S. Donato, l’età vera incisa nel cerchio

Ci fu un vescovo, uno che non amava affatto il romanico, che alla fine del Seicento s’incaponì, e volle trasformare l’antica San Donato in una chiesa barocca; due secoli più tardi, poi, la grande basilica di Murano subì radicali interventi, e questa volta furono i “restauratori” ad impuntarsi e a pretendere di riportarla alle forme originarie. Mascherata, poi smascherata, e quel che resta è…

La vicenda del vescovo antiromanico ha tratti che fanno sorridere. Parliamo di Marco Giustiniani, vescovo dell’antica diocesi di Torcello, il quale decise di abbandonare la sede tradizionale, già allora, come oggi, praticamente disabitata, e di portare la sua cattedra su un’isola ben più florida tra quelle che stavano sotto la sua giurisdizione, Murano, appunto. Là trovava, già maestosa, la nostra basilica, edificata cinque secoli prima, verso la metà del XII; decise che si costruisse nel presbiterio una tomba per lui preparata; e nel contempo si convinse che non gli andava di dimorare per l’eternità in una brutta buia pesante chiesa medievale. Così avviò una vasta campagna di trasformazione della basilica e fece tutto quanto possibile per trasformarla – con stucchi, legni, intagli e dorature, con cappelle e finte volte e finestroni aggiunti – e per farla diventare una chiesa almeno in parte rispondente al nuovo stile barocco. Tra il 1692 e l’anno della morte, il 1735, spese molti soldi in quest’opera di “rinnovamento” e ottenne anche il risultato di stravolgere l’equilibrio della struttura, indebolendone le parti portanti.

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L’interno della basilica

Le modifiche apportate dal vescovo Giustiniani vennero in gran parte eliminate durante la seconda metà dell’Ottocento quando, come dicevamo, con una duplice campagna di restauro si volle restituire la chiesa, che nel frattempo mostrava gravi problemi di statica, alle forme che aveva in origine, nel XII secolo. Alla fine, fai e disfa, la basilica di San Donato, una delle realizzazioni più importanti del medioevo nella Laguna di Venezia, lascia ben trasparire queste vicende; e pur avendo mantenuto e recuperato le sue linee romanico-lagunari, molto interessanti dal punto di vista della storia dell’architettura, si mostra al visitatore com’era nel medioevo ma… un po’ troppo nuova per essere antica; un po’ come certe chiese romaniche di Catalogna, dove anche in tempi più recenti si è andati giù pesanti con le “ristrutturazioni”.

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La basilica e la sua notevolissima parte absidale

E però San Donato possiede due tesori a prova di perplessità. Uno è costituito dalla bellissima parte absidale, non toccata né dagli architetti del vescovo barocco, né quindi dai restauratori del XIX secolo; parte absidale che Before Chartres ha già presentato in un altro articolo. Il secondo tesoro è il pavimento musivo che, come la chiesa, data al XII secolo. La sua peculiarità è quella di mettere insieme, secondo la lezione bizantina, la tecnica dell’opus sectile, che realizza grandi figure grafiche con piccole tessere tagliate in specifiche forme geometriche – triangoli, cerchi, quadrati, rettangoli – di diverse dimensioni secondo le necessità, e la tecnica dell’opus tessellatum, che invece realizza, con tessere quadrate più piccole e tutte uguali le figure, gli sfondi, le decorazioni e i disegni. Con questa seconda tecnica sono realizzati i pavoni, i grifi, i draghi, le aquile, i grilli da cui il pavimento è ornato, e anche le scacchiere e quegli strani colonnati che secondo alcuni altro non sono che la base per il gioco del backgammon. In opus sectile ci restano i grandi pannelli, e in particolare i grandi cerchi uniti e disposti secondo geometria, di sapore tardoantico.

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Pavoni, simbolo della vita eterna

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Il mosaico con la datazione

Mette insieme le due tecniche il piccolo cerchio in cui è scritto: “DOMINI NOSTRI IHESU CHRISTI ANNO DOMINI MILLESIMO CENTESIMO QUADRACESIMO PRIMO MENSE SEPTEMBRI INDICTIONE QUINTA”. “Nel nome del Signore Nostro Gesù Cristo, nell’anno del Signore 1141, nel mese di settembre, nella quinta indizione”: nel suo cuore più profondo, in barba al vescovo che la volle barocca, e anche a chi con approssimazione le restituì la sua veste antica, la chiesa di San Donato ricorda con precisione la propria data di nascita, il giorno in cui il pavimento fu completato, e con esso tutta la chiesa. Due marchi di fabbrica, due testimonianze del tempo: in San Donato sono proprio lo splendido pavimento e la meravigliosa parte absidale a ricordarci da dove viene e com’era questa basilica antica, quando fu innalzata per la gloria del Signore.

5 pensieri su “S. Donato, l’età vera incisa nel cerchio

  1. Giulio Giuliani ha detto:

    Perlamara – Perle A Lume (da Fb):
    Diciamo che gli interventi più gravosi interessarono le pareti perimetrali, il cleristorio (dove furono aperti ampi finestroni secenteschi) e le absidi laterali; e che i restauri ricostruirono queste parti talora in maniera arbitraria. Però, come spesso nel caso di questi aggiornamenti alla moda (abbastanza frequenti nel ‘600 e nel ‘700), gli spazi interni, colonne e capitelli compresi, furno rivestiti da un apparato posticcio ed effimero di incannicciato intonacato e di stucchi. Al di sotto, dunque, le strutture originarie sopravvivevano. Sicuramente i restauri ottocenteschi hanno cancellato un pezzo importante della storia dell’edificio. Però… personalmente troverei difficile rinunciare all’irripetibile bellezza dell’articolazione delle absidi, a favore della versione “piallata” ed uniforme dell’abside voluta da Marco Giustinani.

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  2. Giulio Giuliani ha detto:

    Debora Bruni (da Fb):
    Nell’articolo quel “E però” così sgarbato in altri contesti mi ha fatto venire una gran voglia di visitarla. La inserisco nel mio tour veneziano di inizio luglio. Grazie per il suggerimento 🙂

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  3. Paolo Salvi ha detto:

    Un gioiello dell’architettura che poteva essere solo a Venezia. Quelle leggiadre logge che contornano le absidi ricordano i palazzi veneziani sul Canal Grande, ariosi ed eleganti, leggiadri appunto. Quanto ai mosaici pochi sono quelli che possono rivaleggiare con essi: certo Otranto, forse Bobbio, ma lascio esprimere gli esperti su questo tema che mi vede poco edotto. Una fortuna che sia stata salvaguardata la parte absidale dagli sventurati “restauri” prima barocchi poi ottocenteschi. Un luogo che devo visitare da tanto tanto tempo. E devo tornare anche a Torcello. Spero molto presto.

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