Tra i luoghi eccelsi del romanico, il villaggio di Orcival ha il fascino di grande divo al tramonto, che si schermisce, non mostra più il volto alle cineprese, e negandosi però, per strategia o per scelta, non fa che accrescere il proprio mito.
Tra i luoghi eccelsi del romanico, tra quelli fatti di piccoli nuclei radunati attorno ad una grande chiesa che completamente li domina – conoscete Anzy-le-Duc la solare, la bruna Conques, la spettacolare Mont-Saint-Michel, o Chapaize, fatta di sabbia e di vento? – il villaggio di Orcival meravigliosamente primeggia: ci arrivi da lontano, e lungo la strada che costeggia i colli e i boschi d’Alvernia piano piano, tra il verde intenso che tutto circonda, ti appare il grigio uniforme della basilica, e quello delle case che intorno la servono. E’ il grigio della pietra a rendere questa chiesa diversa dalle gemelle d’Alvernia, insieme alla guglia che termina il campanile, l’unica in questa terra a salire sinuosa e ondulata, quasi un richiamo alla Spagna e all’Oriente; per il resto, tutti lo sanno, anche ad Orcival la grande basilica dà le spalle a chi la guarda – si usa così in questa regione – e mostra al visitatore non la facciata, ma il preziosissimo corpo absidale.

La chiesa vista dalla strada di accesso al Villaggio

Le absidi della chiesa sulla piazza
Ho questo ricordo però: che ad Orcival anche le case del villaggio attendono in silenzio, e anche la gente non si scompone, e di certo non va incontro a chi giunge da lontano. Ai piedi del corpo orientale della chiesa c’è una fontana – conta poco che sia antica o solamente vecchia – e intorno una piazza in cui nessuno si agita, quando arrivi. Orcival, così, sembra un villaggio cresciuto lentamente tra le brume che sorgono dal bosco, pienamente a suo agio quando la nebbia rende le sue case e la sua basilica ancora più grigie. Ho questo ricordo: un’atmosfera immobile, nel piccolo bistrot giornali datati e pochi anziani la cui partita a carte sembra non finire mai. A destra le spalle grigie della chiesa, a sinistra la schiena curva di un vecchio seduto davanti alla sua bottiglia.
Chi è stato a Conques, sa che le mete più spettacolari dell’arte romanica sono strapiene di gente che arriva e di gente che vende, che sfama, che accoglie: come Mont-Saint-Michel, e Vézelay e la Sacra di San Michele , questi siti anelati pulsano di turismo e di commercio, di foto e di crepes e di ticket per il parcheggio. Non così la grigia Orcival. Ferma nel tempo, incastonata nei boschi come un picco di roccia, non batte ciglio per un’auto che accosta e un visitatore che scende.
La basilica accoglie, ma non fa certo feste a chi imbraccia una fotocamera: i capitelli scolpiti, con sirene, centauri, “portatori di montoni”, animali e scene pastorali, sono grigi – eppure l’Alvernia è famosa per i ricchissimi rilievi delle sue basiliche, a volte fin troppo mossi e colorati! -, ed uniforme e ombroso l’interno. E qui allora conviene ammirare con attenzione soprattutto l’architettura, la struttura tipica delle grandi chiese di questa regione: tre navate, introdotte da un nartece, sopra al quale si posiziona una tribuna interna, sono separate tra loro quasi sempre da pilastri compositi – fa eccezione Saint-Nectaire, con i suoi pilastri-colonna -, che hanno il compito di reggere la copertura in pietra, fortemente voluta dagli architetti locali al posto della copertura in legno. Sulla navata centrale, alta e stretta, corre una volta a botte; sulle navatelle si susseguono volte a crociera, su cui si appoggiano i matronei, necessari strutturalmente a consolidare la struttura; il transetto incrocia la navata, e su di esso si sviluppa il massif-barlong, come un piano rialzato che slancia ancor di più la chiesa, e sostiene a sua volta la cupola su cui sorge la torre ottagonale. E dal transetto in poi comincia quella magìa tutta alverniate, quella splendida e articolata terminazione orientale che all’interno è dominata dal coro, con il semicerchio delle grandi colonne – qui ad Orcival sono otto i grigi guardiani del sacro – che separano il presbiterio dal deambulatorio che lo circonda.
Orcival, senza i colori che troveremo altrove, senza il florilegio dei capitelli ipnotici, è quasi un’introduzione, allora, quasi uno schema sommario che evidenzia e spiega l’architettura coraggiosa della regione, che tornerà spesso nelle altre grandi chiese d’Alvernia. In alcune di queste, dipinture moderne e restauri modernissimi hanno introdotto colori che non convincono; ma ad Orcival le pareti e i pilastri, le colonne e i muri, di dentro e di fuori, sono rudi di massi grandi e squadrati, certamente sbozzati dagli scalpellini in autunno, da rocce antiche, in giorni fermi e sotto un sole coperto. E nonostante questo, o anche per questo, il villaggio di Orcival non sfigura certo tra i luoghi eccelsi del romanico, insieme dolce e roca di fumo, come la voce di un Yves Montand alla fine di una lunga giornata.

Il presbiterio della basilica
Amosfera intima, che entra nell’animo con la forza e la fermezza del singolare monumento incastonato nell’intreccio di storia umana e natura. Grazie
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Orcival è una delle mie chiese preferite, ed è vero che guadagna qualcosa dall’atmosfera assonnata del borgo. E’ anche più facile fare incontri interessanti con gentili signore del posto che si offrono come guide o con l’uomo dalla borsa al collo sul capitello.
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