Vendettero il portale di Uncastillo (quello però che valeva un po’ meno)

È faticoso, eppure va fatto. Scrivere e leggere dei vari episodi di spogliazione e depauperamento del patrimonio romanico lascia l’amaro in bocca; e però chi ama l’arte di questi secoli incontra, in giro per l’Europa, numerose storie di capitelli rubati, di affreschi staccati e trasferiti all’estero, di chiostri e portali e architravi ceduti per pochi soldi; e con queste storie non può non confrontarsi.

Tra le vicende più eclatanti – tra le storie più tristi – c’è quella del portale di San Miguel ad Uncastillo, oggi esposto nel Museum of Fine Arts di Boston, USA. Il degrado conseguente ad un’alienazione impropria coinvolge qui, addirittura, tutta la chiesa: fu il Vescovo di Jaca, nel 1915, a cedere a privati per poche centinaia di pesetas tutto l’edificio. La chiesa era già dismessa e degradata a magazzino, è vero; e però la cessione a terzi comportò la rinuncia ad ogni possibile intervento di salvaguardia. Da lì in poi l’edificio sacro fu frazionato e le sue parti divennero – o furono condannate per sempre a restare – spazi privati per abitazione e deposito. Icona di questa resa sono le due finestre quadrate, con tanto di bucato ad asciugare al sole, che fan bella mostra di sé, una sopra l’altra, al centro del volume ricurvo dell’abside.

La cittadina aragonese di Uncastillo

Nello sconcerto complessivo – l’amministrazione civica di Uncastillo si dissociò da subito, anche se inutilmente, dalla decisione della Curia – fece ancor più scalpore, già al tempo, la sorte che toccò al portale della chiesa, opera di grande valore del XII, eseguita, anche se con minore profusione di arte e di figure, dallo stesso maestro che aveva realizzato il mirabile portale della vicina chiesa di Santa Maria. Quello di San Miguel fu smontato, staccato dal muro pietra per pietra e concio per concio, per essere poi di nuovo venduto al miglior offerente. Finì al museo di Boston, come dicevamo, dove fu rimontato con qualche difficoltà, e dove lo si può ammirare tuttora: nella lunetta, non perfettamente conservata, l’arcangelo Michele disputa con un demone per il possesso di un’anima, e più di sessanta figure di guerrieri, musici ballerine e animali si susseguono nei tre archivolti.

Il portale prima che fosse “strappato” dalla parete della chiesa
La parete con lo “strappo” tamponato

Sulla parete della chiesa di San Martin ad Uncastillo restò, intorno alla porta di ingresso, come una voragine, come la ferita di un colpo di cannone. Appena terminate le operazioni di smantellamento, ci fu anche chi si fece immortalare davanti al tragico vuoto lasciato sul muro; subito dopo però cominciarono ad alzarsi le polemiche e lo sdegno, mai esauritisi.

Sdegno e polemiche che sono sacrosanti: la chiesa di San Miguel non c’è quasi più – solo una porzione è oggi adibita a sala congressi – e l’ingresso, sfregiato, ora è tamponato con un muro piano che lascia intravvedere quanto è successo. E fa strano, dopo aver visto le molte altre meraviglie di Uncastillo, andare anche a guardare una parete nuda: è un po’ come quando si va in cimitero a far visita ad un defunto; e davanti al luogo dello scempio un cartello con una foto – quella in bianco e nero qui sopra – ci ricorda come fosse bello il caro estinto quand’era vivo.

E’ storia nota, peraltro, che nella splendida Spagna molte opere romaniche sono state svendute e trasferite all’estero; e però va detto anche – e qui il discorso si fa delicato – che tante altre, in particolare grandi cicli di affreschi, sono state tolte dal luogo d’origine e ricollocate nei musei, in sostanza deportate dalle stesse autorità locali perché sarebbe stato impossibile conservarle là dov’erano state realizzate. Gli Spagnoli giustamente denunciano il mercimonio delle loro opere d’arte medievali cedute a mercanti e poi ricollocate troppo lontano – gli affreschi di San Baudelio de Berlanga, per fare un esempio, o il chiostro intero di Santa María la Real de Sacramenia -; ma rattrista anche ammirare confinate in una sala di museo spagnolo le absidi affrescate di Tahull e quelle di Ruesta e di Santa Maria del Mur, il ciclo di affreschi di Maderuelo e le opere provenienti da tantissime altre chiese romaniche, che non si trovò il modo di custodire altrimenti. Non si tratta in questi casi di commercio becero, è chiaro; e però ogni opera d’arte perde qualcosa quando viene spostata dal luogo in cui è stata realizzata, anche se non finisce oltreoceano.

Qui e sotto, il portale ricollocato nella sala museale a Boston

Osservare con attenzione il portale che un tempo faceva bella la chiesa di San Miguel ci permette un ragionamento e uno sguardo, anche se da molto lontano, su un altro tipo di contratto e di “mercato”, quelli che si svolgevano nei secoli romanici, e che stavano alla base della commissione di un’opera. Copia “in tono minore” del portale della vicinissima Santa Maria, scolpita dallo stesso atelier o addirittura dallo stesso autore, il portale di San Miguel ci conferma come sempre più, mano a mano che si avanza verso l’apice del tempo romanico, a scolpire i portali, ma anche i capitelli e gli architravi, sono dei veri e propri professionisti dell’arte. Qui in Aragona abbiamo già visto che il “maestro di Aguero”, con la sua squadra, si dà da fare e lavora in monasteri e città differenti; lo stesso fecero il Cabestany in giro per l’Europa, Niccolò nel nord Italia e in Abruzzo Ruggero, Roberto e Nicodemo; e ad Uncastillo vediamo bene come il maestro che a Santa Maria ha creato un capolavoro assoluto, poi, si sia impegnato un po’ meno per la chiesa di San Miguel; e ciò dipende – è lecito pensarlo ed è normale che sia successo – da una affidamento meno danaroso da parte del secondo committente.

Molti artisti e atelier romanici, insomma, lavorarono come vere e propri maestri d’opera, più o meno itineranti, al servizio di chi era in grado di pagare la loro arte. Ci furono sicuramente artisti di genio che passarono una vita a scolpire nella stessa città e nella stessa chiesa – è il caso, per quel che ne sappiamo, di Gisleberto ad Autun e dello scultore di Vézelay, per fare due esempi – e però questo rapporto esclusivo fu probabilmente raro, e lo divenne via via sempre più col passare dei decenni. Ed è altrettanto raro, e poco probabile, che opere di buon livello del periodo romanico siano state realizzate, come qualcuno a volte ipotizza, da un monaco del monastero che si improvvisò pittore o scultore. A ciascuno il suo, anche allora: i religiosi commissionavano e suggerivano, ma ad eseguire le opere furono maestri la cui prima dote era l’abilità nell’uso del pennello, dello stucco e dello scalpello, e si spostavano eseguendo commissioni ed incarichi a pagamento, anche se avevano certamente la sensibilità personale e l’afflato religioso che non potevano mancare ad un cristiano del periodo romanico.

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9 pensieri su “Vendettero il portale di Uncastillo (quello però che valeva un po’ meno)

    1. Silvio Silvetti (da Fb):

      Purtroppo, anche l’Italia ha casi del genere. Ad esempio i reperti Longobardi di due necropoli (Castel Trosino e Nocera Umbra) che sono a Roma, e mai restituiti a Ascoli Piceno e Perugia. I Longobardi a Roma non ci sono mai stati, se non per assediarla. Vendetta? No! Solamente per avere più funzionari di elevato grado che si occupano di questi reperti… a Roma, lontani da qualsiasi controllo.

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  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Come già sai è un tema questo delle opere sottratte ai Paesi originari o anche solo tolte e ricollocate in musei per una “protezione migliore” che da architetto conservatore mi smuove tutti i precordi e rischia (?) di farmi sbottare in anatemi degni di un dio dell’Olimpo.
    Chiunque ne sia responsabile, in questo caso addirittura la Curia, è un atto vile e degno di vergogna eterna, la demolizione o l’espoliazione di parti pregevoli che sono patrimonio di una comunità. “Ecclesia” è etimologicamente l’assemblea della comunità e non può nemmeno la curia sostituirsi ad essa, come fatto a Uncastillo in San Miguel, depredando in eterno la comunità stessa.
    Per me ognuno di questi atti è una pugnalata nel cuore.
    E così trovo deprecabile l’uso spagnolo di sottrarre a chiese ben conservate le opere pittoriche, come gli affreschi absidali Taüll. Perché si possono benissimo creare sistemi di conservazione in situ efficaci e che non arrivano a decontestualizzare l’opera, che è stata eseguita per un sito specifico, in modo specifico, tanto che altrove la realizzazione sarebbe stato assolutamente differente.
    Ma anche se fa male, molto male, bisogna parlarne con dovizia di particolari perché altri scempi futuri siano evitati.

    P.S. Quando vai al MNAC di Barcellona quale emozione provi a vedere tanti affreschi insieme ad altre opere simili decontestualizzate rispetto all’emozione che proveresti a vederlo nella chiesa originaria, nella posizione originaria, pensata dall’artista e committente quasi mille anni fa’?!
    Per me incomparabilmente meno, molto molto meno.

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    1. Che dire? C’è il furto, ed è una cosa grave; c’è la compravendita, e spesso è indegna. Poi c’è la musealizzazione forzata a fini conservativi: se n’è abusato? era inevitabile? fa tendenza? Comunque, come dici tu, rattrista.

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  2. Clotilde Giurleo (da Fb):

    Al Metropolitan ho visto lo splendido portale originale di una piccola chiesa vicino Terni di cui ora non ricordo il nome. Ricordo di essere rimasta basita perché conoscevo la copia (che credevo fosse originale perché non c’è alcun cartello che indichi che è un falso, o almeno io non l’ho visto).

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