Il giorno in cui il diacono Lorenzo spedì il sacro graal ai sui parenti

Sotto la “lonja chica“, la loggia che protegge l’ingresso laterale della cattedrale di Jaca, sta – un po’ come un pesce fuor d’acqua – un bel capitello dedicato agli ultimi giorni di san Lorenzo. Lo circondano gli splendidi pezzi del “maestro di Jaca”, che brillano per eleganza e ispirazione classica, e che un po’ lo isolano… perché in questo capitello inatteso, invece, ritroviamo i personaggi paffuti del “maestro di Doña Sancha”, che fa ben altra arte, ingenua, quasi puerile, dove i corpi si muovono con passi lenti e ondulati, in gesti che a volte riescono, e altre invece lasciano perplessi.

Però qui, nelle quattro facce del capitello, si raccontano i giorni cruciali della vita di san Lorenzo, che scorrono come in una commedia in quattro atti, preludio a quel martirio sul fuoco che molte e molte volte sarà rappresentato, poi, dagli artisti di ogni secolo. E così anche questo capitello merita di essere osservato con grandissima attenzione.

Qui e nella foto sotto, il dialogo tra Sisto II, a sinistra, e Lorenzo

Nella prima scena, Lorenzo dialoga con Papa Sisto II, a cui è legato da un’amicizia figliale: il Pontefice sta per essere condotto al patibolo – siamo nel III secolo, e l’imperatore Valeriano si accanisce contro tutti i cristiani – e Lorenzo, uno dei diaconi della Chiesa di Roma, vicino al Papa dai tempi in cui entrambi vivevano in Spagna, chiede e pretende di partecipare dello stesso martirio. Dolcemente, Sisto II rassicura il giovane amico, gli annuncia che a brevissimo anche lui verrà ucciso per la fede, e lo incarica di distribuire, nel poco tempo che resta, i beni della Chiesa romana ai poveri, perché non cadano nelle mani dei persecutori. A raccontare questo dialogo è sant’Ambrogio, che scrive così nel suo De Officiis:

San Lorenzo (…) vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò a piangere non perché quello era condotto a morire, ma perché egli doveva sopravvivergli. Comincia dunque a dirgli a gran voce: “Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti, o santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offrivi mai il sacrificio senza ministro. (…) Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue dei Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri?” (…) Allora Sisto gli rispose: “Non ti lascio, non ti abbandono, o figlio; ma ti sono riservate prove più difficili. A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d’una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai”.

…e da qui in poi gli artisti useranno rappresentare la mano di Papa Sisto con tre dita aperte, in atto benedicente, ma anche a ricordare i tre giorni concessi e promessi al diacono e alla sua ultima missione.

La seconda faccia del capitello

Nella scena successive, il maestro di Doña Sancha ritrae Lorenzo mentre consegna a due personaggi più piccoli e umili un dono, forse appunto parte del tesoro destinato ai poveri, secondo il compito ricevuto. La scena successiva mostra il diacono già fatto prigioniero da un soldato imperiale, che lo conduce al cospetto di Valeriano in persona: l’imperatore, con la testa coronata, si sposta goffamente, e sembra quasi allarmarsi di fronte alla santità di Lorenzo, e subito con un gesto della sinistra lo consegna ai torturatori. Nella quarta ed ultima scena, la scultura del nostro maestro trova finalmente un bel gioco di movimenti contrapposti: bella, e moderna, è la raffigurazione delle prime sevizie a cui il giovane cristiano viene sottoposto, da uno sgherro che lo fustiga: verrà poi – e sorprende un po’ che nel capitello non lo si mostri – il famoso supplizio della graticola, da cui, com’è arcinoto, il buon Lorenzo schernirà i suoi carnefici: “Sono cotto: girami e mangiate”.

Qui in Spagna, però, non dimenticano che Lorenzo è figlio di questa terra, che nacque e crebbe in Aragona, e che proprio qui conobbe Sisto II, greco di nascita, quando il futuro pontefice era ancora uno stimato docente alla scuola di Saragozza. Al santo diacono gli spagnoli sono quindi legatissimi da sempre, e intorno alla sua figura costruirono in passato molte ulteriori leggende, una delle quali lega san Lorenzo addirittura al “sacro graal”. Si narrava, infatti, che il calice dell’Ultima Cena avesse seguito Pietro da Gerusalemme a Roma, e che con quel calice il primo papa, ma anche tutti i ventidue successivi, fino appunto a Sisto II, fossero soliti celebrare l’Eucarestia; si pensava quindi che molte e molte volte il calice antico era stato affidato a Lorenzo, “partecipe della celebrazione dei sacri misteri”, durante le sante messe celebrate dal “suo” papa. E la santa coppa, in quei giorni difficili, sicuramente faceva parte del tesoro della Chiesa romana che non doveva finire preda di Valeriano.

La “consegna” del sacro graal?

E così, dicono gli spagnoli, Lorenzo distribuì certamente tutto ai poveri, secondo la volontà di Papa Sisto; ma prima affidò il prezioso calice a certi suoi discepoli e famigli, che lo portarono di nascosto in Spagna, dove poi nei secoli fu conteso, dimenticato, esposto alle folle, custodito, adorato, sottratto alle brame dei vandali, degli ariani, e poi nascosto con cura nei tempi senza fede della dominazione araba.

Stando agli studiosi di qui, allora, la seconda faccia del capitello della lonja chica non rappresenta Lorenzo che distribuisce i beni ai poveri, ma piuttosto ci mostra il giovane diacono mentre affida il sacro calice, nascosto sotto un velo, a chi lo ricondurrà molto lontano da Roma, al di là delle Alpi e dei Pirenei. E se gli spagnoli hanno ragione, se a passar di mano in questa scena è proprio il graal, allora il nostro capitello, oltre a raccontare la fine del viaggio terreno di Sisto e Lorenzo, ci mostra anche l’inizio di un altro viaggio, quello cioè della mitica reliquia in terra ispanica: è proprio per il gesto compiuto da Lorenzo e rappresentato nel nostro capitello, che la sacra coppa lascerà il Laterano, giungerà in Aragona, e da lì, secondo racconti intrecciati e in contrasto tra loro, viaggerà per mezza Spagna, dove se lo contenderanno Huesca, e San Juan de la Peña, e la stessa Jaca, e Saragozza, e Valencia… È difficile stabilire con certezza dove si trovi ora il calice più prezioso: ma a noi piace immaginare che sia ancora là, nascosto sotto un velo, tra le mani di Lorenzo, nel capitello solitario della splendida loggia di Jaca.

La “lonja chica“, ingresso laterale della cattedrale di Jaca, con il capitello di Sisto II e Lorenzo

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Un pensiero su “Il giorno in cui il diacono Lorenzo spedì il sacro graal ai sui parenti

  1. Paolo Salvi

    Mirabile capitello istoriato che narra le vicende meno note di San Lorenzo sulle sue quattro facce. Scultura di buona fattura, non tanto ingenua come in altri capitelli dallo stile popolaresco e quasi fumettistico.
    Lo tengo nel mirino e ti ringrazio per questa sapiente descrizione che mi consentirà di guardarlo meno superficialmente o, peggio, passare senza degnarlo della dovuta attenzione.

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