L’Abruzzo è… amboni e cibori d’autore

Hanno letteralmente scolpito i loro nomi nel secolo d’oro del romanico abruzzese: sono Ruggero, Roberto e Nicodemo – il primo è il padre, gli altri due sono i figli -, e alla bottega da loro guidata si debbono i pezzi più belli e più caratteristici della scultura “a stucco” della metà del XII secolo nella regione. Passandosi via via il testimone, a volte lavorando in coppia e comunque sempre secondo stilemi sovrapponibili, Ruggero, Roberto e Nicodemo ci hanno lasciato, oltre a vari capitelli riferibili al loro atelier, due cibori – particolari baldacchini posti a coprire l’altare – e tre amboni – luoghi soprelevati da cui si proclamano le letture della liturgia – che sono tra le più particolari eccellenze del medioevo in Abruzzo. Per vedere e confrontare questi due cibori e questi tre amboni, tutti legati tra di loro per la particolarissima decorazione a girali vegetali in cui fluttuano omini nudi e animali, occorre visitare quattro chiese differenti, in un cammino intrecciato e appassionante che fa un po’ girar la testa, e che Before Chartres prova qui invece a riassumere in modo schematico.

Il ciborio di San Clemente al Vomano, di Ruggero e Roberto

All’inizio a guidare la squadra era il padre, ovviamente. E la firma di Ruggero si ritrova nel primo dei cinque meravigliosi pezzi di arredo, e cioè nel ciborio di San Clemente al Vomano, insieme a quella del primo figlio, Roberto: l’iscrizione sul ciborio dice PLURIBUS EXPERTUS FV(I)T (H)IC CUM PATRE ROBERTU(S) … ROGERIO DURAS REDDENTES ARTE FIGVRAS, e dà merito quindi al mastro Roberto “esperto in molte cose”, aiutato appunto dal padre Ruggero. Qui in San Clemente al Vomano probabilmente Ruggero e Roberto, che operarono insieme tra il 1140 e il 1150, realizzarono anche un ambone, di cui però, purtroppo, non resta alcuna traccia.

Il secondo e il terzo dei nostri cinque capolavori stanno nella chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta, a Rosciolo: qui infatti troviamo sia un ambone che un ciborio. L’ambone, purtroppo in parte mutilo, datato al 1150, è stavolta opera di Roberto, secondo quanto si legge nell’iscrizione lungo il parapetto della scala, che recita INGENII CERTUS VARII MULTIQUE ROBERTUS HOC LEVIGARUM NICODEMUS ADQUE DOLARUM. Scopriamo quindi che a Roberto, qui a Rosciolo, si associò il fratello minore Nicodemo: insieme, i due scultori eseguirono nella stessa chiesa anche il ciborio, assai simile nella struttura a quello di San Clemente al Vomano.

Da qui in poi è Nicodemo ad operare come firma e come maestro dell’intera bottega, che nel frattempo dev’essere passata sotto la sua guida. A Moscufo, nella chiesa di Santa Maria del Lago, Nicodemo scolpisce il mirabile ambone che, realizzato sul modello di quello di Roberto a Rosciolo, è forse il più affascinante e il più completo tra i grandi pezzi d’arredo della produzione dei tre maestri. Una iscrizione recita espressamente: HOC NIHODEMUS OPUS DUM FECIT…, garantendoci così quanto all’autore, anche se ne storpia leggermente il nome; un’altra iscrizione permette di datare l’opera con precisione all’anno 1159.

L’ambone di Moscufo (purtroppo al momento ingabbiato per sicurezza), di Nicodemo
L’ambone di Cugnoli, di Nicodemo

L’ultimo capolavoro della scuola di stucco dei tre maestri non è firmato, ma tutti gli studiosi lo attribuiscono di nuovo a Nicodemo: è l’ambone, datato al 1166, che oggi si trova nella parrocchiale di Cugnoli, quasi un gemello rispetto all’ambone di Moscufo, ma privo della scala di accesso – che doveva ripetere il modello consolidato di Rosciolo e Moscufo, con la rappresentazione della vicenda del profeta Giona – e purtroppo pesantemente restaurato.

Con questi cinque grandi componenti d’arredo liturgico, così pieni di dettagli e rilievi, e così vicini e simili tanto da essere inconfondibili, l’atelier di Ruggero, Roberto e Nicodemo marchia profondamente l’evoluzione dell’arte scultorea nell’Abruzzo del tempo. Il Fobelli, nell’Enciclopedia dell’Arte Medievale, evidenzia “gli influssi arabeggianti nelle fittissime decorazioni, negli ornati che simulano caratteri cufici e nell’impiego dell’arco a ferro di cavallo o trilobo”, e sottolinea che “l’influenza islamica è stata riconosciuta mediata attraverso la Puglia, la Sicilia, la Spagna (…) e l’Africa settentrionale (…)”; spiega infine che non va trascurata la tesi secondo cui “i componenti della bottega, non abruzzese, sono stati ritenuti di origine normanna”. E certamente, questo gruppo di artisti agli ordini dei tre maestri, questa squadra dalle ascendenze nordiche, orientali e musulmane, e però ormai decisissimamente radicata nella terra d’Abruzzo, produsse altri pezzi ora perduti: il pulpito “che non c’è” di San Clemente al Vomano, di cui si diceva; ma anche un ciborio oggi distrutto a San Clemente a Casauria, e ancora il ciborio che Nicodemo avrebbe costruito nel 1151 nella parrocchiale di San Cristinziano a San Martino sulla Marrucina, poi perduto quando la chiesa fu rasa al suolo da una tromba d’aria nel primo Novecento.

E allora non è azzardato concludere che per almeno vent’anni Ruggero, Roberto e Nicodemo, con la loro grande abilità nella scultura a stucco e con la loro capacità di realizzare opere dall’identità assoluta, segnarono profondamente il loro tempo – ci riusciranno, a proposito di amboni, anche i Pisano, un secolo più tardi – proponendosi come il riferimento insostituibile per le chiese d’Abruzzo, e per chi avesse l’intenzione di rinnovarne gli elementi necessari alla liturgia. Il monopolio dei tre maestri e della loro squadra non durò, però, a lungo: “Prima di tutto – spiega Francesco Gandolfo – proprio per la qualità povera del materiale impiegato, saranno gli arredi di stucco ad essere soppiantati, perché il gusto della committenza si orienterà verso soluzioni più ricche. (…) Infine saranno proprio le esperienze figurative di carattere narrativo, che la scultura si avviava a fare anche in Abruzzo, a rendere desueta e non più proponibile quella somma disorganica di immagini che la bottega era riuscita a trasformare, per un paio di decenni, in un prodotto di successo”.

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6 pensieri su “L’Abruzzo è… amboni e cibori d’autore

  1. Paolo Salvi ha detto:

    Quanto sia bello l’Abruzzo per un amante del romanico è cosa nota, così come è ben nota la qualità e frequenza di amboni, pulpiti e cibori istoriati del XII secolo.
    Come poche altre zone d’Italia (Toscana, Pisa e Pistoia in particolare) questa regione è ricchissima di amboni e cibori, che vanno oltre ai cinque splendidi pezzi che hai ottimamente segnalato, opera dell’atelier di Ruggero, con Roberto e Nicodemo, suoi figli.
    San Pietro ad Oratorium (Capestrano) ha un ciborio, San Clemente a Casauria un ambone ed un ciborio, Santa Maria Maggiore a Pianella (PE) ha un ambone, San Pietro in Alba Fucens ha un ambone… Potrei continuare una lista ancora abbastanza lunga di opere pregevolissime, ma già queste sono sufficienti per annoverare l’Abruzzo come terra degli Amboni romanici.

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    • Giulio Giuliani ha detto:

      E certo che sì, Paolo: aggiungendo, quanto agli amboni, San Liberatore a Maiella, e Bominaco, e San Pelino a Corfinio e… Ma questi amboni sono quelli… alternativi, quelli dalle forme tradizionali e dalla decorazione classica, quelli a cui i tre maestri degli amboni in stucco hanno provato a rubare il campo, riuscendoci per un vent’anni o poco più.

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      • Paolo Salvi ha detto:

        Infatti mi sono fermato. Che Bominaco, Corfinio, Serramonacesca sono tra i più pregevoli e da me amati… Torno e ritorno tutte le volte che posso, come ben sai, a scoprire ogni volta qualcosa che mi era precedentemente sfuggito.

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