Il tetramorfo monco di Engolasters

Celebrare l’arcangelo Michele: questo era il pensiero fisso del “maestro di Santa Coloma” mentre rendeva bello, con i suoi colori caldi, il presbiterio di Sant Miquel d’Engolasters. Possiamo anche fare un passo indietro ed immaginarlo nel momento in cui riceve le consegne dai religiosi della piccola chiesetta, su in alto, in una balza dei Pirenei: “Ti preghiamo in primo luogo – potrebbero avergli detto – di affrescare quest’abside, come si conviene, con la seconda venuta del nostro Salvatore. E però ricordati che dobbiamo onorare l’Arcangelo, a cui la nostra modesta chiesa è dedicata”.

La chiesetta di Sant Miquel (foto: Diego Delso)  

San Michele, lo sappiamo, è il santo arcangelo delle terre alte: la tradizione vuole che sia stato lui a guidare le schiere fedeli contro gli angeli ribelli e lo ritrae, così, mentre trafigge il Drago; il tempo medievale segue per tutto il periodo romanico la lettura inaugurata dai Longobardi, che dell’Arcangelo hanno fatto il santo guerriero, padrone delle cime, delle chiese isolate in montagna; così troviamo san Michele nei grandi santuari elevati, da Monte Sant’Angelo sul Gargano a Mont-Saint-Michel in Normandia, dalla Sacra di San Michele all’incredibile Saint-Michel-d’Aiguilhe a Le Puy-en-Velay. E anche qui ad Engolasters il frescante di cui parlavamo si trovava a lavorare in una chiesa di certo piccola, ma con tutte le carte in regola per celebrare l’Arcangelo: Sant Miquel d’Engolasters, infatti stava, e sta, arroccata su in alto, in un pianoro da cui oggi si può ammirare, di sotto, la città di Escaldes, e a seguire Andorra-la-Vella. In fianco alla chiesa, un campanile alto e stretto, proprio come la lancia dell’arcangelo Michele.

L’abside affrescata (le foto dell’affresco sono tratte dal sito museunacional.cat)

E vediamo, allora in che modo il maestro di Santa Coloma sceglie di trasformare in pittura, nell’abside, la duplice richiesta dei committenti. Il suo Cristo in Gloria è giovane, deturpato appena nel volto dai secoli trascorsi, vestito regalmente, di rosso, di blu e d’oro. Nella sinistra regge il libro, con la destra benedice, come si confà al Salvatore che si ripresenta agli uomini alla fine dei tempi. Intorno alla “mandorla” – quel varco che Egli apre nel cielo, quello strappo che separa le nuvole, quasi due parentesi unite fatte d’arcobaleno – gli tributano omaggio, come vuole la tradizione ispirata dalla visione dell’Apocalisse, i quattro Viventi: anche al Cristo in Gloria di Engolasters, quindi, rendono onore i quattro simboli delle forme che abitano la terra: il leone, simbolo degli animali selvatici, il toro che rappresenta gli animali domestici, e poi l’aquila, cioè degli uccelli del cielo, e infine l’uomo; e anche qui, mentre cantano il Salvatore, i quattro Viventi sono già – se ne leggono i nomi – i simboli dei quattro evangelisti: il toro per Luca, il Leone per Marco, l’aquila per Giovanni, l’uomo-angelo per Matteo.

L’Arcangelo Michele

E però l’artista di Engolasters reinterpreta in modo inusuale questa simbologia: in primo luogo mescola due tradizioni, perché il toro e il leone sono entrambi portati in braccio da un angelo, come accade, ad esempio, nell’affresco corrispondente di Tahull, e sono quindi rappresentati in un tondo; ma l’aquila no, l’aquila sta da sola e si staglia in alto a destra in tutta la sua bellezza, fatta angelo anche lei, per via di quelle ali aperte, e angeliche. Ma al momento di rappresentare il simbolo di Matteo, cioè il Vivente con le sembianze umane, il frescante di Sant Miquel gioca la sua carta un po’ magica e un po’ folle: di fronte alla grande aquila non dipinge un uomo, e non dipinge un angelo come fanno molti, ma colloca l’Arcangelo in persona, quel san Michele che tanto desideravano i monaci di Engolasters. Potrebbe sembrare una sovrapposizione di poco conto – san Michele, infatti, è pur sempre un angelo -; ma rappresentando l’Arcangelo con la sua alabarda e nell’atto preciso di trafiggere il Drago, e addirittura scrivendone tanto di nome in fianco alla figura, il maestro di Santa Coloma rifiuta ogni ambiguità: in buona sostanza – ne era consapevole? – pur di dar spazio al principe degli angeli sfratta dalla gloria del Signore il povero evangelista Matteo; e rappresenta in Sant Miquel – se ne rendeva conto? – l’unico Tetramorfo incompleto e monco della storia del romanico.

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La riproduzione in Sant Miquel (foto Angela Llop)

La chiesa di Sant Miquel di Engolasters è la più interessante tra le  chiese medievali dello stato di Andorra, nei Pirenei, che non sono poche. L’affresco dell’abside, datato dagli studiosi al 1160 circa, è uno dei tanti affreschi romanici di queste terre che sono stati “staccati” e trasferiti in un museo – questo è al Museo nazionale di Arte catalana a Barcellona – perché le autorità della regione non consideravano possibile garantirne la tutela in loco. Chi sale a visitare Sant Miquel d’Engolasters, quindi, deve accontentarsi della fedelissima riproduzione collocata nell’abside della chiesetta, e per vedere l’affresco originale occorre andare nel grande museo della capitale catalana, dove si trovano, tra gli altri cicli di affreschi, anche le splendide absidi affrescate di Tahull. Un’anteprima sul Cristo in gloria dipinto ad Engolasters si può avere grazie alle immagini del sito del MNAC, alcune delle quali sono state utilizzate a corredo di questo articolo.

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3 pensieri su “Il tetramorfo monco di Engolasters

  1. Giulio Giuliani ha detto:

    Serena Santi (da Fb):
    Un’altra bellissima abside affrescata con il Cristo in Gloria, dopo quelle di tante altre chiese, Noto che molte sono in Spagna e in Francia, e poche in Italia. Quelle spagnole hanno colori sempre molto cangianti.

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  2. Paolo Salvi ha detto:

    Stavo giusto rimproverandomi per essermi nel lontano 1991 fermato sui Pirenei di fronte al cartello di Andorra invertendo la marcia per continuare il mio viaggio nei Pirenei francesi, nel Rossiglione, perdendomi questo gioiellino romanico ed in fondo mi arriva la solita “stilettata” che mi informa che avrei trovato la solita copia nell’abside della chiesetta di Sant Miquel.
    Aborro questa usanza spagnola, o forse catalana, di depauperare le chiese affrescate dei loro maggiori gioielli. con la scusa indicibile della difficoltà di conservarli in situ.
    Per lo stesso motivo, pur passando molto vicino, non sono andato a Lascaux dove avrei potuto “con immenso gaudio” visitare la copia della più famosa grotta dipinta nella storia dell’Umanità oltre 8000 anni fa.
    Detto questo è un tetramorfo davvero particolare questo che ci descrivi con tanta accuratezza.
    Queste varianti iconografiche sono il sale dell’arte romanica, che dimostrano non certo una pedissequa ripetizione di stilemi e simboli, ma una vivace creatività degli artisti dell’epoca.

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    • Giulio Giuliani ha detto:

      E’ così, dobbiamo rassegnarci. In Catalogna, e più ampiamente in Spagna, gli affreschi originali sono spesso raccolti nei musei. E’ triste sicuramente. Però l’alternativa era… che fossero trasferiti nei musei americani, com’è accaduto agli affreschi di Santa Maria del Mur e di San Baudelio, e ai capitelli di Cuxa… L’aspetto positivo è che visitare il MNAC, o il Museo del Prado, diventa un appuntamento imperdibile per un appassionato del romanico, cosa che non accade spesso in altri Paesi.

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