Cominciò un po’ tutto qui, a Santa María del Mur, cent’anni fa. In questo lembo estremo della Catalogna lontanissimo da mare, c’era un convento con la sua chiesa, e nella chiesa c’era un’abside affrescata, con un delizioso Cristo in Gloria. Che fu il primo Cristo in Gloria del romanico spagnolo ad essere strappato dal muro per finire in un museo.
C’era un convento – dicevamo – con la sua chiesa, e dentro la chiesa c’era l’abside con l’affresco. Nel catino, stava una grande mandorla bordata di onde azzurre e blu, proprio come un cielo che si squarcia, circondata dai simboli dei Viventi e dalle sette lampade dell’Apocalisse; e sotto si dispiegava una teoria di santi ancor più bella, interrotta dalle finestrelle… E però a Santa María del Mur c’era anche un parroco, o comunque un sacerdote a cui convento, chiesa, abside ed affresco erano affidati; il quale, pur non sapendo bene come avrebbero fatto a portarsela via, vendette la grande pittura murale a certi personaggi che venivano da lontano. La cedette ad un esperto d’arte polacco-americano, tale Ignazio Pollak, e ad un italiano capace di praticare l’innovativa tecnica “dello strappo”: aiutato da due colleghi, Franco Steffanoni staccò dall’abside l’intero affresco, portandoselo via, arrotolato come una grande pergamena, in un sottile strato di muro. Era il 1919. Al prete restarono 7500 pesetas, una discreta somma per chi non aveva di che restaurare la chiesa, allora cadente e piena di infiltrazioni. Un paio di anni dopo, il Pantocrator dai grandi occhi neri di Santa María del Mur, ceduto da Pollak ad un antiquario catalano, Luís Plandiura, per 100mila pesetas, fu addirittura portato oltreoceano: lo acquistò per 92mila dollari il Museum of Fine Art di Boston, che lo possiede e lo espone tutt’ora.
Oggi così ci sono due modi per vedere il Pantocrator di Santa María del Mur: volare a Boston per ammirare l’affresco originale ricollocato – com’è tradizione nei musei spagnoli – in un abside ricostruita su misura; oppure accontentarsi della fedele riproduzione che si può comunque vedere nella chiesa catalana. Chiesa che nel frattempo è stata ristrutturata con impegno e intelligenza, e si presenta affascinante e rude, appoggiata al colle su cui sorge, poco lontano, anche un castello; oltre alla chiesa, dalle absidi belle e grezze, dalle murature realizzate in un romanico rude datato all’XI secolo – Santa María del Mur è uno dei primi esempi di romanico “lombardo” al di là dei Pirenei – sono interessanti anche le strutture del “monastero” fortificato e anche il piccolo chiostro, i cui i pochi capitelli figurati ricordano quelli di Lavaudieu…
Ma la collegiata di Santa María del Mur, prima vittima della tecnica dello “stacco” perfezionata dal nostro Steffanoni, diventò un punto di partenza: il trasferimento all’estero dell’affresco colpì le autorità e l’opinione pubblica catalana; e fu a seguito di questo evento che la Comunitat de Catalunya reagì per impedire ulteriori trasferimenti del patrimonio vastissimo della propria pittura romanica: fu così che uno dei “cattivi” della storia, Steffanoni, diventò un “buono” e lo “stacco” degli affreschi diventò il male minore, e molte altre splendide pitture romaniche della regione furono appunto strappate e collocate nei musei, primo fra tutti il MNAC, il Museo nazionale d’Arte catalana di Barcellona. Anche un altro “cattivo” di questa vicenda finì per fare il bene dell’arte: è l’antiquario Luís Plandiura, che dopo aver venduto il nostro bel Pantrocrator al Museo di Boston aveva accumulato a modo suo molte altre opere d’arte; nel 1933 il suo impero commerciale fallì, e finì per cedere la sua intera collezione di tesori medievali, per un valore di 7 milioni di pesetas, proprio alla Municipalità di Barcellona.
E fu così che, quando la Catalogna si rassegnò alla pur dolorosa musealizzazione di un patrimonio altrimenti difficile da custodire – ben altra scelta si potè permettere la Francia! – il merito di aver salvato buona parte dei capolavori romanici delle chiese dei Pirenei, sottraendolo all’incuria e preservandolo dalla vendita all’estero, fu attribuito proprio a due dei protagonisti del “saccheggio di Mur”, un italiano intraprendente e un affarista che fece il bene dell’arte… pur se controvoglia.
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Vuoi scoprire la Catalogna romanica nelle sue suggestioni più profonde? Il modo migliore è farti guidare dagli appunti di viaggio di Before Chartres. Puoi seguire l’itinerario proposto da questo blog: organizzato in sette giornate, ora è diventato un volumetto intitolato LA CATALOGNA romanica IN UNA SETTIMANA.
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Ami le chiese romaniche isolate? Inerpicate ad alta quota, o comunque lontane, ancor più irraggiungibili di Santa Marìa del Mur, altre dodici splendide chiese stanno nel volumetto che Before Chartres ha dedicato – finalmente “in carta” – ai più spettacolari nidi d’aquila del romanico. Lo trovi qui: DODICI CHIESE isolate DEL TEMPO ROMANICO.
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Luca Giordani (da Fb):
Non sono mai stato al MNAC, lo evitai nel nostro viaggio in Spagna. Forse un giorno ci andrò.
Sono combattuto nel dare un giudizio sul distacco degli affreschi, è la classica medaglia con due facce. Da un lato è vero che gli affreschi saranno protetti da furti e vandalismi, e per molti può essere positivo trovare in un unico luogo una tale quantità di opere d’arte straordinaria da ammirare, ma dall’altro penso che strapparli dal contesto per cui erano stati pensati e voluti comporti un conseguente snaturamento di questi capolavori.
Anche se vengono collocati in accurate ricostruzioni, sarà sempre un lavoro posticcio, verrà perduta l’atmosfera, la luce e non si potrà più percepire la storia che li lega al luogo dal quale sono stati separati.
Si tratta di un sintomo di estrema debolezza dei nostri tempi. Potrebbero essere messe in campo altre forme di salvaguardia, ma richiederebbero investimenti, in gran parte a fondo perduto, che nessuno stato può o vuole mettere in campo.
Penso al nostro San Pietro al Monte, cosa sarebbero quegli affreschi senza il pellegrinaggio per salire al monte e tolti dal loro contesto naturale?
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È proprio così, Luca. Il risultato della musealizzazione è che il sito originario perde gran parte del suo fascino. E quando viene collocata una riproduzione particolarmente spettacolare, come a Tahull con il suo bellissimo video che ricrea l’abside affrescata, la chiesa finisce per assolvere alla funzione che dovrebbe essere propria del museo, quella cioè di mostrare e spiegare. Ed finisce per avere ancora meno la capacità di essere suggestiva. Poi la bellezza dell’arte ripaga sempre, ma… resta il dubbio di cosa sarebbe Tahull se potesse avere ancora il suo Cristo, quello vero e vivo.
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Tutto e’ bene cio’ che finisce bene…..
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Narrazione stupenda come sempre, ma come sempre sono d’accordo con Luca Giordani e provo un forte senso di irritazione coi comportamenti ispanici, che per proteggere un bene presunto superiore (affresco), ne deprezzano un altro presunto inferiore (chiesa).
Io, col mio background da architetto restauratore, salvo rarissime eccezioni che vanno però estremamente giustificate sul piano teorico quanto tecnico, sono e sarò sempre per la conservazioni integrale “in situ”.
Quanto alla Francia sul restauro la amo proprio poco, hanno massacrato troppi edifici coi rifacimenti arbitrari, ma almeno questo museo (Trocadero) di danni non ne fa e consente di confrontare da vicino copie di opere straordinarie.
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Buongiorno, molti anni fa sono stata a Barcellona. All’epoca non mi interessavo di arte romanica ma sono rimasta abbagliata da una seria di cappelle contenenti gli affreschi strappati. Magnifici!
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Aldo Valentini (da Fb):
Splendido l’affresco, molto originale, che meriterebbe descrizione ad hoc. Sul distacco e musealizzazione di cui spesso abbiamo parlato resto fermamente contrario, copia semmai nel museo della regione. Restauro sì, ma contrario a ricostruzioni a scopo turistico lucrative.
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C’è un libro altamente raccomandato che completerebbe il tuo post, scritto da Martí Gironell e intitolato -Strappo- in cui l’autore ricrea le spoglie dei dipinti romanici e ci trasporta, con brillante agilità, dal XII secolo all’inizio del XX.
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Salve a tutti. È vero che un affresco ha un legame speciale col muro che gli sta dietro, ma -per estendere il discorso- anche le numerose pale d’altare che tracimano dai nostri musei erano pensate per stare su un altare di chiesa…
Sarebbe sempre preferibile vedere l’opera d’arte nel contesto per cui era stata pensata, compresi quindi le metope del Partenone, i cherubini barbuti assiri, e altro.
Solo che a quel punto cosa rimarrebbe nei musei? Le committenze private (la Gioconda) e opere fuori contesto (la stele di Rosetta).
Per tutto il resto il pubblico dovrebbe sobbarcarsi il viaggio sul posto. Credo che il turismo locale ne beneficerebbe. E Firenze, Parigi e Barcellona sarebbero belle lo stesso.
Scusate la riflessione divagante.
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