Bossòst, scalpello arcaico o incerto?

Scuro come la notte, e anzi oscuro, e sconcertante. Il piccolo portale della chiesa di Bossòst, sui Pirenei spagnoli, scolpito in pietra che sembra ghisa, è come quelle visioni che non comprendi appieno, come un sogno non concluso e non risolto, che confonde le idee invece di illuminare.

La lunetta in una foto, bellissima, di Javier Gago

Davanti al linguaggio balbettante di questa lunetta, ci si chiede se le evidenti difficoltà, non risolte, sono dovute più ad uno scalpello “arcaico” e barbaro, o all’imperizia della mano che lo impugnò. A cominciare dal soggetto: perché lo scultore di Bossòst volle rappresentare qui, con buona probabilità, il Cristo in Gloria circondato dai quattro simboli dei Viventi, secondo lo schema diffusissimo nel tempo romanico. E però il suo lavoro è stato così incerto che ha dato adito ad un’altra interpretazione: tra gli studiosi, così, qualcuno ritiene che la figura al centro sia quella della Vergine che ascende al cielo, soggetto non certo fuori luogo in una chiesa dedicata all’Assunzione (o “alla purificazione”) di Maria. E’ ambiguo, infatti, e imberbe, il volto del personaggio centrale; e quella mano destra alzata potrebbe essere sì la mano del Giudice che esprime la sua sentenza – di nuovo secondo la più diffusa delle iconografie -, ma anche quella della Madre che indica il cielo, proprio mentre al cielo viene assunta. Non aiuta la parte bassa del corpo di questo personaggio centrale: la figura quasi non ha forma, e la veste la copre, sommariamente disegnata; e forse siede, questo Salvatore, su un trono; o forse invece quei tondi sono, più che la rappresentazione dei braccioli del seggio, il tentativo di disegnare le ginocchia aperte alla moda del Cristo di Autun; il dubbio – è un Cristo giudice o una Vergine portata in cielo? – non si risolve.

Il portale in una foto d’epoca

Presentano limiti e incertezze anche tutti e quattro i Viventi che circondano il personaggio principale. L’angelo alla destra occupa uno spazio inatteso: non vola nel suo quarto di cielo, ma anzi poggia i suoi piedi sul bordo inferiore della lunetta; e così facendo, da una parte relega in un angolo il vicino leone alato, e dall’altra addirittura sposta la stessa figura centrale – sia essa il Salvatore o la Madonna – dall’asse centrale della rappresentazione. Più corretto ed equilibrato il rapporto tra l’aquila e il toro, a sinistra: la prima e rappresentata in modo inconsueto ed è simile, alla fine, più ad un pavone, anche se è graficamente ben inquadrata, con un tratto che verrebbe da definire insieme primitivo e moderno; il povero toro, invece, sembra non trovare un senso a se stesso, al proprio corpo e alle proprie ali, e somiglia ad un alce più che ad un bovino. A destra, infine, il piccolo leone, vive, senza dubbio; è però lo fa con la vitalità di un gatto; ed è dotato di una sola grande ala, che peraltro è incompiuta. E quest’ala abbozzata e lasciata là forse è il segnale ad un momento di sconforto dello scultore: lo possiamo anche immaginare, sconsolato, in piedi a guardare la propria opera, quasi incapace di riprendere il lavoro e di completarlo.

Stupisce anche la strana difformità – certo, rispetto a quanto sopra è cosa da poco – con cui è realizzata, nell’architrave, la riga alta del rilievo a scacchiera: dovunque, anche negli archivolti interno ed esterno, i fori quadrati si alternano a pieni. Ma in questa riga no: qui a sinistra stanno un cerchio, un quadrato e strane righe verticali e orizzontali alternate; a destra invece si susseguono strani fori circolari e poliformi.

Arcaico e barbaro, oppure limitato? Era un visionario, lo scultore che realizzò questo portale, o millantò credito presso i monaci di Santa Maria e in realtà la sua mano non era all’altezza del compito? Da una parte va detto che il risultato finale possiede un grande coraggio e una grande forza: primitivo, allora, vorremmo definire lo scultore di Bossòst, e moderno proprio per la sua carica incosciente, che si riverbera nel mostro delirante tratteggiato poco sotto, sul capitello che a sinistra regge l’architrave. Per contro, ci porta a pensare ad un artigiano privo dei mezzi necessari proprio il “chrismon” che sta al centro dell’architrave: qui, tra i raggi della ruota cristologica, l'”alfa” e l'”omega” sono collocati in posizione invertita – l’errore è ripetuto nel portale opposto della stessa chiesa – e questa inversione è il segno di un’assai debole consapevolezza, da parte del “maestro” di Bossòst, delle sillabe basilari del linguaggio simbolico. L’opera è del tempo romanico, concludono quindi i più, anche se incerta e periferica rispetto ai percorsi dell’arte di livello.

L’incontro con questo portale costringe ad allargare lo sguardo da questo villaggio, dalla Valle d’Aran, verso tutta l’Europa cristiana medievale: mentre qui, nel XII secolo, un’aquila è poco più che un pollo, e il toro ha le zampe da disegno animato e le corna di un cervide, negli stessi anni, altre opere – si pensi solo all’Isaia scolpito a Souillac e al Geremia del portale di Moissac – volano sulle ali del romanico ai suoi massimi livelli artistici. E però i magnifici portali del romanico compiuto – quelli di Moissac, appunto, e di Autun, e di Montceaux – sono vicini, nello spirito e nel cuore, a questo strano “tetramorfo” di Bossòst e a questo Cristo goffo, molto più di quanto non lo siano rispetto alle prime statue-colonna dell’arte gotica. Vuote di coraggio, queste, e perfette nell’estetica; che ormai però ha preso il sopravvento sul significato.

La chiesa nel villaggio, e dietro i Pirenei (© Foto Val d’Aran)

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5 pensieri su “Bossòst, scalpello arcaico o incerto?

  1. Bariom ha detto:

    Personalmente propenderei con una discreta certezza per il Cristo più che per Maria, appoggiandomi semplicemente alla posizione della mano rivolta verso l’alto.

    Per quanto piuttosto arcaica la realizzazione, a memoria non ricordo una postura della mano di Maria che, pur indicando il Cielo (più facilmente indica il Figlio) non sia semplicemente aperta più in atteggiamento di preghiera, raramente con postura decisamente alta.

    Postura e indice – il solo indice – decisamente rivolti in alto sono tipici nelle rappresentazioni di Angeli (così come nella lunetta in questione).

    Le due dita verso l’alto con il pollice che le segue, è invece il simbolo della Trinità che appartiene alla postura della mano del Cristo e la ritroviamo a conferma di ciò, anche in tutte le rappresentazioni di Gesù Bambino..

    Quanto allo “scalpello incerto”, quest’opera pare quasi una “prova”, un abbozzo, fatto senza un disegno o un riferimento di preparazione ben preciso, ma sono tutte supposizioni 😉

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  2. Paolo Salvi ha detto:

    Io trovo questa lunetta di una forza e rudezza estremamente naturale ed affascinante, molto più che certi portali raffinatamente precisi.
    Mi ricorda il disegno quasi naïve dei capitelli di Codiponte nella Lunigiana, che rivedrai domani in IAM postati dal nostro caro Magister.
    Un disegno quasi infantile e per questo puro nella sua sensibilità, nelle sue figure del tetramorfo e dell’Angelo, anche decisamente fuori scala.
    Il gesto con le due dita levate al cielo della figura centrale mi pare chiaramente indicare il Cristo benedicente.

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  3. Giulio Giuliani ha detto:

    Alessio Avanzini (da Fb):
    Da semplice appassionato mi verrebbe da pensare al Cristo in gloria. La mano a mio parere è indicativa del parlare, come indica anche l’angelo a destra in maniera iterativa. Le gambe sono allargate. La barba, assente, è certo strana per il periodo storico a cui si fa risalire.

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