Modena, tutti matti per il pontile

Oggi il “pontile” della cattedrale di Modena sembra quasi un alveare. Posto là, in fondo alla navata, attira gli sguardi (e le folle), vero centro focale di tutta la chiesa. Crea una strana cesura, questo lungo parapetto scolpito, a cui si appoggia a sinistra un ambone: rende impossibile da sotto vedere il presbiterio, che invece nelle altre chiese è in bella vista; e addirittura mette in ombra l’abside, intercettando l’attenzione del visitatore. Ma soprattutto, come un formicaio, nei giorni dei turisti il pontile brulica di passi e persone.

Il pontile visto dalla navata

Durante tutta la giornata, i gruppi prima sfilano davanti a quest’opera nel varco tra i primi banchi e l’attuale presbiterio, e fanno foto; poi lo ripercorrono tutto in senso opposto nel passaggio più vicino, proprio sotto le sottili colonne, e da qui si guardano col naso in su le figure delle lastre e dei capitelli, e di nuovo alzano i cellulari; altri, entrando e uscendo dalla cripta, sbucano dai tre varchi posti proprio sotto al pontile, o vi si infilano; spostati ai lati, i fotografi più ambiziosi prendono istantanee di scorcio; un flusso continuo di visitatori, infine, salito dalle scale laterali, si muove in continuazione proprio sopra il pontile, e si affaccia; e come fosse su un belvedere scatta foto – è il posto giusto per ritrarre dal presbiterio la navata – e intanto finisce per rendere inutili gli sforzi dei visitatori-reporter che si affannano, di sotto, per scattare almeno una foto pulita. E pensare che questa specie di giostra, di grande attrazione oggi percorsa di sopra e di sotto e in ogni direzione, era stata costruita, a suo tempo, per separare, dividere, allontanare, creare silenzio e distanza tra l’umano e il sacro.

Qui e nella foto sotto, visitatori e cellulari intorno al pontile

Il pontile narra le vicende della Passione – Lavanda dei piedi, Ultima Cena, preghiera nei Getsemani, Bacio di Giuda, Flagellazione, Via Crucis – e costituisce una delle prime modifiche che, ancora nel medioevo, vennero apportate alla grande cattedrale che Lanfranco e Wiligelmo costruirono all’inizio del XII secolo. A lungo è stato considerato come un’opera voluta dai “maestri campionesi”, quella generazione di architetti che nei due secoli successivi, il Duecento e il Trecento, divennero padroni della fabbrica, e si diedero ad una importante manutenzione: modificarono le coperture, inserirono nella facciata il rosone, l’edicola e i portali laterali, completarono con una guglia gotica il campanile, e arricchirono, appunto, il presbiterio rialzato con il mirabile parapetto istoriato e con l’ambone semicircolare. La critica più recente riporta indietro la realizzazione del pontile, e con esso dei rilievi della Passione, agli anni tra il 1165 e il 1184: siamo quindi al cospetto di un’opera scultorea del romanico tardo, realizzata non dai campionesi, ma da maestranze vicine a quelle che, nello stesso periodo, operarono al Battistero di Parma; al Duecento già avviato sono invece databili i plutei, di gusto già gotico, che costituiscono l’ambone, con il Cristo in gloria, i Viventi e infine due coppie di Padri della Chiesa.

Turisti sopra al pontile visto dal lato dell’ambone
Il parapetto “spogliato” delle lastre istoriate

Tutti concordano nel dire che il pontile mutò, già nella seconda metà del XII secolo, l’originario collegamento tra navata e presbiterio voluto da Lanfranco, che prevedeva probabilmente un più consueto scalone centrale. Il parapetto, decorato e posto quasi come una barriera, venne pensato e realizzato con l’intento di allontanare il celebrante e la liturgia sacra dal resto della chiesa e dall’assemblea dei fedeli. Svolse questa funzione per alcuni secoli fino a quando, alla fine del Cinquecento, venne smembrato dai vescovi del tempo: inseguendo il vento post-tridentino, decisero di avvicinare di nuovo il rito ai fedeli, e per renderlo meglio visibile smontarono il parapetto, e lo sostituirono con una leggera ringhiera in ferro; i pannelli con le vicende della Passione e quelli ricurvi dell’ambone vennero murati su una parete laterale del presbiterio.

Le ultime lastre del pontile

Il pontile e l’ambone, così come li vediamo oggi, sono quindi il risultato di una ricostruzione che, avvenuta nei primi decenni del Novecento, volle riportare anche questa parte cruciale del Duomo a com’era nel pieno medioevo. E non è detto che questa ricostruzione sia stata compiuta nel modo più corretto: oggi infatti il racconto della Passione inizia sull’ultimo spicchio dell’ambone, con la lastra che rappresenta la preghiera nei Getsemani; poi il racconto che si snoda sul parapetto, procedendo verso destra, costringe ad un passo indietro, ci fa cioè tornare alla Lavanda dei piedi, e alla Cena, che nel racconto evangelico si svolsero prima; si torna nell’Orto degli Ulivi con il Bacio di Giuda, e poi con il Processo e la Flagellazione e infine con la Via Crucis; due lastre quasi trapezoidali, poste sotto il pontile vero e proprio, fanno memoria di altri due episodi dei giorni cruciali per la fede: nella prima, Giuda riceve da Caifa, sommo sacerdote, e dal tesoriere del Sinedrio il compenso per il suo tradimento; nella seconda, a rinnegare il Maestro è Pietro, che davanti al fuoco nega di conoscerlo mentre un gallo canta, e cantando lo smaschera. A questo articolato racconto della Passione del Signore mancano – è impossibile non notarlo – gli episodi successivi: ci aspetteremmo almeno la Crocifissione, se non anche la Deposizione e la sepoltura; e l’assenza di queste scene ci fa pensare che il pontile realizzato e messo in opera alla fine del XII secolo non fosse stato completato, o non fosse proprio come quello che vediamo oggi.

Il pontile come belvedere

Certamente non era popolato, com’è oggi, di scolaresche e turisti, distratti o concentrati al più sull’aspetto artistico. Possiamo immaginarlo abitato dai canonici, e percorso solo con precisi e lenti rituali; e non c’è dubbio che con i suoi colori – ora recuperati quasi pienamente grazie al più recente restauro – e con il suo racconto pasquale costituiva l’ambientazione ideale per le liturgie d’incenso e di voci in saliscendi che, quasi teatro del divino, si svolgevano in alto sul presbiterio, qui a Modena come in tutte le grandi cattedrali del medioevo.

Una veduta complessiva dell’area presbiteriale

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La Lombardia “alta” è una delle culle, se non la vera culla, dell’architettura romanica. Da qui i “maestri comacini” portarono i segreti della loro laboriosa abilità costruttiva un po’ dovunque in Europa. Questo itinerario in dieci tappe racconta le loro realizzazioni più preziose – da Gravedona ad Almenno San Bartolomeo, da Agliate ad Arsago Seprio a Civate – e lo spirito, i colori, i materiali, i modi e i vezzi che i hanno lasciato nelle chiese delle loro terre d’origine: DIECI PERLE romaniche TRA MILANO E I LAGHI

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10 pensieri su “Modena, tutti matti per il pontile

  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Sono abbastanza rari in Italia i pontili romanici, più spesso chiamati jubé in area piemontese dove brilla quello stupendo e coi colori originali della Canonica di Vezzolano. E ancora più rari mi paiono in chiese cattedrali, per cui è particolarmente pregevole questo di Modena, abilmente ricostruito e riportato ai suoi antichi onori.

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    1. Che dici, Paolo? Pensandoci ora, il pontile di Modena mi pare addirittura più unico che raro. Lo jubé che tu richiami – Vezzolano, ma anche la tua Serrabona – è secondo me un’altra cosa… Qui a Modena i plutei si pongono tra celebrante e assemblea… e in realtà non mi viene in mente un altro presbiterio rialzato che abbia una simile balaustra scolpita. Forse più che allo jubé il pontile di Modena può essere paragonato ad un iconostasi con plutei bassi, come quella di Rosciolo, o quella di San Marco a Venezia? È un paragone improprio?

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      1. Paolo Salvi (da Fb):

        Infatti è una riflessione che mi aveva sfiorato, un pontile che funge da iconostasi, che mi ricorda le chiese conventuali quattrocentesche con tramezzo (non di rado ad archi trasversi) che divide l’aula dei fedeli dal coro dei monaci.

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  2. Gian Carlo Noris (da Fb):

    Intorno al 1957, quando vidi per la prima volta il duomo di Modena, ricordo che la balconata era completata con quadri tra le colonne, dei quali quello centrale raffigurata la Madonna in trono che reggeva su un ginocchio il divino Bambino in piedi con in essere lo zampillo della pipì: vero uomo. E altri quadri ai lati. Ho visto che esiste ancora sulla balconata la struttura che sosteneva i quadri, ma ho verificato che non c’è più memoria di quella esposizione. I quadri forse stanno nel museo diocesano che non ho potuto visitare.

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  3. Anacleto Sabbadin (da Fb):

    Lavorando in Commissione di maturità a Modena ho studiato ogni libro sul suo Duomo… mi ha ispirato nei saggi su poesia lirica, su spazio liturgico medievale, su Teatro medievale… anche in Biblioteca estense ho consultato opere… un grande docente poi di Modena fu Aurelio Roncaglia incontrato a Padova e poi a Roma, fautore di una critica testuale oggi attuale.

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