Brindano al Signore, i ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse. Alzano le coppe, invitati ad un convito che non si trova altrove, se non qui a Capestrano. E’ un gioco, un’illusione; ma davvero negli affreschi di San Pietro ad Oratorium gli Anziani della visione di Giovanni sembrano prendere il posto degli Apostoli all’Ultima Cena.
La chiesa è così semplice – una basilica dalle linee essenziali secondo la tradizione del romanico abruzzese, dai muri grezzi e chiari – che gli affreschi, tutti concentrati nell’abside e intorno ad essa, spiccano là sul fondo con grande evidenza, pur se realizzati con tinte tenui.

Il primo fra i protagonisti a “cambiare di posto” è il Salvatore. Come in moltissime altre chiese romaniche, è rappresentato assiso sul trono, nel momento spasmodicamente atteso della Seconda Venuta; il Cristo in Gloria di Capestrano, però, non ha voluto restare nel catino dell’abside, che normalmente lo accoglie; e con la sua corte consueta – i quattro Viventi e gli angeli che lo scortano – si è trasferito più su, nella parete piana dell'”arco trionfale”. In questa collocazione inusuale, il Salvatore di San Pietro ad Oratorium è ancor più in vista: il suo volto di severo giudice guarda chiunque percorra la navata; e intorno a lui sventolano le ali scure e sottili dei quattro Viventi, e più all’esterno quelle dei serafini.

Anche se c’è chi le considera tarde, queste pitture sono dei primi anni del XII secolo. Scrive Serena Romano: “Per quanto la maniera di questi pittori – tratti pesanti, con profili grevi e fortemente sottolineati di scuro; pochi colori fondamentali, praticamente una serie di terre e di bianchi che consentono le gamme dal marrone scuro al rosso mattone, al giallastro – dia sulle prime un’impressione di una cultura stanca e attardata, tuttavia il suo dato fondamentale è pur sempre quello del nesso con la maniera cassinese che ci è nota attraverso Sant’Angelo in Formis”. Resta il fatto che il Salvatore di Capestrano, rispetto a quello dell’abside a cui si ispira, ha molti meno colori. E soprattutto, questo, dall’abside se n’è andato, cercando per sé e per i suoi uno spazio più vasto.

Ma sono i Vegliardi, dicevamo, a sorprendere ancor di più per la loro collocazione inusuale. Il frescante di San Pietro ad Oratorium, infatti, non ha rinunciato a completare la scena della Seconda Venuta rappresentando anche queste figure che il tempo romanico, seguendo il testo dell’Apocalisse, raramente dimentica:
“…i ventiquattro anziani si prostrano davanti a colui che siede sul trono e adorano colui che vive nei secoli dei secoli, e gettano le loro corone davanti al trono (…) avendo ciascuno una cetra e delle coppe d’oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi”.
Il profilo dipinto del catino absidale a cui si appoggiano i ventiquattro anziani, però, bordato di bianco e decorato con una serie di tondi, richiama la tovaglia di una grande tavola imbandita, su cui già siano stati serviti i piatti con le vivande; e le coppe d’oro di cui parla Giovanni nella sua visione saranno anche “piene di profumi che sono le preghiere dei santi”; ma alzate in questo modo dalle mani dei Vegliardi richiamano un brindisi all’antipasto. La Romano lo evidenzia con tatto: “Un po’ più sotto, i Vegliardi dell’Apocalisse, con corone, in atto di alzare le coppe in direzione di Cristo: la curva dell’arco ha costretto il pittore a disporre le figure a scalare, come in un’Ultima Cena”… Lo dice con tatto; ma la sovrapposizione tra le due immagini, quella del coro festoso intorno al trono e quella della Cena del Giovedì Santo, è inevitabile. E a salvarci dall’equivoco, almeno a prima vista, quasi non basterebbe il numero dei commensali che raddoppia, con i Ventiquattro al posto dei Dodici.

Capestrano incanta, con la sua chiesa nitida e semplice, in cui però una parete, una sola, attira ogni nostra attenzione. Senza chiasso, e anzi con un tratto che, per dirla con Paolo Favole “risolve la composizione in un rigore disegnativo, privo di ricerca plastica e spaziale”, comunque il frescante di San Pietro ad Oratorium ha trovato il modo per raccontare con originalità l’usuale notizia del Salvatore che torna contornato da chi ha il compito di omaggiarne la gloria.
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Molti sono i gioielli romanici d’Abruzzo, oltre a San Pietro ad Oratorium presso Capestrano, che sta a metà strada tra l’Aquila e Pescara (e che purtroppo non è facile trovare aperta). Imperdibile, a a Rosciolo, la chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta, “là dove scolpirono i novizi”. Bellissime poi le altre perle: Santa Maria Assunta a Bominaco, maestosa sui colli; Santa Maria del Lago a Moscufo, fatta di pietre piccole e nobilitata dall’ambone scolpito da Nicodemo; San Liberatore alla Maiella, con la sua mole possente e squadrata; San Clemente a Casauria, la gran cattedrale; e ancora San Pelino a Corfinio, dalle linee nobili e regolari, e infine Alba Fucens, con la sua “pagana” San Pietro in Albe.
Il romanico abruzzese è assai interessante quanto alla scultura e in particolare quanto alla tipica decorazione di pulpiti, architravi, cibori ed amboni, dove gli artisti si sbizzarriscono nella rappresentazione di volute e racemi, in cui si muovono, anche se spesso con difficoltà, uomini e animali: Before Chartres ne parla in questo articolo.
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L’itinerario attraverso le dodici absidi affrescate più belle del romanico è raccontato, a partire dagli appunti di Before Chartres, in un nuovo bellissimo volumetto: si intitola DODICI meravigliose ABSIDI ROMANICHE, è tutto a colori, ed è un vero e proprio viaggio nelle meraviglie artistiche del tempo medievale.
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Nei miei ripetuti viaggi in Abruzzo e Molise alcuni anni fa, penso oltre dieci, lo visitai, ma non ricordo se lo vidi all’interno, credo di si, o se non lo vidi in modo accurato. Dovrei cercare le foto forse ancora in analogico (dia).
Due anni fa ci sono tornato, ma nonostante le chiamate al numero dell’incaricato del comune per farlo aprire, in 15 giorni mai nessuno mi rispose e lo vidi solo all’esterno, molto pregevole, scavalcando la recinzione passando tra una selva di arbusti.
Quest’anno invece mi hanno risposto che a causa della pandemia non lo aprivano. Eravamo a metà luglio…
Al di là della nota personale, ti ringrazio per questo post che mi permette di ricordarne l’interno.
Effettivamente molto particolare questo arcone trionfale con il Cristo in trono attorniato dai simboli die Quattro Evangelisti, come si suole in genere nel catino absidale.
Così come molto curiosa la ghiera dell’arcosolio segnata dalle raffigurazioni dei 24 vegliardi, come davanti ad un desco, che ben riconduci ad un’Ultima Cena, che sembrano prefigurare.
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Trovato chiuso con la conferma che e’ chiuso da tempo e cosi’ rimarra’ poiche’ manca il personale. Attorno al recinto arbusti spinosi e un mare di sporcizia!!
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che splendore !! non è possibile tenere chiuso un tesoro del genere!!!
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Penso che la motivazione per cui il Cristo non si trova nel catino, sia quel grande ciborio che (probabilmente) più tardo, ha fatto sì che l’affresco ( che ricordo è monocromatico rossiccio) fosse concepito nuovamente e più in alto. La questione dell’apertura non riguarda solo questo gioiello, ma tanti in Abruzzo che sono chiusi e a volte difficilmente vogliono aprire. Il mio metodo è un po’ invadente, perché contesto il fatto che devo effettuare degli studi e devono aprire…chiamo il Sindaco direttamente! L’esterno ha un esemplare molto interessante di quadrato magico! E altro….
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