Le absidi francesi ‘a pie’ di Chienti’

Per quella sua particolarissima conformazione interna, per quella navata che, nella parte conclusiva, è tagliata in due in altezza così da ottenere, parlando in modo improprio, una chiesa superiore ed una inferiore, viene spontaneo avvicinare la basilica della Santissima Annunziata di Montecosaro a due altre chiese, l’abbaziale di Cruas, in terra di Francia, e la cattedrale di Roda de Isabena, in Aragona: anche in questi altri due esempi abbiamo, per dire così, uno sdoppiamento della parte presbiteriale in due piani entrambi aperti verso la navata. E però la chiesa marchigiana di Montecosaro, nota anche come Santa Maria “a pie’ di Chienti”, ha poco a che spartire con Cruas e Roda de Isabena, in Italia è in realtà più affine ad un altro gruppo di chiese, e il suo modello più diretto fu, probabilmente, la bellissima chiesa abbaziale di Sant’Antimo, nel Senese.

La navata e, al termine, la suddivisione in due piani. Sotto, la “chiesa inferiore”

Diciamo prima perché il parallelo con le due chiese spesso citate come simili è in realtà improprio: semplicemente, perché in questi due edifici la particolare suddivisione della parte orientale della navata è coeva alla costruzione, ed è quindi una scelta e una realizzazione del cantiere romanico; al contrario, a Montecosaro la basilica fu modificata con questo intervento, così caratteristico, solo alla fine del XIV secolo, o forse ancora più avanti ancora. Secondo alcuni studiosi, la creazione della specie di soppalco che raddoppia il presbiterio, e rende la chiesa dell’Annunziata forse unica in Italia, è dovuta alla necessità di rafforzare una struttura che, troppo esile, correva il rischio di crollare; secondo altri l’intervento ebbe la finalità di realizzare una “chiesa sospesa” riservata ai monaci dell’abbazia per le loro liturgie, separata dalla chiesa inferiore che poteva, nel frattempo, restare aperta ai comuni fedeli. Comunque sia, questo intervento strutturale, che pure crea un ambiente molto suggestivo sia nella navata sia nel presbiterio soprelevato, ha ben poco di romanico.

Se anche Before Chartres si appassiona a questa grande chiesa marchigiana è, allora, per un’altra sua caratteristica, e cioè per quella serie di particolari soluzioni che la accomunano a Sant’Antimo, e attraverso Sant’Antimo all’architettura borgogna a e cluniacense.

La parte absidale all’esterno e, nella foto sotto, l’interno del deambulatorio

È innanzitutto la parte absidale, qui a Montecosaro, a parlare francese: la terminazione orientale con il deambulatorio e le absidiole innestate, infatti, è tipica della Borgogna, sull’esempio della ciclopica (e scomparsa) abbaziale di Cluny III, e della vicina Alvernia, dove questa terminazione ad absidi fiorite è il tratto più saliente delle chiese maggiori. Pochissime chiese italiane del tempo romanico – solo quattro oltre a Montecosaro – adottano questa stessa soluzione, diffusissima invece, come detto, nel romanico d’Oltralpe: sono le cattedrali di Aversa e di Acerenza, la nuova e mai terminata abbaziale di Venosa, e infine, appunto, la basilica di Sant’Antimo. Basilica, quest’ultima, che addirittura potrebbe essere il modello diretto dell’Annunziata se, come pare, tra l’edificazione delle due chiese possono esserci dieci o vent’anni.

Realizzata certamente con materiali ben più pregiati, a partire dalle preziose colonne, con i loro capitelli, che delimitano le navate, Sant’Antimo ha, rispetto alla nostra chiesa “a pie’ di Chienti”, un’altra purezza costruttiva. E però le somiglianze sono tante: abbiamo visto che a Montecosaro si ripropone il deambulatorio absidato che la stessa Sant’Antimo ha “imparato” dalle suggestioni francesi; ma poi è simile anche il resto della pianta, basilicale, con tre navate, la centrale coperta a capriate e le laterali con piccole volte a crociera sormontate dai matronei; simile è lo slancio verticale del costruito, e simile è anche la collocazione della torre – a Montecosaro ne resta solo l’imposta – sul fianco della chiesa, all’altezza della terminazione della parte longitudinale. Simile è anche il numero delle campate lungo le navate, che sono nove a Sant’Antimo e invece sono dieci a Montecosaro, ma solo perché un intervento tardo, quando si tirò su l’attuale facciata – “opera trascuratissima del secolo XVII o XVIII”, secondo il Romani – trasformò il nartece o portico romanico in una prima campata, portando a dieci il numero complessivo.

Possente e però per certi aspetti stanca, impegnata a seguire le più nobili tradizioni architettoniche ma povera nei materiali, e forse anche nella capacità realizzativa dei suoi costruttori, pesantemente modificata in due parti essenziali, cioè la facciata e il presbiterio, Santa Maria “a pie’ di Chienti” si può visitare, per quanto detto, in due modi diversi, o comunque tenendo conto di questa sua duplice peculiarità. La si può ammirare così com’è, come il frutto del susseguirsi di interventi che hanno dato luogo, alla fine, ad una struttura caratteristica e ad un interno comunque interessante e in grado di colpire; oppure si può provare a spogliarla proprio di queste aggiunte posteriori che la rendono famosa, per immaginare come doveva essere quando, nel XII secolo iniziato da poco, committenti e architetti marchigiani trovarono il coraggio di costruire alla moda di Francia, e di imitare l’irraggiungibile modello di Sant’Antimo, con semplici mattoni in cotto e con la perizia, certamente minore, di cui erano dotati.

Una bella veduta della chiesa (foto: Fini Mauro, the-marche-experience.com)

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Il fiume Chienti scende dall’Appennino giù verso l’Adriatico, lambisce Macerata e sfocia in mare poco sotto Civitanova Marche. Nella sua valle, oltre alla chiesa dell’Annunziata a Montecosaro, si possono visitare tre altri significative realizzazioni dell’architettura medievale: l’abbazia di Chiaravalle di Fiastra, esempio classico di insediamento monastico cistercense, la chiesa di San Claudio al Chienti, particolarissima struttura a pianta centrale costruita su due piani separati, e infine, isolata quasi verso la foce, molto restaurata e però interessante per la storia e la struttura, la chiesa di Santa Croce al Chienti, o “all’Ete morto”. Le Marche presentano ancora notevoli edifici religiosi romanici: citiamo per tutte la chiesetta di Portonovo, in riva al mare poco a sud di Ancona, San Ciriaco e Santa Maria della Piazza nel capoluogo, le chiese di San Leo, l’abbazia di Sant’Urbano ad Apiro, San Vittore alle Chiuse e San Giusto a San Maroto.

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12 pensieri su “Le absidi francesi ‘a pie’ di Chienti’

  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Splendido il Chienti con le sue chiese romaniche assai originali di Santa Maria e San Claudio.
    Particolare la terminazione absidale con deambulatorio e cappelle radiali, così raro in Italia ed invece frequente nelle maggiori costruzioni, abbaziali e non, in Borgogna ed Alvernia.
    Sarebbe interessante sapere se le maestranze conoscessero le chiese d’oltralpe o fossero entrate in contatto con il modello francese solo tramite Sant’Antimo in terra senese.

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  2. Patrizia Onofri (da Fb):
    Molto bella, l’ho visitata (non sempre è aperta), poi ho continuato nella zona con l’abbazia di San Claudio, altro gioiello fino all’Abbazia di Fiastra.
    Consiglio di andare, anche perché il territorio marchigiano è spettacolare.

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  3. Paolo Tramannoni (da Fb):
    Paolo Tramannoni
    Testo molto fine, molto bello, molto illuminante (come sempre). Santa Maria me la sono goduta diverse epoche fa, quando per un festival di musica antica (Il canto delle pietre) organizzato congiuntamente da Lombardia e Marche i tecnici dello Sferisterio la illuminarono a dovere, sottolineando quelle zone di penombra che oggi sarebbe vietate. Credo di aver vissuto all’interno di un tangibile sogno.
    A Santa Croce si entrava di nascosto quando era un rudere abbandonato, non troppi anni fa. Incredibile la caducità dei capolavori, a volte salvati in extremis.
    San Giusto a San Maroto è sempre nella valle del Chienti. Segnalo anche la costellazione di Maddalene bramantesche alla testa del fiume (a Muccia, Montecavallo, Macereto di Visso). Non più, naturalmente, medievali, ma particolarmente interessanti per vedere come gli architetti gotici si stavano trasformando, sull’impulso della rivoluzione imposta dai nuovi modi, in rinascimentali.
    Proseguendo per il ramo del fiume che procede verso Foligno, si incontra quel che rimane di Plestia, che è invece un balzo indietro nei secoli. Se è aperto (cosa rara) il vicino museo è illuminante sulla locale civiltà preromana.

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