Un’Apocalisse dimenticata e fragile sotto le cupoline del Seppannibale

La chiamano “tempietto di Seppannibale”, ed è forse la più piccola tra le chiese che Before Chartres ha visitato. E’ suggestiva come poche altre, pur se antichissima e drasticamente segnata dal passare dei secoli, ed è il punto partenza ideale, anzi il sorprendente preludio, di un viaggio nell’architettura medievale in Puglia: se è vero, infatti, che il percorso del romanico in questa regione ricchissima non può che cominciare da Monte Sant’Angelo, premessa forte alle grandi realizzazioni successive – le chiese di Bari e Molfetta, e Siponto, e Trani, e Troia, per citarne solo alcune -, il tempietto di Seppannibale viene ancor prima, singolare realizzazione dei secoli in cui il romanico cercava ancora se stesso.

Il “tempietto di Seppannibale” nel contesto

Il nome, innanzitutto: poiché siamo in Puglia, a Fasano, non lontanissimi dai luoghi della battaglia di Canne, si potrebbe pensare che l’appellativo con cui è nota la chiesetta abbia qualche attinenza col condottiero cartaginese. E invece l’origine del toponimo è molto più prosaica: la chiesa è stata chiamata “di Seppannibale” per via di uno dei ricchi possidenti locali che fu il padrone del fondo e della vicina masseria, e che di nome faceva Giuseppe Annibale, e di cognome Indelli. La chiesa è indicata anche come “San Pietro Veterano”, e chi usa questo appellativo ci dice qualcosa della sua intitolazione e della sua vetustà; altri ancora la chiamano “San Pietro lo Petraro”, ed evocano l’immagine di una costruzione rude, fatta di blocchi e pietre – qual è appunto il tempietto – diruta purtroppo in parte, priva dell’abside sul lato a oriente, sbrecciata nel minuscolo e però interessantissimo interno.

Quello di Seppannibale è un edificio prezioso, che costituisce addirittura un unicum innanzitutto per l’epoca in cui fu costruito, la fine dell’VIII secolo, e poi perché è un segno raro dell’architettura dei Longobardi in questa terra: dal vicino Ducato di Benevento, infatti, essi cercarono a lungo di estendere la loro egemonia, trovando però prima l’opposizione dei Bizantini, e poi, nel pieno medioevo, quella dei Normanni. Per dirla in altri termini, mentre ancora Carlo Magno aspettava di essere incoronato, e progettava le campagne che l’avrebbero portato anche a sconfiggere i Longobardi “del Nord”, quelli “del Sud”, convertiti al Cristianesimo, costruivano chiese come il nostro San Pietro Veterano, consapevoli che anche questo era un modo per provare ad ampliare e a consolidare il proprio potere.

La pianta

E allora guardiamolo, questo tempietto. E’ in realtà una costruzione rigorosa. Ha una base quadrata, di circa 8 metri per lato; come una vera chiesetta, è coperto da un tetto a due spioventi, che denota un interno diviso in tre navate parallele; la facciata è aperta da un portale senza decorazioni, e forse era preceduta da un portico o da un protiro; un secondo ingresso sta sul lato nord, mentre la parte absidale, ad oriente, che forse si sviluppava come un vero e proprio volume aggiunto e chiuso, dedicato al presbiterio, è purtroppo crollata. Sul culmine della copertura si ergono due piccoli tiburi, allineati lungo la linea longitudinale, ciascuno terminante in un cupolino; e in questo modo il Seppannibale è un esempio precocissimo di quella soluzione di copertura detta “a cupole in asse”, che poi sarà adottata in alcune delle chiese pugliesi anche di grande dimensione, si pensi solo a quella di Valenzano e al Duomo di Molfetta.

Le volte (foto: barinedita.it)

Se all’esterno la chiesa si presenta modesta e spoglia, oltre che in stato di degrado, è l’interno a rivelarsi in tutta la sua bellezza, nonostante lo stato di conservazione assolutamente precario. Due pilastri mediani, uno a destra e uno a sinistra della navata centrale, rispondono ai quattro addossati alle pareti, e con i loro capitelli decorati bastano come punti di appoggio delle coperture: nelle navatelle abbiamo due volte a mezza botte, che spingono quindi verso la navata centrale per sostenere la copertura a due cupole. Dai pilastri centrali alle pareti si slanciano gli archi di sostegno, che separano le tre navate l’una dall’altra, sostengono perpendicolarmente, a metà, le navatelle, e infine passano sopra l’ingresso e sopra quella che era l’attaccatura dell’area presbiteriale ora crollata; e il sistema, di per sé semplice, ha una sua piacevolissima articolazione.

Un particolare degli affreschi. Sotto, uno sguardo verso l’abside distrutta

Gli affreschi, infine: anche se ridotte a lacerti, anche se sopravvivono solo alcune scene, nessuna delle quali completa, a cui di aggiungono alcune figure di santi nelle trombe sotto le cupole, queste pitture testimoniano di una mano antica e abile. Gli studiosi sono certi che il tema centrale dell’intera decorazione fosse la visione apocalittica, e in questo contesto si iscrivono due delle rappresentazioni più suggestive: la prima mostrerebbe l’evangelista Giovanni che cammina su un sentiero irto di pietre; la seconda contrappone un drago multicefalo alla Donna, che tutti identificano con la Vergine; la quale qui è dotata di grandi ali aperte, proprio per sfuggire la mostro antico che, secondo il racconto apocalittico, brama di divorare il Bambino. Una terza scena, la più leggibile anche se incompleta, mostrerebbe l’arcangelo Gabriele che, con indosso una larga tunica, preannuncia a Zaccaria la nascita dell’altro Giovanni, il Battista. Le volte erano completamente decorate, e restano frammenti: uccelli, greche, decorazioni, sfondi.

Maria alata di fronte al drago e, sotto, l’annuncio a Zaccaria

Anche gli affreschi, nel Seppannibale, datano agli ultimi anni dell’VIII secolo; o al più risalgono al primo quarto del IX, cioè a qualche decennio dopo l’edificazione della chiesa: sono quindi contemporanei alle pitture della cripta di Epifanio, a San Vincenzo al Volturno, nel vicino Molise; e possono dirsi parenti, anche se lontani, delle pitture di Castelseprio, queste ancora più difficilmente inquadrabili. Anche le figure amputate e nascoste, e però vigorose, del tempietto pugliese non sono ancora romaniche: appartengono a quel lungo periodo sospeso, ai secoli durante i quali i Longobardi potevano ancora pensare di essere il futuro; brillavano di luce e di colore, le pitture di Seppannibale, nella vera età di mezzo, quella ancora in mezzo al guado tra il millennio dei “Romani” – di Roma e di Bisanzio – e il tempo nuovo, quello dell’Europa che dopo il Mille si impose finalmente come continente, finalmente rifondata e unita e romanica. Tempo nuovo – europeo, e romanico, e pienamente compiuto – che stranamente noi continuiamo a chiamare medioevo.

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Per una lettura molto approfondita del tempietto rimandiamo alle pagine relative del sito brundarte.it di Francesco Guadalupi, da cui abbiamo tratto alcune foto e molte delle preziose informazioni. Il sito barinedita.it – anche da questa pagina abbiamo racconto informazioni e immagini mentre presenta il tempietto, segnala che “l’edificio sacro è stato rilevato (…) dall’Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Conversano-Monopoli, che ora vorrebbe finalmente rendere fruibile questo gioiello a tutti gli amanti dell’arte. Prima, situandosi su un terreno privato, era rimasto chiuso e ‘riservato’ ai pochi componenti della famiglia Calefati, la cui ultima erede, Anna, ha deciso però di donare l’intera area alla Curia”. L’informazione risale al 2017: è davvero auspicabile che il “Seppannibale” oggi, a seguito dell’impegno del nuovo proprietario, possa essere contemporaneamente fruito appieno e conservato con le dovute cautele.

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6 pensieri su “Un’Apocalisse dimenticata e fragile sotto le cupoline del Seppannibale

  1. Anonimo

    Buongiorno, articolo molto interessante, io mi permetto, vedendo le immagini a corredo, di suggerire un referente architettonico molto pertinente e quasi coevo di costruzione, da porre a confronto col “Seppannibale” che forse potrebbe fornire soluzioni e tesi reciproche e chiarificatrici nell’analisi storico/architettonica e simbolica, qui mirabilmente espresse, arricchendole di maggiori spunti e ipotesi. Il referente che propongo é la cosiddetta “Tomba di Rotari” o “Bel San Giovanni” situato a Monte Sant’Angelo, specularmente al Santuario dell’Apparizione, che scoperto e analizzato dal Petrucci nel suo “Le Cattedrali di Puglia, pur se mai “spiegato” davvero, sembrerebbe una più perfetta evoluzione Artistica e Architettonica di quanto espresso ed evidentemente primigenio nel “Seppannibale”. Grazie ancora per l’articolo e per la pazienza di leggere questo suggerimento che mi sento di suggerirLe. Mi faccia sapere.
    Con stima e complimenti per il Suo lavoro, Federico Bartuli
    P.S. Le ho già scritto in risposta sulla Sua mail.

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  2. Luisa Galimberti (da Fb):

    Da togliere il fiato le vostre foto! E sempre questi luoghi mi fanno sentire un senso di appartenenza quasi commovente. E per una che non è tanto “di chiesa” è davvero inspiegabile… ma anche no. Sono le nostre origini, la nostra cultura. E’ così?

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    1. Sono le nostre origini, è la nostra cultura, e dentro di noi, anche in questi tempi moderni c’è una parte dell’animo che sente e cerca cose non quotidiane… Accadeva agli uomini e alle donne del medioevo, Luisa, accade anche a noi, anche se in misura forse minore perché il nostro tempo si ostina ad anestetizzare certi pensieri troppo complicati da gestire.

      Quanto alle foto, Before Chartres a volte sceglie di usare quelle altrui, se le sue non sono all’altezza. E allora, come in questo caso, segnala da dove le ha prese, e ringrazia.

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