Conques: dannati ma… solo per un po’?

Quindici peccatori esemplari, quindici peccati con relative pene: l'”inferno” di Conques, la metà destra del grande portale romanico, dove le anime malvage vengono prese in consegna e torturate dai demoni, è un preciso catalogo delle colpe degli uomini, e del castigo che attende chi le commette ed in esse si perde.

Questa “parte rea” della grande lunetta scolpita è percorsa da un’iscrizione – a cui Before Chartres ha dedicato un altro articolo – che non lascia dubbi. Recita: “HOM[I]NES PERVERSI SIC SVNT IN TARTARA MERSI / PENIS INIVSTI CRVCIANTVR IN IGNIBVS VSTI DEMONAS ATQUE TREMVNT PERPETVOQUE GEMVNT / FVRES MENDACES FALSI CVPIDIQVE RAPACES SIC SVNT DAMPNATI CVNCTI SIMVL ET SCELERATI”. Il catalogo infernale, quindi, ha proprio l’obiettivo di chiarire che “così gli uomini perversi vengono cacciati nel Tartaro /  i rei sono bruciati dalle fiamme e tremano davanti ai demoni e gemono perennemente / ladri, bugiardi, mentitori, avidi, violenti e scellerati così tutti allo stesso modo sono dannati”. Ma così… come?

Un sito web interessantissimo riassume la lettura dello studioso Pierre Seguret – vi si trova tra l’altro una foto ad altissima definizione della lunetta di Sainte-Foy – e ci permette di incontrare ad uno ad uno i quindici peccatori, di riconoscere la loro colpa, e di comprendere la pena che ne consegue.

Una visione complessiva della lunetta scolpita

Il primo ad entrare in campo, in malo modo, è il superbo (1). È il cavaliere che, disarcionato dal suo destriero, quasi fosse appena entrato dalla porta degli inferi, apre il registro inferiore, dei tre in cui si articola il Tartaro: si vantava della propria forza, dall’alto della sua cavalcatura, ed ora i demoni lo costringono a testa in giù, nella polvere. “Come nel Magnificat, il superbo è rovesciato”, sottolinea nel suo commento Seguret, che vede qui anche la volontà dei monaci di Conques, spesso in conflitto con il potere feudale laico, di abbassarne le pretese e l’autorità.

E però anche i religiosi hanno il loro tallone d’Achille. E il secondo peccatore, allora, è proprio il monaco “nicolaita” (2), che non rispetta il celibato e la castità: un cappio strangola il monaco, che è riconoscibile per la tonsura, e la sua concubina nuda; insieme i due si presentano di fronte al grande iroso signore del Tartaro, che poggia i piedi su un altro dannato.

Il “Tartaro”, dove i demoni torturano i dannati, nel lato destro della lunetta di Conques
L’avaro e il bugiardo

Il terzo peccatore, vicinissimo anch’esso a Satana in trono, è l’avaro (3). Penzola dalla forca, a cui lo ha appeso un diavolo, e la borsa di danari, attributo tipico dei questa categoria di peccatori, pesante sul petto, ne accentua lo strazio sulla forca. Poco più in basso si punisce un quarto dannato, il bugiardo, o il calunniatore, o il bestemmiatore (4): comunque un uomo che in vita ha usato le parole per far del male. Lo scultore di Conques lo rappresenta seduto tra le fiamme, con la bocca spalancata e un satanasso che ne estrae a forza la lingua, preparandosi a tagliarla.

Il quinto exemplum del Tartaro di Conques mostra una donna a cavalcioni di un uomo (5): la lussuria, rappresentata nuda, gli sta addosso come un peso e un’ossessione; ha le sembianze di Tisifone, una delle Erinni, per rappresentare il senso di colpa e di rimorso che prende il lussurioso di fronte al suo vizio. L’ultima scena del registro inferiore – siamo al sesto peccato – è comunemente interpretata come la rappresentazione di un goloso (6), messo a cucinare da un demonio dentro un calderone di fiamme; ma qui Siguret si discosta: secondo lui in questa scena “un démon plonge une femme au ventre plein dans le chaudron diabolique où infuse une concoction d’herbes abortives”, e nel profondo del Tartaro sarebbe quindi punito il gravissimo peccato dell’aborto.

La punizione dei potenti della politica

Saliamo di livello, e in una vasta scena con diversi personaggi troviamo rappresentato il peccato di chi utilizza il potere politico in modo improprio e perverso (7). I monaci di Conques vollero rappresentati qui, innanzitutto, tre superpotenti del tempo. Il primo a sinistra è l’imperatore Enrico V, “che fece prigioniero il Papa del tempo e ottenne l’incoronazione con la forza: vestito solo della corona, morso alla testa da un demone, indica, con lo sguardo volto all’indietro e con un cenno della mano, quel Carlo Magno che sta invece tra i beati, nella parte sinistra del portale, quasi a chiedere perché quello è salvo e lui, invece, è dannato. Segue l’antipapa Gregorio VIII: un demone gli strappa la tiara mentre lo trafigge con una lancia – purtroppo in parte perduta – che gli trapassa il capo dalla bocca alla nuca. E poi di nuovo viene un imperatore: si tratta di Enrico IV, protagonista della lotta per le investiture, scomunicato due volte da Gregorio VII: la gamba stranamente piegata del diavolo che lo tormenta sarebbe una genuflessione “inversa”, compiuta per ricordare, e sbeffeggiare, la falsa sottomissione del sovrano, quando a Canossa chiese perdono al Pontefice, per poi riprendere senza timore le sue trame di supremazia sul potere ecclesiale.

Il mercante disonesto e l’usuraio

Dal potere politico usato male, si passa, con l’ottava e la nona rappresentazione, all’abuso del potere economico. Questo peccato è rappresentato in primo luogo dal mercante di stoffe che sembra venir sedotto da un’orrida diavolessa, simbolo del guadagno ingiusto (8), mentre un altro diavolo srotola il broccato su cui il reo è seduto; il desiderio smodato di ricchezza è poi incarnata dall’usuraio (9), impiccato per i piedi, bastonato dai diavoli e angariato, e costretto a guardare continuamente la borsa di danaro posta, a terra, davanti al suo viso.

Saliamo a registro superiore e cominciamo da destra dove un demonio – e si osservi come questa scena sfrutta al meglio lo spazio triangolare in cui si colloca – tiene per la barba un falsario (oppure, secondo Seguret, un coniatore di danaro vero, comunque condannato come servo di Mammona) e si prepara a fargli bere il metallo fuso del conio (10): il decimo peccato, con relativa pena infernale, è quindi quello dell’abuso del potere del denaro. Più a sinistra – siamo all’undicesima colpa – sono puniti due eretici (11): uno è in piedi davanti ad un demone che brandisce una spada; l’altro è a terra sotto la zampa pesante del satanasso, e la sua testa è morsa da un altro diavolo che da sotto, per giunta, lo pugnala. Entrambi gli eretici tengono tra le mani un libro: la loro colpa è quello di aver indirizzato malamente la propria conoscenza e la propria opera di divulgazione. Più a sinistra ancora, l’ultimo peccato rappresentato in questo registro – il dodicesimo – è la simonia, cioè la compravendita dei sacramenti: un vescovo si inchina fino a terra davanti a Satana (12), con il pastorale rovesciato tra le mani; in alto, tre monaci, tra cui un abate con il lungo bastone del comando, sono presi nella rete del peccato proprio dei religiosi.

La punizione di simoniaci, eretici e falsari

Tre altre scene trovano spazio nei due sottili spazi triangolari tra le cornici con le iscrizioni. In quello a destra, un uomo legato ad un palo è posto sul fuoco quasi come un animale allo spiedo. Bacia un rospo, e a sorreggere il palo ad uno dei capi è un diavolo dalla testa di lepre: questi due elementi portano Seguret a vedere qui la condanna del peccato di sodomia (13). A sinistra un dannato si conficca una spada nella gola, aiutato dal demone che lo sovrasta: il quattordicesimo peccato è quindi quello compiuto dai suicidi (14). Un passo più in là, infine, due diavoli seviziano un monaco, e uno gli stringe una corda al collo e lo trattiene, mentre l’altro gli cava di bocca la lingua con una tenaglia, e gli confisca una cetra: è pieno di monaci, questo Tartaro di Conques, e non poteva mancare anche il peccato, e il castigo, dei monaci “goliardi” (15), quelli che passano la vita a girovagare da un convento all’altro, cantando canti profani, senza più ordine nella loro vita.

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Il portale (foto: Velluto, part.)

Il sito che propone la lettura di Pierre Seguret sul portale di Conques è una vera miniera di informazioni e di suggerimenti interpretativi. L’idea, l’intuizione cardine di Seguret – condivisibile? – è che nella parte destra del portale di Sainte-Foy, quella di cui abbiamo parlato fin qui, sia rappresentato non tanto l’Inferno con le sue pene eterne, ma una sorta di Purgatorio, in cui anche alle anime punite sia consentita, e anzi prefigurata, una via di fuga dalla dannazione eterna: la testi è suggestiva, ed è sostenuta dallo studioso con interessanti e dotte evidenziazioni; cozza però con quella scritta in cui lo stesso scultore del portale afferma che i rei qui puniti “TREMVNT PERPETVOQUE GEMVNT”, frase che invece dà alla pena dei dannati una connotazione definitiva.

Mentre elabora la sua tesi, e proprio nell’intento di avvicinare il portale di Conques al tempo in cui, intorno al Duecento, si definì l’idea concettuale del Purgatorio, Pierre Seguret propone l’ipotesi che il portale di Conques non dati, come vuole la critica tradizionale, alla prima metà del XII secolo, e che invece sia di alcuni decenni più tardo. La tesi è affascinante. Per la sua impostazione, didascalica più ancora che escatologica, la grande lunetta di Sainte-Foy appare effettivamente il frutto di una cultura in parte nuova, certamente diversa, e posteriore, rispetto a quella che ha prodotto i portali di Moissac e di Autun: in questi ultimi predomina un’ansia tutta romanica per la Seconda Venuta; qui a Conques invece l’intento moralistico si fa predominante, e gli uomini, con i loro comportamenti, sembrano assumere il ruolo inedito di artefici del proprio destino e – quasi in una “Divina Commedia” ante litteram – appaiono liberi di scegliere, di errare e di redimersi.

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C’è un libro, un volumetto che è un magico percorso attraverso i dieci portali maggiori del tempo romanico: gli appunti di viaggio di Before Chartres sono ora anche su carta, e li trovi qui: DIECI grandi PORTALI ROMANICI.

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Le storie della Bibbia – da Adamo ed Eva ai profeti, dalle gesta di Sansone al sacrificio di Isacco – hanno ispirato e guidato gli artisti romanici. Before Chartres ne ha descritte molte nei suoi articoli, e oggi ha raccolto le più affascinanti in un volumetto pieno di fede, di sapienza e di stupore, che trovi qui: STORIE della Bibbia NELL’ARTE ROMANICA.

2 pensieri su “Conques: dannati ma… solo per un po’?

  1. Giulio Giuliani ha detto:

    Maurizio Pistone (da Fb):
    Altri hanno identificato in alcuni dei dannati il vescovo-abate Begone e i suoi nipoti, che alcune torbide narrazioni, riportate dal Liber Miraculorum Sancte Fidis, indicano come tiranni che depredarono il monastero.
    Io però sarei assai cauto nell’identificare i dannati con personaggi della storia recente o recentissima. Per quanto riguarda il conflitto fra papi e imperatori, non so quanto questa polemica, che riguardava soprattutto l’Italia, fosse sentita in Francia, soprattutto in un monastero isolato in un’area povera e impervia, lontana dalle grandi vie di comunicazione, tanto che il pellegrinaggio alla reliquia di Santa Fede era particolarmente meritorio proprio per le difficoltà e la pericolosità del viaggio. Avevano già i loro problemi coi poteri locali, i monaci di Conques, tra il sorgere della dinastia capetingia e lo strapotere di alcuni grandi feudatari, in Aquitania come in Normandia; per non parlare di alcuni grandi vescovi ed abati.
    Si sapeva certamente che Enrico IV aveva avuto dei problemi col papa, ma non bastava questo per farne un esempio di malvagità.
    Perché è questo il punto importante riguardo questa e altre rappresentazioni. Il timpano di Conques non è un intervento “politico” nella contemporaneità, una specie di Divina Commedia su pietra; è un “manifesto” didattico e edificante, che sottolinea virtù e vizi con la tecnica dell’exemplum.
    Ora, per le virtù, gli exempla sono bell’e pronti, in abbondanza. Sono tutti i Santi canonici, che per la Chiesa sono importanti soprattutto come modelli a cui il devoto deve sforzare di conformarsi. Sono quindi quasi sempre perfettamente riconoscibili, e immediatamente riconducibili a narrazioni agiografiche largamente note.
    Invece per i dannati è più complicato. A parte Giuda Iscariota e pochi altri, è difficile individuare dei “cattivi” col crisma dell’ufficialità, per lo meno nella storia recente.
    Tenete anche presente che queste rappresentazioni non rientrano nella categoria della “biblia pauperum”, se non altro perché l’apparato figurativo è sempre accompagnato da un testo scritto, che presuppone un pubblico di chierici. Ed anche gli imperatori “cattivi” avevano avuto fior di chierici dalla loro parte. Non era il caso di sbilanciarsi troppo nello schierarsi con questo o con quell’altro.
    Insomma, più che alla storia dell’epoca, dobbiamo guardare alle tecniche della predicazione, alla retorica dell’ammonimento morale. Ai vescovi, agli abati, ai re, ai feudatari, si dice con voce tonante: “Attenzione, anche un vescovo, anche un abate, anche un re, anche un nobile può deviare dalla retta via, e quindi andare all’inferno”, e se qualcuno domanda “scusa, chi, per esempio?” “Intelligenti pauca!”

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  2. Paolo Salvi ha detto:

    Molto interessanti le descrizioni, piuttosto dettagliate anche dal punto di vista iconografico dal sito di Seguret. Quasi tutte condivisibili.
    Non è però francamente condivisibile la concezione così anticipata del Purgatorio, se si pensa che dal punto di vista dottrinario venne definito solo col Concilio di Lione del 1274, quindi comunque molto dopo la realizzazione del portale che è della seconda metà del XII secolo.
    Un post affascinante, un luogo del cuore, davvero unico, tanto che per due volte ho sconfinato dal Cantal per andare a visitarla, una sera del 2020 e nell’agosto scorso nel primo pomeriggio, provando le stesse straordinarie sensazioni.
    Per mia moglie è la più bella chiesa romanica mai vista e non riesco a darle torto.

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