San Clemente e i suoi due “art director”

Tra le chiese romaniche d’Abruzzo non è la più nota; e però San Clemente al Vomano non delude e, anzi, eccelle, bella e notevole soprattutto per il senso fortissimo di unitarietà che pervade il suo interno. Qui i tre colori dell’architettura romanica – il bianco dei marmi, il bruno della pietra e il rosso dei mattoni – si alternano in perfetto equilibrio, come in certi affreschi poveri del tempo, dove non si sente affatto il bisogno di altre tinte e di altra ricchezza; qui, ancora, l’intervento, a cantiere praticamente concluso, di due grandi maestri scultori – lo vedremo – avrebbe potuto spezzare quest’equilibrio, e invece lo ha ulteriormente rafforzato.

L’iscrizione con la data

La chiesa data al 1108, come certifica l’iscrizione in facciata, che recita: +ANNI AB I/NCARNA/IONE DNI/ NOSTRS IESU XPI/ SUNT M/LCVIII/ INDIC/IONE XV. Costruita, come spesso accade, su una basilica preesistente – nella navata, una vasta porzione di pavimento in vetro permette di vedere un’area cimiteriale sottostante – San Clemente riutilizza elementi anche molto più antichi. I sostegni sono vari – si susseguono colonne romane di spoglio, pilastri rettangolari e pilastri circolari in mattoni – e varie sono le tipologie di capitello, con pezzi antichi riutilizzati, con capitelli coevi alla chiesa, e con altri probabilmente modificati nel XII secolo. Ognuno di questi elementi, però, non va in dissonanza rispetto agli altri, e contribuisce invece alla delicata e arcaica unitarietà dell’insieme.

È color dei mattoni anche il notevolissimo ciborio, realizzato in terracotta scolpita, che senza dubbio è il pezzo più pregevole di San Clemente, in grado, da solo, di soddisfare anche chi, in una chiesa romanica, non si contenta dell’atmosfera e dell’anima. Tutta la navata sembra condurre ai piedi di questo grande pezzo d’arredo; tutta la navata anzi concentra sul ciborio gli sguardi, anche per la particolare conformazione del piano di camminamento, che in altri due punti, e non solo all’inizio del presbiterio, si eleva di qualche gradino, dando il senso di una progressiva ascesa.

Realizzato dal mastro Roberto, “esperto in molte cose”, aiutato dal padre Ruggero – come certifica l’iscrizione PLURIBUS EXPERTUS FV(I)T (H)IC CUM PATRE ROBERTUS … ROGERIO DURAS REDDENTES ARTE FIGVRAS – il ciborio di San Clemente è databile agli anni tra il 1148 ed il 1166, e si inserisce nella fioritura di amboni e cibori, appunto, che vede operare in Abruzzo la bottega guidata da Ruggero, poi da Roberto, e più avanti da Nicodemo. Realizzato da due artisti che lavorano in naturale continuità, presenta una notevolissima unitarietà artistica, ed è percorso in ogni parte dai rilievi tipici della scultura abruzzese del periodo, abitato da quegli omini e da quegli animali persi tra i rami e i girali vegetali, che in questa terra si trovano anche a Moscufo, a Rosciolo, a Cugnoli, a Casauria

La navata, con il pavimento che sale via via verso il presbitario

Pieno di fascino è il modo con cui, dal ciborio e dal pulpito, il lavoro di Roberto e Ruggero sembra permeare di sé anche il resto della chiesa. Si immagina che i due artisti abbiano realizzato qui anche un ambone, ora scomparso, che sarà stato simile a quelli successivi di Rosciolo, di Moscufo e di Cugnoli: indizio a favore di questa supposizione sono i pilastri dalla base molto estesa che sono stati inseriti nella navata, modificando il progetto iniziale per garantire all’ambone un’adeguata base d’appoggio. Si dice, ancora, che proprio le polveri derivanti dall’opera degli scultori su ciborio – polveri in sostanza di terra cotta – siano state utilizzate per completare “in rosso” le decorazioni “a niello” dell’altare sottostante, con arabeschi e un Agnus Dei al centro, che era stato realizzato al tempo dell’edificazione della chiesa, cinquant’anni prima dell’arrivo in cantiere di Ruggero e Roberto: è, questo, un altro esempio dell’intervento dei due scultori, che non solo realizzarono i pezzi cruciali dell’arredo liturgico, ma modificarono con intelligenza, alla ricerca di una nuova dolce coerenza, anche altri elementi di una chiesa che, pensata decenni prima, stava ormai per essere completata.

Questo lavoro di cesello di Ruggero e Roberto su elementi preesistenti della chiesa risolve probabilmente anche quello che si potrebbe definire l'”enigma” di San Clemente al Vomano, e cioè l’attribuzione ai due scultori di alcuni capitelli della navata: “Come mai in un edificio del 1108 – scrive lo storico dell’arte Francesco Aceto – si trovano capitelli manifestamente appartenenti alla officina di Ruggiero e Roberto, noti soltanto tra il 1148 ed il 1166?”. Si tratta di una questione non da poco, che ha addirittura spinto un altro studioso autorevolissimo, il De Logu, a posticipare di cinquant’anni l’edificazione della chiesa – e per questo a leggere quel “MLCVIII” sulla lapide del portale come “1158” -. Accade invece che la chiesa fu edificata nel 1108, con i suoi sostegni e i suoi capitelli. E che Ruggero e Roberto, cinquant’anni dopo, dimostrando anche qui il loro desiderio di rinnovare, in coerenza con il loro lavoro, tutto ciò a cui poterono mettere mano, abbiano “rilavorato” – lo fece anche Nicodemo a Moscufo! – anche quei capitelli in cui ancor oggi risulta evidente il loro stile e la loro arte particolare.

E così, se alcuni capitelli di San Clemente sono sicuramente “di spoglio”, altri dialogano ancora più coerentemente con gli arredi liturgici realizzati dai due maestri: lo fa in particolare quello sulla terza colonna di destra, dove la testa di un montone, quella di un uomo e quella di un leone sbucano dal fogliame, e sembrano dire insieme che a scolpirle furono – magari in una pausa del lavoro su ambone e ciborio – la mano instancabile e pervasiva di Ruggero e Roberto.

La chiesa di scorcio

5 pensieri su “San Clemente e i suoi due “art director”

    • Giulio Giuliani ha detto:

      In realtà, se posso permettermi, il Duomo di Caserta Vecchia ha una linearità e una pulizia formale, quasi un’aurea classica, che invece qui a in San Clemente al Vomano non c’è, sostituita da un’atmosfera pienamente e rudemente romanica. Ma è il mio pensiero, Antonio… Poi sì, sono due chiese entrambe ricchissime di fascino.

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  1. Paolo Salvi ha detto:

    Un altro gioiello del romanico abruzzese che brilla anche per i suoi arredi interni. Qui manca il pulpito che a rigor di logica sarebbe dovuto esserci insieme al meno frequente ciborio. Interessane la ricostruzione della datazione dell’edificio e del ciborio, così come la descrizione delle sculture più rilevanti.
    Un luogo in cui sono stato e in cui torno prossimamente di tornare per assaporarlo meglio.

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