Profondo dev’essere il rispetto per la basilica milanese di Sant’Ambrogio: questa chiesa notevolissima, contemporaneamente antica di secoli e profondamente innovativa, costituisce per il romanico italiano un prototipo imprescindibile. E però le sue volte narrano insieme di un azzardo e di un’incertezza. Osarono, i costruttori di questa chiesa, di progettarla vasta secondo il modello antico; e si sfidarono, da veri innovatori, a coprirla in pietra. A metà del guado, mancò loro il coraggio pieno, e si frenarono, e il compromesso che raggiunsero ci regalò una chiesa che è antica, e insieme è nuova, e allo stesso tempo è diversa – volgarmente: più bassa – rispetto a tutte le altre che vennero prima e a quelle che saranno costruite in seguito.
Guardiamo quindi, in questa pagina, allo spazio interno di Sant’Ambrogio, resistendo alla tentazione di commentare nel complesso una basilica che – per la pianta inconfondibile in cui alla chiesa risponde il quadriportico, per gli esterni tutti mattone e pietra, per le sculture e gli arredi che la decorano in ogni dove… – è strepitosa in ogni suo aspetto. Restiamo, invece, nella navata e nel suo spazio: come si forma, che ragioni ha quest’interno notissimo e così particolare? da dove viene questa navata maestosa e insolitamente “schiacciata” per effetto, dicevamo, di un azzardo e di un passo indietro?
L’azzardo fu quello di voler mantenere, costruendo la basilica romanica, le dimensioni della Sant’Ambrogio paleocristiana, edificata alla fine del IV secolo per dare degna sepoltura alle spoglie del primo Vescovo di Milano. Era una basilica di dimensioni considerevoli, con tre navate, la centrale delimitata da due file di 13 colonne ciascuna. La chiesa dell’XI secolo, che poi è quella che vediamo oggi, nasce rispettando quella pianta; così fedelmente che, come la preesistente basilica paleocristiana, la Sant’Ambrogio medievale non ha un transetto, ed è cosa rara per un edificio romanico di queste dimensioni e di questa maturità.
Ma il vincolo che più ci interessa, tra quelli imposti dalla chiesa antica a quella nuova, è appunto quello dell’ampiezza della navata centrale. Lo spiega bene Sandro Chierici nel volume Lombardia dell'”Italia Romanica”, quando dice che a determinare il particolare interno di Sant’Ambrogio fu la preesistenza “di un edificio paleocristiano di cui si vollero conservare le dimensioni planimetriche. La navata centrale risulta così molto larga, e l’idea dei costruttori di coprirla con volte a crociera dovette tradursi in una prova tecnica di proporzioni impensabili”. Fin qui l’azzardo, dunque. E il passo indietro quale fu?
Quando si trovarono con i sostegni della navata centrale già eretti e possenti, e con i matronei già costruiti sopra le navate laterali, ai costruttori lombardi mancò il coraggio di salire più in alto, e di impostare le ampissime crociere là dove il romanico stava imparando a farlo, e cioè al di sopra del livello dei matronei. Per prudenza, fecero invece partire i costoloni, quelli che attraversano in alto la navata incrociandosi e reggendo la volta, molti metri più in basso. Il confronto con quanto avviene nella chiesa di San Michele a Pavia mostra la scelta “timida” degli architetti di Sant’Ambrogio. Nella chiesa pavese – e lo stesso avverrà in futuro nelle tipiche chiese romaniche – la parete della navata sale piana e indisturbata nella zona dei matronei: sopra le colonne di base e le grandi arcate, quindi, si delinea una fascia di parete verticale, forata appunto dalle aperture dei matronei verso la navata, mentre l’imposta dei costoloni, e quindi l’inizio della curvatura delle volte, sta al di sopra di questa fascia. A Sant’Ambrogio i costoloni delle crociere della navata centrale si impostano invece al livello del pavimento dei matronei, e ne interrompono il fluire sulla parete interna della navata; tanto che ogni singola grande crociera della volta ingloba dentro di sé una porzione di matroneo con le sue due aperture ad arco.

Il risultato è un alzato inconsueto, basso, a cui in sostanza manca una delle parti che comporranno la parete tipica del romanico, cioè quella fascia all’altezza dei matronei che, pur se “forata” dalle aperture verso la navata, è normalmente piana e continua, e spinge più in alto l’inizio della curvatura della volta; e si detemina così, per dirla con il Chierici, “quella spazialità larga e avvolgente che contraddistingue la basilica ambrosiana rispetto ad esempio rispetto alle consorelle fabbriche pavesi del secolo successivo”.
Infine, e non è cosa di poco conto, al “passo indietro” che portò gli architetti ad abbassare così l’imposta delle volte va imputato anche il carattere ombroso dell’interno di Sant’Ambrogio. Così schiacciate verso il basso infatti, le crociere non riescono a diventare come avviene nel romanico compiuto, fonte di luce: se nelle altre chiese – si pensi solo a Vézelay o ad Anzy-le-Duc – esse portano il vantaggio di accogliere, sotto la propria ala, nel semicerchio che disegnano sulla parete, una finestra più o meno ampia che fa entrare luce dall’esterno, qui a Milano quello spazio prezioso è invece occupato, crociera per crociera, da due “finestre buie”, e cioè dalle aperture dei matronei.
La luce nella navata di Sant’Ambrogio, allora, viene quasi tutta dalla facciata, anche questa particolarissima per il suo gioco di pieni e di vuoti, e per i grandi finestroni… Ma questa è un’altra storia, un’altra delle tante che questa splendida basilica sa raccontare.
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Non solo Sant’Ambrogio: nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.
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Splendida Sant’Ambrogio, madre di tante basiliche romaniche, che così argutamente hai descritto cogliendo uno dei suoi tratti caratteristici, nelle volte. Esse ci appaiano ampie e basse e questo proprio come segnali, per il fatto che l’imposta delle crociere è stranamente bassa. Non vedo come l’impianto planimetrico avrebbe potuto tanto condizionare lo sviluppo dell’alzato, non trovo logica l’osservazione. Probabilmente la scelta tecnica e/o formale è di altra natura, ché avrebbero ben potuto prolungare le nervature (semicolonne o pilastri) lungo la parete affiancando le aperture del matroneo. Forse si è scelta una tipologia più raccolta in considerazione che si trattasse del sacello del primo Vescovo di Milano e santo tra i più venerati?
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Io non sono un architetto, Paolo. La tesi di Sandro Chierici è chiara; le volte sono state impostate ad un livello più basso perché questo, su una navata molto larga, consentiva di garantire una tenuta migliore rispetto ad un’imposta al di sopra dei matronei. Secondo me l’ipotesi è plausibile ma, ripeto, non sono un architetto. Quel che conta, per me, è spiegare perché l’interno di Sant’Ambrogio può sembrare strano e “basso” e poco luminoso.
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