Sovicille: l’ambizione non realizzata della pieve che pensava in francese

A lungo, nel medioevo, i vescovi di Siena trovarono soggiorno e ristoro presso la pieve di Sovicille: venivano qui d’estate, per respirare un poco d’aria di campagna, ma anche per ribadire la propria presenza ad un vicino ingombrante e invadente, cioè la diocesi di Volterra, allora ben più vasta e ambiziosa di quella senese. Oggi il complesso abbaziale, noto anche con il toponimo di “Ponte allo Spino”, è diroccato e inabitato; e all’ombra delle absidi della pieve si fermano e riposano i cicloturisti, che di questo abbandono non si rattristano: piacciono le chiese isolate, e se sono in rovina, e disabitate, il loro fascino aumenta, e non è facile metterlo in dubbio, qui a Sovicille.

Qui sopra e nella foto sotto, la pieve con gli edifici collegati

La pieve, con la chiesa dedicata al Battista, è diventata un’icona: isolata nei campi, con la torre che s’innalza sopra la chiesa e i pochi edifici intorno, con quel cortile dove le bifore gotiche si affacciano sui resti del chiostro, sembra rispondere come meglio non si potrebbe a chi cerca di straniarsi – ma solo per un quarto d’ora, non sia mai – in un medioevo ideale non meglio definito. E però la pieve di Ponte allo Spino racconta – con la chiesa, i suoi pilastri, la sua facciata e la sua struttura – anche una storia di ambizione e di ripensamento: si dice portatrice di un progetto architettonico peculiare, poi tradito, e almeno agli occhi di Before Chartres è proprio questa vicenda, o quest’ipotesi, a renderla ancora più interessante.

Il cortile interno e i resti del chiostrino

L’interno della chiesa parla come un libro aperto. Innanzitutto a separare la navata dalle navatelle sono pilastri compositi: rispetto a tante pievi medievali della Toscana – quelle famosissime di Gropina, di Romena, di Brancoli, per citarne alcune – le cui arcate, a destra e a sinistra della navata, sono rette da semplici colonne, la chiesa di Sovicille mostra un più compiuto adeguarsi agli stilemi del romanico europeo: proprio con questi pilastri compositi a separare le navate, i costruttori di Sovicille anticipano quello che era il loro intento iniziale, e cioè costruire una chiesa coperta con volte in pietra. I pilastri compositi, in cui ad un fusto centrale si addossano semicolonne, servono infatti a convogliare verso terra il peso di una copertura pesante, e sono ridondanti, per non dire inutili, se poi la costruzione non prevede volte in pietra sulla navata, o almeno volte a crociera sulle navatelle. Tant’è: la chiesa di San Giovanni, alla fine, fu completata con un tetto in legno sia sulla navata centrale che sulle navate laterali.

La navata centrale della pieve

C’è di più. Stando al centro dell’aula, è possibile scorgere il segno chiaro dell’intenzione, poi tradita, di costruire sopra la navata centrale una volta in pietra, a botte con sottarchi, o forse addirittura a crociere: a null’altro potevano servire, infatti, le semicolonne che, nella parte interna dei pilastri, salgono ben al di sopra dei capitelli, per poi fermarsi – rese anch’esse inutili dal cambiamento di rotta – su in alto dove corre una cornice orizzontale: qui doveva essere impostata la volta della navata centrale, che proprio le semicolonne e la cornice avrebbero dovuto sostenere.

Le semicolonne che salgono nella navata

Tutto fa pensare che, secondo il progetto iniziale, la pieve di Sovicille doveva avere coperture in pietra, sia sulle navatelle che sulla navata centrale. Si tratta di una scelta usuale nell’Europa continentale, dove il romanico ha mille volte riproposto sistema pilastri compositi/volte in pietra; e però questo sistema si ritrova solo eccezionalmente nel panorama delle chiese toscane (e italiane) del periodo, moltissime delle quali, come dicevamo, preferiscono le colonne ai pilastri, proprio perché preferiscono la copertura in legno a quella in pietra. Sovicille allora si propone (o contava di farlo!) come una novità coraggiosa nell’Italia peninsulare: per avere un temine di paragone, potremmo guardare alla pieve di Sovana, le cui volte attuali però sono tarde, o ancor meglio a quella di Cavagnolo Po, in Piemonte, che sorse proprio seguendo i modelli “francesi”, e proprio come la nostra pieve di Ponte allo Spino puntò a svilupparsi in altezza e a completarsi poi con volte in pietra.

Un altro scorcio del cortile interno
Le absidi della chiesa

A Sovicille le ambizioni dei progettisti vennero frustrate. Non sappiamo perché né quando i costruttori di Sovicille furono costretti a lasciare incompiuto il loro progetto; e però – va sottolineato – non rinunciarono definitivamente al loro sogno. La pieve infatti non fu terminata ripiegando sul modello alternativo, cioè con la consueta copertura a capriate lignee con tetto a quattro salienti: si optò invece una copertura continua dal centro ai lati, tutt’altro che usuale nel medioevo. E’ allora possibile che questo tetto a due falde fosse, al tempo della sua costruzione, poco più che una copertura provvisoria, in attesa di un momento più propizio in cui riprendere in mano il progetto iniziale e portarlo a compimento. E si potrebbe pensare che provvisoria fosse anche la facciata, così semplice: probabilmente se ne immaginava una ben più articolata da realizzare, magari ornata da un portale “alla francese” come quello di Cavagnolo Po, una volta completata la chiesa nelle sue forme pienamente romaniche.

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6 pensieri su “Sovicille: l’ambizione non realizzata della pieve che pensava in francese

  1. Magda Viero (da Fb):

    Nella zona senese del Montalcino. In mezzo alla spianata si coglie da lontano. Vista da vicino è una delizia: uno degli angoli romanici senesi più belli. Ci sono anche colonne con capitelli “fioriti di tralci”.

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  2. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Sono stato a Sovicille a Pasqua 2006 visitando il senese tra Pienza e Montalcino, un territorio morfologicamente splendido, carico di fascino con le sue crete e le colline verdeggianti. Un’area ricchissima di testimonianze romaniche e medievali, molto apprezzata anche nella enogastronomia. Intorno a Sovicille sono tre chiese pregevolissime, la Pieve di San Giovanni a Ponte allo Spino è una di queste. Il chiostro di Santa Mustiola a Torri un’altra. E poco distante è pure l’abbazia di San Galgano con l’Eremo di Montesiepi, un autentico gioiello.
    Un luogo a cui desideravo tornare un paio d’anni fa’ ma non se ne fece nulla per un invito giunto tardivo.

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  3. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    E’ interessante la ricostruzione delle fasi edificatorie con l’evidente volontà di costruire le volte sopra le navate, presumibilmente a botte su quella centrale, retta da sottarchi (arc-doubleaux) e presumibilmente a crociera sulle navate laterali (o forse a mezzabotte) come in uso in Alvernia ed in molte regioni della Francia.

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