E’ così fresca e affascinante, direi quasi scenografica, l’abbazia di Sant’Urbano ad Apiro, che raccontandola a modo suo Before Chartres rischia di apparire, più di quanto non abbia già fatto fin qui, pignolo e saccente; e però non ha dubbi: ciò che rende notevole quest’abbazia, più ancora di certi aspetti pittoreschi, è il sistema delle sue coperture, la rete delle sue volte, intricata e appassionante.
Inutile negarlo: Sant’Urbano è magica, e sa farsi vedere nei suoi lati più belli, specie se ci si arriva di sera. Ti accolgono, mentre la raggiungi dal vasto prato, il fianco settentrionale scandito dai contrafforti e poi le absidi, che la moderna illuminazione fa risaltare, così come avranno fatto un tempo i falò accesi intorno al complesso. Di seguito, mentre ci si avvia al cuore del complesso, si fiancheggiano le tre absidi chiare, che il restauro ha restituito quasi fossero nuove, oltre che belle. Sant’Urbano è accogliente: non più regolarmente officiata, è però ottimamente custodita; ed è aperta di giorno e di sera fino a tardi, poiché l’antica abbazia è ora un po’ locanda (per dirla all’antica) e un po’ location, cioè luogo dove si cena, si conversa, si alloggia, si celebrano eventi e matrimoni. Sant’Urbano, ancora, è misteriosa: molti vengono a visitarla, e poi la ricordano, anche per quel fascio di luce che, nel giorno speciale del patrono Urbano, da un oculo sopra l’abside attraversa l’aula e colpisce un luogo preciso, in basso nel muro, dove da tempo immemore è scolpito un cerchio. E anche per chi, come me, non si esalta per un raggio di sole che attraversa la navata – tra l’altro mi sfugge che cos’accada di speciale qui ad Apiro, visto che il punto colpito dal sole non è affatto un elemento significativo – la chiesa di Sant’Urbano è indubbiamente una costruzione scenografica, magica, accogliente e misteriosa.

Anche chi la osserva senza eccessiva pretesa di approfondimento, però, coglie in questa chiesa la complessità delle forme e dei volumi, senza dubbio mutati rispetto alle origini, che risalgono all’XI o forse anche al X secolo. Se il lato settentrionale e la parte orientale, come abbiamo detto, si presentano come tutto sommato integri e liberi, già al lato sud si addossano strutture aggiunte, tanto che su questo versante la navata laterale non è più leggibile dall’esterno. Anche la facciata oggi ha perso la sua fisionomia: i due salienti laterali sono mascherati da altre costruzioni, e quello centrale si erge un po’ come una torre, tanto che al portale di ingresso rispondono, più in alto, due finestre quadrate, di certo non derivanti dalla costruzione originale. E a ben guardare, già dall’esterno tutta la volumetria dell’edificio rivela il particolare gioco di volumi interno: la “torre” di facciata sorge in realtà sopra al piccolo nartece; ad esso segue una prima parte della chiesa più bassa, in corrispondenza delle prime due campate, mentre poi tutta la costruzione diventa improvvisamente più elevata, tanto da ospitare al proprio interno quella strana strutturazione che rende inconfondibile la volumetria di Sant’Urbano.

E’ da un certo punto in poi della navata, infatti, che la chiesa si sdoppia in altezza; e tutta la metà orientale dell’edificio è costituita da una vasta ed articolata cripta al livello inferiore, al di sopra della quale si costituisce una vera e propria chiesa rialzata – riservata ai monaci? -, a tre navate, lunga due sole campate, che sfociano, come quelle dalla cripta sottostante, nelle tre grandi absidi. Questa seconda parte della chiesa, così divisa in due in altezza, è drasticamente separata dal resto della navata: alla parte bassa si accede scendendo una serie di gradini; alla parte alta si arriva salendo una scala in muratura; una parete verticale, forata in alto di due grandi archi e in basso da una porta coperta ad ogiva, rende concreto e forte lo stacco tra le prime due campate e questa doppia zona separata, con cripta e presbiterio sovrapposto.
La strana strutturazione dell’interno di Sant’Urbano – dovuta a interventi più tardi su un edificio basilicale che probabilmente nel tempo romanico aveva un andamento assai più tradizionale – dà luogo ad un ambiente complesso, che potrebbe anche richiamare gli esempi di Saint-Philibert a Tournus e di San Costanzo al Monte. Ed è sorprendente – questa è, secondo me, la vera cifra distintiva dell’abbazia di Apiro – come tutti i vani ricavati dalla complessa suddivisione dell’interno siano coperti in pietra: una volta a crociera copre infatti il nartece; una volta a botte a sesto acuto sorge sopra le due campate iniziali della navata; nelle navatelle tornano volte a crociera; tutta a crociere è coperta la “chiesa alta”: sono addirittura ogivali nelle due campate mediane, e invece ancora a tutto sesto nelle quattro delle navate laterali. Infine voltata in pietra è tutta la cripta, la quale possiede una sua propria originale articolazione, essendo costituita da un vano centrale diviso in tre navate da otto colonne – tanto che solo qui si contano dodici piccole volte a crociera – e da due corridoi indipendenti, uno per lato, anche questi voltati in pietra e a crociera.

Quando il raggio di sole speciale di Sant’Urbano avrà terminato il suo gioco, quindi, e quando la sua magia si sarà affievolita, resta, per chi lo sa vedere, l’altro incantesimo di questa chiesa abbaziale: in essa infatti, pur se a seguito di interventi successivi, ogni pietra contribuisce alla costruzione di un sistema architettonico altamente complesso, solo in apparenza eccentrico, e in realtà dotato di una sorprendente simmetria e di un rigore che si fatica a trovare in altre chiese più note e più celebrate.
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Centocinquantun pagine per raccontare l’Abruzzo, una terra fiera, in cui l’arte romanica è fiorita rigogliosa. Raccolgono e raccontano le grandi chiese e le grandi abbazie isolate, l’arte vivacissima di Ruggero, Roberto e Nicodemo, e i loro splendidi arredi pieni di girali, mostri, animali e piccoli uomini nudi, e ancora i portali e gli architravi, gli amboni e i cibori… Il viaggio nell’Abruzzo romanico, non delude mai, e così non delude il nuovissimo volumetto ITINERARI alla scoperta DEL ROMANICO IN ABRUZZO, che raccoglie gli appunti di viaggio di Before Chartres.
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Sant’Urbano ad Apiro è una perla nella campagna marchigiana. Altre chiese del tempo romanico sono state costruite in posizione forse ancora più piena di fascino: Before Chartres è andato a cercarle, ha scelte dodici più ricche di magia, e le ha raccontate – finalmente anche “in carta” – in un volumetto dedicato proprio a questi affascinanti “nidi d’aquila” dell’arte romanica. Lo trovi qui: DODICI CHIESE isolate del tempo ROMANICO.
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Maurizio Calcani (da Fb):
un edificio singolarmente strutturato, in effetti per certi versi ricorda l’impostazione di San Costanzo al Monte a Dronero (CN)…
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…epperò Maurizio, qui non ci sono coperture in legno… Merito anche dell’intervento posteriore al tempo romanico, ma alla fine hai un edificio particolare: tutto è in pietra, e il dialogo tra gli spazi e le murature, tra i sostegni e le coperture, qui è molto interessante.
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Luigi Russo (da Fb):
Ricordo che non moltissimi anni fa era ancora in una condizione non certo definibile perfetta o di buona conservazione.
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L’abbazia di Sant’Urbano è stata per me una piacevole rivelazione, credo nel 2015, quando ci pernottai con mia moglie e mio figlio più piccolo. Pernottare nei locali adiacenti di un’abbazia romanica era sempre stato un mio sogno.
Adagiata in una valletta stretta tra alte colline, immersa nel verde, appare all’improvviso quasi nel nulla, in un piccolo agglomerato di edifici di origine medievale. Il fianco settentrionale segnato da possenti contrafforti a scarpa e le splendide absidi, dagli archetti smaglianti, esprimono pienamente la sua austera pulcritudine.
La facciata invece, quasi anonima, trasfigurata in una specie di casa-torre, non mostra la bellezza interiore, sorprendente. Si accede da un piccolo portalino squadrato e si scendono alcuni gradini, per accedere alla navata, slanciata e coperta da una rara volta a botte leggermente archiacuta. A metà una netta cesura, con una scaletta stretta in pietra e due aperture, una specie di tramezzo, a dare accesso alla parte superiore, non semplicemente un presbiterio sopraelevato, ma più propriamente una chiesa doppia, il coro dei monaci, coperto a volte a crociera. Sotto di esso una cripta articolata in tre ambienti.
Affascinano immensamente queste parti così pregevolmente articolate e giustapposte.
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Come sempre molto interessante! Grazie!
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