Si torna a Modena, per capire i profeti

Per incontrare i profeti della tradizione ebraica – quasi tutti, ma non tutti – torniamo a Modena. Per guardarli in viso, ci affidiamo a Wiligelmo, che ne ha ritratti dodici, col suo scalpello, nel portale centrale del Duomo, nelle facce interne dei due pilastri che sostengono l’architrave. In questa “Porta Papale”, tutta la decorazione dei montanti, dell’architrave e dell’archivolto è, secondo gli studiosi, opera del maestro; e i dodici profeti – vivaci, differenti l’uno dall’altro nella posa e nei lineamenti, così lontani da certe figure appannate di artisti romanici minori o del tempo gotico – confermano che qui operò un artista di primissimo livello.

La Porta Papale e, sul lato interno degli stipiti, i profeti di Wiligelmo

A ricordare almeno qualche dettaglio della vita dei dodici personaggi biblici, e della loro predicazione, ci aiuta l’agile volumetto di Francesco Maria Feltri, intitolato “I profeti sulla facciata del Duomo di Modena”, in distribuzione nel piccolo bookshop del Museo del Duomo. Feltri ce li racconta a coppie, spiegandoci che Wiligelmo non li ha scolpiti secondo un ordine casuale, sui due montanti, e che invece sono abbinati a due a due, questi personaggi, ed ogni coppia ha il compito di proclamare un preciso messaggio, secondo un puntuale insegnamento teologico.

Si comincia con Mosè, che sta in alto a sinistra, e Abacuc, di fronte a lui in alto a destra: sono i testimoni dell’efficacia della legge e della giustizia del Signore, e in loro si incarnano “l’alleanza antica e quella nuova, e lo sforzo di restare fedeli al comando divino”.

La seconda coppia collega Aronne da una parte ed Ezechiele dall’altra: questi due personaggi – notate che entrambi hanno il dito indice rivolto verso l’alto – possono essere considerati, secondo Feltri, i profeti del Tempio e del Sacerdozio; allo stesso tempo, però, ne annunciano il superamento, poiché “sono figure del mediatore supremo, Cristo, e del sacrificio supremo dell’Agnello” che renderanno obsoleti anche lo stesso tempio e lo stesso sacerdozio giudaico. Per comporre la terza coppia, sono scolpiti uno di fronte all’altro Daniele e Isaia: sono i profeti dell’identità del Messia, perché “in entrambi i profeti si trovano importanti immagini, formule solenni e titoli grandiosi, che il Nuovo Testamento riprende applicandoli a Cristo”.

Vengono poi i due profeti che più pienamente hanno annunciato, nei loro scritti, la Passione del Signore, e cioè Zaccaria e Geremia; figure importanti della tradizione biblica, Zaccaria e Geremia furono “particolarmente amati dalla prima comunità cristiana proprio per il fatto che i loro oracoli potevano dare un senso alla scandalosa morte in croce del Signore”.

Michea e Malachia, due profeti minori posti l’uno di fronte all’altro nella quinta coppia, sono, secondo Feltri, i perfetti annunciatori della salvezza portata dal Figlio dell’Uomo: hanno proposto numerosi spunti a testimonianza che davvero Gesù era quel Messia che le Scritture ebraiche ripetutamente e assiduamente avevano annunciato. Abdia e Sofonia, infine, che nelle due serie dei montanti del portale stanno… al piano terra, possono essere definiti i profeti del Giudizio: i testi a loro attribuiti “contengono entrambi un riferimento all’imminente Giudizio divino, chiamato in entrambi i testi «giorno del Signore»”.

Feltri conclude ricordandoci che altri due profeti, scolpiti anche questi dallo scalpello di Wiligelmo, stanno poco più a sinistra, nella lapide in cui si ricorda proprio la gloria dell’artista che più di ogni altro ha segnato l’inizio della scultura romanica. Uno di fronte all’altro, Elia ed Enoch, reggono un cartiglio le cui ultime parole sono INTER SCULTORES QUANTO SIS DIGNUS ONORE CLARES SCULTURA NUNC WILIGELME TUA (“Ora, per opera della tua scultura, è chiaro, Wiligelmo, di quanto onore tu sia degno tra gli scultori”). Enoch ed Elia hanno avuto entrambi il privilegio di non conoscere la morte; e non a caso il nostro scultore, modesto come pochi, scelse questi due profeti per far dire loro che la sua gloria sarebbe stata imperitura.

La lapide con le lodi a Wiligelmo: Enoch e Elia reggono il cartiglio

Quattordici sono dunque i “profeti” rappresentati da Wiligemo sulla faccia del Duomo, se a quelli del portale aggiungiamo i due della lapide declaratoria. E allora: ci sono tutti, i profeti della Bibbia, su questa facciata, o ne mancano all’appello? A dire il vero, qualcuno è assente, e qualcuno è… “di troppo”. Nel gruppo dei dodici Wiligelmo non ha incluso Elia ed Enoch, che come abbiamo visto tornano però nella lapide in cui si esalta Wiligelmo; ma mancano anche altri personaggi a cui la Bibbia e l’esegesi successiva attribuiscono il ruolo di profeti: non c’è Giona, che il Signore mandò a profetizzare a Ninive e che finì nella pancia della balena; non c’è Eliseo, allievo e successore del grande Elia, non ci sono poi Osea, Amos, Naum, Aggeo… e non c’è Balaam, personaggio della Bibbia un po’ a metà tra il profeta e l’indovino, e che però la vide lunga sulla nascita del Messia, tanto che la scultura romanica gli attribuisce un ruolo incredibilmente importante. E però Wiligelmo compie anche scelte inusuali: come abbiamo visto considera “profeti”, e quindi include tra i suoi dodici, i due fratelli Mosè ed Aronne, che furono per Israele, in realtà, più guide e sacerdoti che profeti in senso stretto.

Non ci addentriamo ulteriormente nelle liste dei profeti maggiori e minori, e nelle valutazioni degli esegeti riguardo al singolo personaggio e al valore delle sue profezie. Con in mano il bel testo che ci ha accompagnato fin qui, cerchiamo piuttosto di definire qual è il ruolo e quali sono le prerogative del “profeta” biblico, che troppe volte è presentato come un anziano che legge il futuro, un indovino. Invece, spiega Feltri, il profeta biblico è una persona che, chiamata a farlo dal Signore, ha il compito, spesso ingrato, di parlare a Suo nome, dire ciò che il Signore intende far udire ad Israele, di ammonire e aprire gli occhi e le menti. Questo infatti è il nocciolo di tutta la predicazione profetica: denunciare i comportamenti ingiusti ed iniqui, riaffermare che il Signore non vuole sacrifici e riti, ma chiede fedeltà vera, cioè atti di giustizia, scelte di equità, e comportamenti che abbiano al centro, proprio come quelli di Yahvé, l’amore per i poveri e gli oppressi.

Càpita che il profeta biblico concluda le sue rampogne con l’annuncio di punizioni future, con la minaccia di una sorte drammatica per chi non saprà ravvedersi o per il popolo intero; e però nemmeno in questi frangenti, nemmeno quando pronuncia queste “profezie di sventura”, il profeta biblico sta predicendo, come fanno gli indovini, ciò che avverrà in futuro. Dio infatti, per suo mezzo, minaccia e ammonisce, ma nulla di ciò che accadrà è già scritto. Contrariamente a ciò che si pensava in Grecia, dove al Fato immutabile e scritto nella pietra non si potevano opporre né gli uomini né gli dei, il popolo eletto sente che a determinare i tempi che verranno sono proprio i comportamenti degli uomini: “Al profeta spetta il dovere – spiega lo studioso – comunicare al popolo il messaggio divino, mentre per i peccatori resta sempre aperta la possibilità della conversione, perché nulla, stando alla concezione biblica, è già scritto e tragicamente immutabile”.

I profeti si intravvedono nel montate interno della Porta Papale

Solo in un caso i profeti della Bibbia diventano indovini: accade, secondo Feltri, quando “di fronte alla miseria e alla disperazione di Israele, Dio annuncia, tramite il profeta, un futuro di pace, di prosperità e di benedizione. Allora si deve essere certi che la parola di Dio, o meglio ancora la promessa di Dio, si realizzerà senza fallo”.

Quale stravolgimento, allora, rispetto al mondo greco e ai suoi profeti e profetesse! La più nota tra queste ultime, Cassandra, annunciava un futuro di sventure, che si sarebbe inevitabilmente avverato, e pure non veniva creduta. Profezie che non concedevano speranza o appello, quindi, e orecchie incapaci di ascoltare: si certificava così, doppiamente, l’assoluta inutilità del pensare e del fare degli uomini. Il Dio degli Ebrei inviava invece al suo popolo annunciatori di sventura che Egli stesso era pronto a smentire, al primo accenno di pentimento del popolo ribelle. Profeti, sì, ma destinati a sbagliarsi nelle loro catastrofiche previsioni, perché la grazia e l’amore di Dio – al contrario del Fato antico – erano sempre aperti al perdono, e anzi garantivano, anche al cocciuto e inaffidabile popolo di Israele, null’altro che un futuro di prosperità, di pace, di equità e, in una parola, di gratuita salvezza, cuore dell’unica vera profezia della Bibbia.

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Non solo Modena: nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.

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La Lombardia “alta” è una delle culle, se non la vera culla, dell’architettura romanica. Da qui i “maestri comacini” portarono i segreti della loro laboriosa abilità costruttiva un po’ dovunque in Europa. Questo itinerario in dieci tappe racconta le loro realizzazioni più preziose – da Gravedona ad Almenno San Bartolomeo, da Agliate ad Arsago Seprio a Civate – e lo spirito, i colori, i materiali, i modi e i vezzi che i hanno lasciato nelle chiese delle loro terre d’origine: DIECI PERLE romaniche TRA MILANO E I LAGHI

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Le storie della Bibbia hanno ispirato e guidato gli artisti romanici. Before Chartres ne ha descritte molte nei suoi articoli, e oggi ha raccolto le più affascinanti in un volumetto pieno di fede, di sapienza e di stupore, che trovi qui: STORIE della Bibbia NELL’ARTE ROMANICA.

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4 pensieri su “Si torna a Modena, per capire i profeti

  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Queste letture aiutano, quando ci si trova di fronte ad un complesso capolavoro architettonico e scultoreo, a soffermarsi su alcuni particolari e dettagli che altrimenti sfuggirebbero in un contesto tanto ricco.
    Aiutano anche a comprendere il perché di certe raffigurazioni, la loro posizione nel contesto e in relazione agli altri elementi, legata inevitabilmente alle Sacre Scritture e all’interpretazione che se ne dava in quel Tempo.

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  2. Licia Lisei (da Fb):

    L’ assenza di Giona mi sorprende moltissimo perché (a parte la straordinaria bellezza di quella storia) Giona è “figura” di Cristo, come Isacco! E comunque, è la grande metafora di ogni resurrezione, anche di quelle minime che riguardano ogni singola vita umana.

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