Abita a Rebolledo l’avaro più generoso

Quello dell’uomo avido di danaro, appesantito dalla sua cupidigia fino alla perdizione, è un tema diffuso nella scultura romanica d’Alvernia: l’avaro si mostra con la sua borsa appesa al collo in diversi capitelli di questa regione francese; nelle grandi navate di due delle sue chiese principali, quelle di Orcival ed Ennezat, a questo soggetto peculiare sono dedicati gli unici capitelli figurati; e infine a Clermont-Ferrand, la “capitale”, se ne trova una rappresentazione particolarissima: l’Avarizia ha gli abiti e le armi di un vikingo e combatte contro la Carità, che invece veste come un soldato cristiano.

E così, è un po’ una sorpresa trovare molto lontano dai vulcani d’Alvernia un notevolissimo capitello in cui dell’avaro si narra – e con maestria puntigliosa – la vita sregolata, e la morte fisica e spirituale. Si trova nella cittadina castigliana di Rebolledo de la Torre, questo pezzo pregevole, insieme ad una dozzina di altri capitelli, sotto il portico della chiesa dei Santi Julián e Basilisa, dove ci hanno riportato – siamo pressappoco a metà strada tra Burgos e Leon – le bellissime foto proposte da Javier Gago: nei suoi scatti la vicenda scolpita risulta davvero leggibilissima, nonostante i capitelli di Rebolledo – tutti, non solo questo dell’avaro – paghino un dazio non indifferente, per tanti secoli esposti agli agenti atmosferici.

La chiesa (foto: asturnatura.com)

Due sono le grandi scene in cui si articola la narrazione. La prima è quella classica in cui l’avaro appare, come in tanti altri capitelli, in piedi con la borsa appesa al collo, e calata sul davanti, pesante e zeppa, così che sembra allo stesso tempo gravare sulle spalle e sul ventre, rendendo faticoso ogni movimento. E però qui a Rebolledo accade qualcosa di più. L’avaro, che ha una fisionomia marcatissima, con quei lunghi capelli e la barba e i baffi, più che oppresso dal proprio vizio sembra ancora molto concentrato su di esso. Ha le braccia aperte in posizione di ascolto, e dialoga con coloro che si propongono a tutti gli effetti come i suoi consiglieri: a sinistra un demone con la testa di gallo, o un basilisco; a destra un personaggio togato non più identificabile, ma che non può che essere un compagno di malaffare se alle sue spalle, nel lato successivo del capitello, sta un altro uomo armato di bastone.

L’avaro con i suoi consiglieri di malaffare (foto di Javier Gago)

Anche nel secondo atto della vicenda lo scultore di Rebolledo – si fa in nome di un Juan de Piasca – fa salire in scena numerosi personaggi, e rende tutt’altro che banale la scena, pur vista tante volte, della morte di un reo. C’è l’avaro steso a letto, con la sua barba a ciocche, e la coperta gli avvolge mirabilmente il corpo, che si fa cadavere. C’è l’anima, in forma di piccolo essere umano, che esce dalla bocca del defunto come un fumetto, e cerca di avviarsi verso il cielo, e però viene subito ghermita da un demone velato, in piedi in fondo al letto; quasi volando, la afferra anche un diavolo in forma di leone, simile ai due che sembrano mordere le gambe del giaciglio. Dietro la testa dell’avaro, in pietosa veglia, la bella figura di una donna il cui corpo lunghissimo si distende fino a riempire il lato precedente del capitello, quello in cui stava anche il ribaldo con la clava in mano.

La morte dell’avaro (foto di Javier Gago)

Nella lettura medievale dell’avaro e della sua punizione, il capitello di Rebolledo de la Torre fa un passo in avanti. A colpire l’uomo avido non è più solo il peso del peccato, che lo serra come un macigno qualsiasi cosa faccia, ma c’è anche la morte immediata, che comporta la perdizione dell’anima. Dietro questa stretta associazione tra il vizio e la morte, che qui si rincorrono sulle due facce dello stesso capitello, c’è forse una reminiscenza di un noto brano di Luca, quello in cui, nel capitolo 12, Gesù parla, appunto, della stoltezza dell’avaro:

«La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita».

Questa notte stessa. La morte dell’avaro, e per lui la resa dei conti, non sono rimandate a quel giorno che verrà, alla naturale conclusione della vita: se ti fai prendere dall’avidità, la morte arriva oggi, questa notte stessa, girato l’angolo, sull’altra faccia del capitello, e rende inutili le speculazioni fatte, e quelli che al mattino erano i tuoi consulenti d’affari, all’imbrunire sono già pronti a portarti via l’anima.

Il portico è l’unica parte romanica della chiesa dei Santi Julián e Basilisa, e i suoi capitelli datano, secondo gli studiosi, agli ultimi decenni del XII secolo. E così, sul volgere di un’epoca, mentre in altre regioni la scultura prende forme nuove e nuovi obiettivi, qui a Rebolledo de la Torre il vigore, l’iconografia, la tensione, il desiderio di meravigliare sono ancora del tutto romanici. Intorno al capitello dell’avaro, molti altri pezzi – nell’interessante pagina che il sito asturnatura.com dedica alla chiesa se ne trova un’esauriente documentazione fotografica – hanno la stessa originalità e qualità: si possono ammirare un Sansone dai capelli al vento che, divertito, prende il leone per la mascella, una complessa “pesata delle anime”, centauri e mostri e uccelli affrontati, un drago che morde lo scudo di un gigante, e ancora capitelli scolpiti con figurazioni vegetali che sono di grandissimo brio – lo si dice di molti dei capitelli decorati a sole foglie e rami, quasi per consolarli; ma questi sono bellissimi davvero -. Non ci lasciamo sfuggire, infine, i due cavalieri avversari, quello cristiano col grande scudo e quello moresco con invece ne adopera uno tondo: su splendidi destrieri, si affrontano lancia in resta, cercando di infilzarsi, e riuscendoci pure.

I cavalieri che si affrontano (questa foto e le tre più sopra sono di asturnatura.com)

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5 pensieri su “Abita a Rebolledo l’avaro più generoso

  1. Paolo Salvi ha detto:

    Stupendi davvero questi capitelli del romanico spagnolo che tu ci aiuti a leggere compiutamente con estrema attenzione, così anche grazie all’ottimo corredo fotografico di Javier Gago e del siro asturnatura.com. Le ingiurie del tempo, sono esposti sotto un portico, in fondo non li hanno trasfigurati più di tanto e la conservazione si può dire eccellente (salvo che siano delle copie, il che non sembrerebbe).
    Questi tuoi ed altri post mettono addosso una voglia di viaggiare e, a me personalmente, di varcare finalmente i Pirenei.

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