Mai vista una battaglia in cui gli eserciti contrapposti si contendono il corpo, nudo, di un uomo. Quello scolpito sul più bel capitello di Brioude, quindi, non può essere uno scontro qualsiasi, una banale scena di guerra. E a quel personaggio, drasticamente spogliato e drasticamente scolpito, occorrerà ri-dare l’identità e il nome che certamente ebbe; occorrerà riconoscerlo, per ricostruirne la vicenda, e per capire che cosa accade davvero, in quel combattimento scolpito su in alto, nella navata di Saint-Julien.
I critici e gli storici dell’arte – che tanto spesso mi stupiscono per come sanno leggere ogni episodio scolpito, che si ispiri alla Bibbia, alla vita di un santo o alla mitologia – davanti a questo capitello pronunciano poche frasi imbarazzate. Qualche commentatore se la cava parlando genericamente di un combattimento tra soldati; chi entra più nel dettaglio rimanda ai poemi cortesi: “Una battaglia campale – scrive Craplet nel volume Alvernia Romanica di Zodiaque – occupa il capitello. La scena è ingombra di soldati che si disputano il corpo di un uomo nudo, disteso in mezzo, mentre dietro una figura femminile, appoggiata su di uno scudo, suona un corno (…). Senza dubbio si tratta ancora di un episodio dalle chansons de geste, legato al ciclo di Guillaume d’Orange. On ne peut en dire plus”. Non possiamo dire nulla di più; nemmeno se l’uomo tra le due schiere, con i suoi occhi sbarrati, sia vivo oppure morto, mentre il plotone che sembra vincente lo trascina con sé, tenendo lontano con le lance tese i soldati dell’opposta fazione.
Resta che questo è il capitello più bello che ho trovato a Brioude, ed uno dei più belli d’Alvernia.
E poiché a volte una foto può rendere un’opera d’arte ancora più interessante, a me piace ricordare il nostro capitello “dei soldati e dell’uomo nudo” fissato sulla pellicola assieme al capitello vicino, che rappresenta invece due tritoni a torso nudo tra girali vegetali. I due capitelli, pur se affiancati e contemporanei, mostrano sensibilità artistiche opposte: non c’è nulla di più rudemente medievale di uno scontro per il possesso di un corpo martoriato, e non c’è nulla di più disperatamente classico di un capitello che, anche se realizzato nel XII secolo, riprende ed imita una scultura antica. Eppure queste due anime dell’arte romanica possono convivere a pochi centimetri di distanza, nella stessa chiesa, e finire quindi, fianco a fianco, nella stessa inquadratura.

Il capitello dei soldati e quello, attiguo, dei tritoni (foto: F. Guiziou)
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Brioude, l’alta navata
La chiesa di Saint-Julien a Brioude – pur se superata in fama e perfezione da alcune delle sue sorelle – è una delle sei principali chiese d’Alvernia. Non possiede la pura esemplarità di Orcival o di Saint-Nectaire, e anzi pulsa con forza di un carattere più contrastato, dovuto in gran parte al succedersi di differenti fasi costruttive.
Slanciata ed elegante all’esterno è la sua parte absidale, che però non segue il perfetto canone alverniate; l’interno, pur se meno lineare di quello delle basiliche più note, è molto suggestivo. Possente il nartece, su cui si trova una tribuna riccamente affrescata, che si affaccia sull’alta navata (a sinistra, in una foto dal bel reportage di www.madeleine-et-pascal.it), e dell’altissima navata offre una visuale di grande fascino. Anche l’apparato scultoreo interno, molto ricco, è il frutto di interventi e fasi differenti: alcuni dei capitelli, comunque, sono decisamente interessanti, così che anche Brioude costituisce una tappa irrinunciabile in un itinerario tra i bellissimi capitelli d’Alvernia.
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Non c’è, questo pezzo notevolissimo, nel volumetto sui capitelli romanici che Before Chartres propone, finalmente “in carta”, ai suoi lettori più fedeli. E però ce ne sono altri dodici – anzi, per la verità ce ne sono altri quattordici – che hanno la pretesa di essere altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI
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Esiste, a mia conoscenza, un unico episodio, ben noto di battaglia intorno ad un corpo spogliato. Ed è lo scontro tra Greci e Troiani sotto le mura di Troia dopo che Ettore ha ucciso Patroclo e ne ha preso le armi (che erano di Achille). I Greci combattono per recuperare il corpo e lo porteranno all’eroe che tornerà allora a combattere. Che si tratti di tale scontro, rappresentato, ovviamente secondo un’iconografia contemporanea?
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Non ho trovato davvero spiegazioni più approfondite di quella che ho riportato. Ma tornerò in Alvernia prestissimo, e verificherò la tua affascinante supposizione. Intanto grazie!
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Carissimo Giulio, da storico del medioevo che condivide l’insana passione per il romanico trovo questa tua pagina deliziosa. Sul capitello di Brioude l’ipotesi del lettore Andrea è affascinante e perfino plausibile, anche se purtroppo difficilmente verificabile – ma occorre ammettere che molte interpretazioni dell’arte romanica sono inevitabilmente destinate a rimanere belle congetture. Ad esempio, in un articolo del 25 luglio 2010 sulla Domenica del Sole24Ore, Donald Sassoon scrisse che “nel 978 Pietro Orseolo, doge di Venezia, si fece monaco e si rifugiò nell’abbazia di San Michele di Cuixà nei Pirenei. Le illustrazioni dei tappeti che portò con
sé furono poi utilizzati per decorare i capitelli del chiostro. Così l’antica epopea di Gilgamesh arriva, tremila anni dopo, fino in un convento nei Pirenei”. Avevo trovato splendida questa interpretazione (data per certa senza indicazioni di fonti, tuttavia) ma poco tempo fa ne ho parlato con Gherardo Ortalli, che ha studiato a fondo le vicende di Pietro Orseolo, e lui ha escluso che il doge, che fuggì da Venezia in fretta e furia, abbia avuto la possibilità di portare con sé ricche e ingombranti dotazioni di beni. In ogni caso la bellezza e la ricchezza di questi capitelli sta anche nello sperimentare il mistero che può circondarli. A presto. Paolo Galloni
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Cuixà, Venezia, il professir Ortalli, i capitelli medievali, Gilgamesh, i Pirenei… Quante cose hai messo insieme, Paolo, tutte a me care! Grazie per il tuo contributo e per le belle parole.
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Grazie a te, Giulio. I capitelli in cerca di interpretazione sono tanti, ma credo che della conoscenza del passato sia parte anche l’esperienza della sorpresa di fronte a ciò che ormai ci sfugge, che lascia intravvedere racconti che un tempo circolavano e ormai sono perduti e ci permettono solo di immaginare risposte. Mi viene in mente, un altro esempio, un capitello dell’abbaziale di Saint Junien a Nouaillé, vicino Poitiers: due donne tengono legati alla caviglia due lottatori che si affrontano.
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Marisa Foi (da Fb):
Versione interessante… qs zona non la conosco… pur avendo girato tanto in Francia…grazie.. sarà metà delle prossime uscite… Uno splendore.
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Alessio Avanzini (da FB):
L’episodio Omerico della battaglia che si è sviluppata sul corpo di Patroclo è forse l’esempio maggiore. C’è chi vuole vedere in essa la lotta tra il bene ed il male per l’anima.
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Questo sito,che frequento da poco, è di una bellezza inebriante , in senso letterale: non si sa dove volgere lo sguardo, a questa foto, a quella, al testo, a un’altra pagina; scaricherei tutto e stamperei tutto. Grazie
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Sempre affascinati le descrizioni di Giulio ed il dibattito che ne consegue. Me le porto nel mio prossimo viaggio in Alvernia, per vedere con i miei occhi tutto questo splendore.
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Marisa Foi (da Fb):
Ci vado…giuro che faccio il giro di cui voi avete già parlato precedentemente…
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Il capitello di Brioude è alquanto originale. Altri capitelli sia a Brioude che altrove (Blesle) rappresentano cavalieri in arme che si affrontano. Qui i due schieramenti sono appiedati ed al centro un uomo nudo viene preso (o protetto) da quelli a destra, mentre quelli a sinistra appaiono sul punto di ritirarsi. Così almeno dice Zygmunt Swiechowski nel suo magnifico “Sculpture romane d’Auvergne”, sul quale, non ho alcun dubbio, moriresti.
Non si spinge oltre l’autore nell’identificazione della scena. “Il gruppo di destra attacca, incoraggiato dal suono del corno. Il cavaliere che cammina alla sua testa afferra un corpo sdraiato, completamente nudo, che costituisce il centro della composizione. Il gruppo di sinistra, visibilmente in ritirata. Questo ci è mostrato chiaramente dalla direzione di marcia dei soldati e dagli scudi frantumati dalle lance degli avversari.”
Comunque sia e qualunque sia il tema rappresentato, indubbiamente ci colpisce ed affascina questo pregevole, originalissimo, capitello.
E tu non perdi occasione di riportarmi in Alvernia.
“Infandum, Julius, iubes renovare dolorem”
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Che cosa vi fa pensare che si tratti di un corpo morto?
La figura nuda mi sembra molto viva. Ha gli occhi sgranati come gli altri. Vuoi per la paura vuoi per la determinazione di combattere contro il nemico.
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E infatti: chi dice che è morto? Al contrario, non possiamo sapere neanche questo, se sia vivo o no.
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Queste pagine uniscono cultura, bellezza ed eleganza. Non urlano, ragionano
Complimenti
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Ciao Giulio, mi permetto di suggerire una diversa interpretazione, che ritengo consona all’ambiente altomedievale/medievale in cui nasce quel capitello, un’epoca in cui le ribellioni familiari e territoriali contorni legittimo signori erano all’ordine del giorno. A mio avviso si tratta della sconfitta dei ribelli guidati da Assalonne che avevano occupato Gerusalemme esautorando suo padre Davide, una vicenda narrata in II Sam. 13-19. Come è noto Assalonne rimase impigliato con i capelli ad una quercia e venne ucciso nella foresta di Efraim dal generale di Davide (e infatti il corpo conteso ha i capelli tagliati nella parte alta del capo, che giustificano il taglio della chioma per staccarlo dall’albero, altrimenti più che au un giovanissimo Patroclo sarebbe necessario pensare ad un anziano o a un clerico con tonsura. L’esercito di Davide ottiene il corpo di Assalonne che verrà sepolto nei pressi di Gerusalemme, ricomponendo la ribellione e la “pietas” familiare
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Molto interessante, Marco. La storia di Assalonne è nota per l’episodio dei capelli impigliati… molto meno per la “riconsegna” del corpo. Approfondirò.
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Trovo molto interessante il particolare notato da Giulio della tosatura. Se fosse Assalonne, dovrebbe trattarsi di una figura morta. Ma non è. Non sono cetta del termine giusto in italiano, in tedesco parliamo di “Spoliierung”, una “spogliazione” non intesa come riutilizzazione di elementi architettonici ma il rituale di privare una persona della sua posizione spogliandola. Dovremmo esaminare i casi in cui ciò avviene prima della morte di una persona.
Chi ha perso il suo potere (ingiustamente) per poi essere salvato da un esercito intero?
Forse la simbologia sui capitelli intorno può aiutare. La sirena bicaudata di fianco non aiuta.
Ma non necessariamente ci troviamo nel Vecchio Testamento. La scena rappresentata qui è medievale.
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Emanuele Putano Bisti (da Fb):
Sono riportati dalle cronache medioevali molti scontri per il possesso del cadavere di persone supposte sante (ad esempio stiliti in medio oriente). Nota: A destra i guerrieri sono armati “alla normanna” con il caratteristico scudo ad aquilone e l´usbergo che sembra legato sopra il ginocchio, in similitudine a quelli dell´arazzo di Baieaux. A destra invece usano un´altra tipologia di scudo sicuramente non normanno.
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Gilda Gianfrilli (da Fb):
Bellissimo interessante la storia, grazie per le spiegazioni.
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Ania Biondi (da Fb):
Bellissimo… ed ancora più avvincente il capitello accanto. È la prima volta che vedo una sirena bicaudata in versione maschile… “due tritoni a torso nudo tra girali vegetali”.
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Liudmila Pirojenko (da Fb):
I capitelli romanici mi sembrano molto “veritieri”. Perciò andrei a vedere la data di costruzione e a controllare gli eventi locali nei ultimi non più di 50 anni. Perché la scena sembra molto sentita. Un esercito sembra di normanni, ma l’altro forse simile.
Forse nelle cronache c’è qualcosa sul salvataggio del “duca”. No, solo pensieri…
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Meno accessibile delle altre regioni per la sua conformazione, l’Alvernia resistette all’avvento dei Normanni e divenne luogo di rifugio di molti monaci scappati da Tours, da Blois e da Evreux.
I Normanni finirono per penetrare nella regione e commettere le solite devastazioni: vennero realizzati dei castelli in punti nevralgici e gli stessi monasteri e chiese vennero fortificati.
Dipendente dal ducato d’Aquitania fin dal VI secolo, la Contea d’Alvernia, riprese a poco a poco la sua libertà, fino ad essere contesa tra i Conti di Tolosa e quelli di Poitiers, che prevalsero con Guillaume III d’Aquitaine nel 951.
Le divisioni interne alla contea la indeboliranno a tal punto che il Velay verso il 1169 passerà sotto la guida del vescovo di Puy.
Nel corso del XII secolo i re Capetingi si interessarono dell’Alvernia personalmente. Prima di tutto Luigi VI nel 1112 sostenne vittoriosamente il vescovo di Clermont contro il conte Guglielmo VI.
Successivamente Luigi VII, dopo il matrimonio di Eleonora d‘Aquitania con Enrico II Plantageneto, cercò di sottrarre al re d’Inghilterra la regione con ripetute incursioni ma non vi riuscì.
Il trattato di Parigi (1196) fra Filippo II e Riccardo Cuor di Leone stabilisce la pace, ma Riccardo abbandona il suo alleato alverniese, il Conte Gui II e la Francia prova ad invadere l’Alvernia impossessandosi del castello di Tournoël e, temporaneamente, anche della capitale Riom.
I successi e l’abilità di Filippo II gli permisero di dichiarare la confisca dell’Alvernia, ancorché non effettiva, nel 1213. In realtà la terra d’Alvernia, data in appannaggio nel 1241 ad Alfonso di Poitiers, tornò alla corona di Francia solo nel 1271, data della morte del principe.
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