemmeno nel tempo dell’arte romanica, che pure a lungo ha pensato se stesso come un’epoca senza futuro. E così, invasa di luce, l’Epifania di Agüero – come certi altri luoghi “di passaggio” – rivela un mondo della produzione artistica che, alla fine del XII secolo, muta rapidamente e intraprende strade nuove. Anche queste dure, inattese, portatrici di sorpresa – proprio come quella che sale al Santiago – e per questo ostiche per gli amanti del romanico, che delle novità per indole diffidano, e dalle novità preferiscono tenersi alla larga.
P.S.: C’è un’altra Epifania – l’ennesima – nel Santiago di Agüero: un fregio decorato, alto una spanna, corre lungo tutta l’absidiola destra, e racconta le vicende della Nascita e dell’Infanzia. Prezioso, e però inatteso, nel buio dell’interno rischia di sfuggire. E un po’ già fugge, verso il gotico: forse se ne riparlerà, qui su Before Chartres.
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Bellissimo articolo sul terminar di questa Epifania.
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Gloria Benni (da Fb):
Come avete descritto bene la visita a questa chiesa. Sembra di visitarla insieme a voi. Devo andare in Spagna perché grazie a Before Chartres ho scoperto che ci sono tantissime chiese romaniche che non conoscevo.
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In realtà non è strano che non ci sia un programma iconografico preciso, che la norma sono piuttosto figure e temi ricorrenti sparpagliate senza un’idea unificante forte nelle costruzioni minori come questa.
Me lo segno per il viaggio di quest’estate.
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Ho potuto ammirarla quest’estate, sotto il sole estivo pomeridiano, forte e aggressivo, ma non mi è stato possibile vedere l’interno.
Ma le absidi e questa lunetta originale con l’Adorazione dei Magi mi è rimasta impressa, e, dal disegno dei volti soprattutto, si scorge la mano del maestro che scolpito i capitelli di San Juan de la Peña. Il Maestro di Agüero.
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Luis Juan Orts (da Fb):
Bellissima chiesa, sono stato lì qualche anni fa, e in quel luogo dove si trova, c’è qualcosa di magico che lo circonda, quando io lo contemplavo una strana sensazione di calma e serenità mi ha invaso dentro.
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