Luce nelle tenebre, il segreto di Paray

Chiesa dalla mole imponente, resa inconfondibile dal nartece turrito che insieme la tronca e la slancia, la basilica di Paray-le-Monial costituisce, per chi si appassiona all’evolvere degli interni del romanico, un punto di arrivo cruciale. E’ noto che questo santuario, dedicato al Sacro Cuore, fu edificato nella prima metà del XII secolo sul modello della terza grande abbaziale di Cluny, pur se con dimensioni minori; distrutta Cluny III, è proprio a Paray-le-Monial che ancor oggi si può comprendere ed ammirare dove abbia portato il lungo percorso evolutivo dell’architettura romanica, almeno del suo “filone” borgognone.

La basilica da nord (foto di JackyDarne)

La lezione di Cluny III, perfettamente imparata, e riportata in proporzione, dal Sacré-Coeur di Paray-le-Monial, prevede un impianto basilicale maestoso, con navate – erano cinque a Cluny, sono tre nel Sacro Cuore – separate da pilastri compositi tutti uguali; e si noti quindi la rinuncia all’alternanza dei sostegni che pure è una delle più notevoli acquisizioni del costruire romanico. Gli archi tra i pilastri, a Paray come a Cluny, sono a sesto acuto. In entrambe le chiese, poi, anche la volta sopra la navata principale è a sesto acuto, con un arco trasverso per ogni campata; di nuovo si può annotare come il rifiuto della copertura a crociere successive sia una scelta tutto sommato conservatrice. Al di sotto della volta, l’alzato è chiaramente tripartito: sopra la fascia delle grandi arcate sostenute dai pilastri, si allineano infatti le arcatelle cieche che fingono un matroneo, e sopra ancora, come terza fascia, si propongono in successione le finestre, ben tre per ogni arcata, che si aprono all’esterno. Un transetto – due nell’immensa Cluny III – incrocia la navata prima dell’area presbiteriale e, secondo il dettato cluniacense, nel suo alzato presenta gli stessi elementi e la stessa partitura che già si incontravano nella navata. L’area presbiteriale, infine, è costituita da un coro, marcato da alte colonne a semicerchio e più su da un vasto catino absidale; a sua volta il presbiterio è abbracciato da un deambulatorio su cui si innestano absidi minori a raggiera.

Ma ancor più che per la strutturazione architettonica, che possiamo definire perfettamente e abilissimamente realizzata sul modello cluniacense, la basilica del Sacro Cuore è un punto di arrivo cruciale del romanico per la sapiente interpretazione del tema della luce. “Al primo contatto – scriveva Raymond Oursel descrivendone l’interno quasi cinquant’anni fa – un’impressione si impone: Paray è prima di tutto luce”. “Ma questa luce – sottolineava ancora Oursel – non è soltanto luce (…). L’architetto non ha voluto soltanto fornire una felice illuminazione ai fruitori del luogo; egli ha voluto veder più lontano e più in alto, e, dietro questa luce, farcene indovinare un’altra, inafferrabile, quella, perché inaccessibile”. Paray è luce, e ancor più Paray è “la Luce”. E il pensiero di Raymond Oursel sulla basilica si riassume bene in questo altro passaggio:

Infine, la luce mistica, tanto vantata, di Paray-le-Monial sgorga da un concatenamento di fonti di illuminazione talmente abile da farsi quasi dimenticare in favore dell’incomparabile atmosfera che esso diffonde. i ritmi a terna delle finestre in alto formano attorno alla navata, ai bracci del transetto e alla campata del coro una ghirlanda continua. Quanto all’illuminazione della zona absidale, di cui la luce del mattino evidenzia tutto il valore, essa sovrappone quattro zone di aperture mirabilmente ripartite…

L’interno dal coro (foto dal sito Monestir.cat, elab.)

L’appassionata descrizione che lo studioso francese fa dell’interno maestoso del Sacro Cuore andrebbe letta e riletta più volte, per comprendere appieno per quali motivi fosse innamorato di questa chiesa e del modo utilizzato dai costruttori per riempirla di luce, “che resta, a parer nostro, uno dei più begli esiti – scrive – della basilica di Paray. E dei più parlanti”. In tutto il tempo romanico, e con mirabile successo nella basilica “conclusiva” di Paray-le-Monial, gli architetti hanno voluto non tanto riempire la loro chiesa di luce – come faranno i costruttori gotici – quanto piuttosto mostrare, dentro la chiesa stessa, come la luce riesca ad imporsi sulle tenebre. Prima dell’esplosione gotica, la luce è utilizzata, secondo Oursel, per rappresentare l’agire stesso, progressivo e illuminante, della Redenzione: “E’ per questo che gli architetti dell’epoca romanica hanno giocato non tanto sulla luce, quanto sulla luminosità. Essi, per imporre questa espressione di Luce trascendente – spiega Oursel proprio parlando dell’interno del Sacro Cuore – hanno opposto questa luce al peso delle ombre”. Descrivendo il magico utilizzo della luce nella basilica borgognona – e concludiamo -, Oursel ammette che non manca molto ancora a quel compiacimento, a quell’eccesso, a quella ricerca ormai più propriamente estetica che sarà tipica del gotico; e però pone un altro punto di differenza tra i due modi, quello romanico e quello gotico, di utilizzare la luce, poiché “il romanico ha immesso la luce unicamente nella navata, mentre il gotico la porterà nel coro. Ed ecco perché Paray è ancora, in ogni suo particolare, opera di contemplativi, sebbene si scorga già come una tentazione sottile di invaghirsi della luce, e non più della Luce…”.

Chi ci ha seguito fino a queste ultime righe, e magari è andato a rileggersi le pagine dell’Oursel, avrà il desiderio – noi l’abbiamo sicuramente – di tornare nella basilica del Sacré-Coeur, e di osservarla di nuovo con gli occhi lucidi e profondi del grande studioso. Purtroppo, una volta entrati nella basilica non ci sarà possibile condividerne le sensazioni: Oursel vedeva infatti, nella vasta navata, “giochi di sole su pietre che già cantano di per sé”; a noi invece il recente restauro e la conseguente ridipintura hanno restituito l’interno della chiesa imbiancato quasi fosse un sala da ballo neoclassica – ed è il motivo per cui abbiamo scelto di non inserire in questo articolo foto recenti -. Purtroppo, se per gustare le meraviglie della luce dentro questo luogo magico occorre riprendere in mano, come abbiamo fatto, un testo di cinquant’anni fa, allo stesso modo ci sono necessarie anche le immagini di quei tempi: trovate allora qui alcune foto “vecchie”, scattate cioè quando ancora le pietre di Paray avevano, per dirla con l’Oursel, “una tonalità calda, tenera a vedersi come quella della terra” e rispondevano, non ancora soffocate dalla vernice bianca, al bacio della luce, e così assecondavano il sapiente costruire degli architetti romanici.

Transetto e presbiterio visti dalla navata (foto: GIRAUD Patrick)

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8 pensieri su “Luce nelle tenebre, il segreto di Paray

  1. Avatar di Sconosciuto Anonimo

    Paray-le-Monial è straordinaria quanto affascinante proprio per il regalarci, come suggerisci, quel modello in scala ridotta ma comunque sublime della perduta capostipite del romanico borgognone, Cluny III.
    Magnifica e compiuta, nonostante restauri un po’ “impertinenti”, ci fa immaginare la meraviglia della chiesa madre, di cui vediamo i maestosi ma limitati resti del solo transetto (parlando dell’alzato).
    L’ho finalmente visitata a Pasqua 2023 guidato dal tuo libro sulla Borgogna romanica e conto di tornarci molto presto.
    Perché una volta sola non basta in luoghi come questo.

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    1. Davvero anch’io vorrei tornare… Non ci si stanca mai di queste meraviglie. Chissà: per l’estate 2026 sto pianificando un viaggio che attraversi la Francia di mezzo dalle Alpi al’Atlantico, da Lione a Poitiers, passando per Perrecy, Autun, Vézelay, la Charité, Fleury, e poi Tavant, Saint-Savin… e tutto quanto si incontrano sul cammino.

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  2. Avatar di Sconosciuto Anonimo

    Ci sono stato l’anno scorso
    … quella imbancatura interna … tutti siete stati molto gentili ma è un intervento scellerato che toglie troppo al “canto delle pietre” che ci attende sempre in luoghi come questo. Mi immagino un qualsiasi turista non particolarmente sensibile o colto sui temi della architettura romanica … quel lavoro da imbianchini è eccezionale nel nascondere la grandezza architettonica del luogo.

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