Esiste anche una via Emilia “romanica”, una via Emilia delle cattedrali. Il medioevo si è infatti impossessato della grande strada imperiale che, lunga e diritta, corre attraverso tutta la Pianura Padana; l’ha fatta propria, e l’ha restituita ai secoli moderni costellata di grandi chiesa “di città”, che a me, padano di nascita, sembrano tutte in vari modi collegate, quasi come successive stazioni di uno stesso viaggio.
Sette città tratteggiano quindi la via Emilia romanica, ed in ognuna un duomo, una cattedrale, una grande chiesa urbana prende dalla precedente il testimone in questa ideale staffetta. Ed è tutto un gioco di rispondenze e di differenze, un sic et non, per usare la formula che scelse il Panofsky, parlando a modo suo di cattedrali gotiche.
A Pavia, città di torri ma anche di molte chiese urbane, il viaggio lungo la via Emilia romanica comincia in San Michele Maggiore. Che non è la cattedrale – poiché la città ne ebbe una, strana e complessa, ora perduta, e poi se ne diede un’altra tutta nuova nel XV secolo – ma è la più bella, la più nobile, la più autorevole tra le grandi basiliche pavesi. Altre ce n’è, in città, e si potrebbero passare giorni a visitarle; ma in questo itinerario San Michele rappresenta, e lo fa nel miglior modo possibile, tutta Pavia.
E degnamente San Michele Maggiore apre il nostro cammino in sette tappe lungo la via Emilia; non foss’altro per la sua facciata, che è “a capanna”, e propone quindi una tipologia che tornerà, però spesso reinterpretata, nelle altre cattedrali del percorso emiliano: presentano a modo loro facciate “a capanna” le grandi chiese urbane di Piacenza e di Cremona, di Fidenza e di Parma. In alto, quella fila di arcatelle cieche, che sale e poi scende, sarà uno dei motivi ricorrenti da qui fino alla fine del viaggio. E ancora San Michele inaugura la serie delle chiese urbane dal colore bruno; che tornerà anche nelle città successive, ma in alternanza col marmo bianco. Sic et non: rosso e bianco alternati, e facciate “a capanna” ma non proprio, arcatelle in cima e loggette nei fianchi… sono questi alcuni dei diversi fili conduttori del cammino tra le cattedrali sulla via Emilia romanica.
Partiamo, allora. Lasciata Pavia, si passa il grande fiume, e il nostro itinerario danza per un po’ sul confine tra Emilia e Lombardia. A Piacenza visitiamo la cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta e a Santa Giustina: iniziata dopo il terremoto del 1117 e completata nel Duecento avanzato, ha una facciata a capanna, più slanciata di quella pavese, regolare, ben finita, ornata da tre portali e da un grande rosone. In alto, il profilo ripropone il saliscendi delle arcatelle cieche già visto a Pavia. L’interno è vasto, retto da possenti pilastri cilindrici, articolato in tre navate anche nel transetto; domina un senso di maestosa sobrietà, che ben poco concede alla decorazione; tarde le coperture.
Un balzo al di là del confine e, di nuovo in Lombardia, arriviamo a Cremona: anche qui la cattedrale è dedicata all’Assunta – come accade peraltro anche a Parma e a Modena -, e anche qui la facciata, completata nel Medioevo tardo, ha una sorta di forma “a capanna”; ma stavolta è bianca dei marmi che la ricoprono e riccamente ornata con gusto di altri secoli. All’interno, come accadrà a Parma, le forme romaniche quasi sono nascoste dagli affreschi e dalle coperture ben posteriori; la cattedrale, insomma, è frutto della singolare fusione di due filosofie differenti – quella romanica e quella rinascimentale – come lo è di due colori diversi, il bianco dei marmi e il marrone del cotto, i quali si spartiscono anche le forme del battistero ottagonale, che completa la piazza, rivestito solo per metà.
Torniamo sulla riva destra del Po, e torniamo in Emilia e sul corso antico della strada romana, per arrivare a Fidenza. Qui il Duomo di San Donnino guarda indietro verso Pavia, Piacenza e Cremona per la facciata “a capanna”, peraltro anche qui mascherata e reinterpretata; e ma il suo interno annuncia, mescolandole insieme, le due diversissime articolazioni che troveremo a Parma e a Modena. Splendido è il decoro che unisce i tre portali, coi i ricchi ed estesi rilievi di scuola antelamica.
Ed è già ora di incontrare, giù giù lungo il corso disteso e piano della via Emilia, i due colossi del romanico padano. A Parma, nello nello splendido duomo cittadino, ritorna la facciata a capanna nella forma più rigorosa incontrata a Piacenza; di nuovo in alto loggette cieche, che qui conquistano anche il cuore della facciata; e torna anche il bel contrappunto tra la chiesa e il battistero che le sta di fronte, un dialogo già ascoltato a Cremona. L’interno del Duomo di Parma è una sinfonia di colori e di forze, meraviglioso romanico che gli affreschi, opera del rinascimento tardo, addirittura esaltano. Aleggia, nella chiesa e nel battistero, lo spirito già quasi gotico, e comunque geniale, dell’Antelami.
A Modena – finalmente una facciata a quattro salienti! – la cattedrale cittadina suona un concerto che solo in apparenza è tutto romanico: partorita dal compasso sapiente di Lanfranco e dallo scalpello di Wiligelmo, la grande chiesa dedicata all’Assunta e a San Geminiano costituisce una delle realizzazioni più note e più amate del pensiero artistico del XII secolo; ma anche qui – siamo di nuovo a cavallo di confini, fisici o immaginari – a completare l’opera, ben più avanti nel tempo, sarà un altro grande autore, anzi una grande scuola, quella dei Maestri Campionesi, che inaugurano (oppure no?) il tempo già gotico: a loro va ascritto il rosone inserito nella facciata originale – come avvenne a Piacenza, come avvenne a Cremona – e all’interno l’alto e spettacolare pulpito che separa il presbiterio dalla navata, il celebrante dai fedeli.
Si diceva che il corso della via Emilia romanica termina a Ferrara. L’ultima grande cattedrale medievale della Valle Padana è essa stessa un sic et non: la facciata è romanica nella parte bassa, ma è già altro nei livelli superiori; torna la forma a capanna, ma moltiplicata per tre per costituire un fronte davvero particolarissimo. Arcatelle cieche accompagnano, come da copione emiliano, i profili alti; sul lungo fianco corrono loggette che richiamano fortemente quelle il Duomo di Modena. E se l’esterno può dirsi medievale, l’interno è drammaticamente barocco. La chiesa è dedicata a San Giorgio, e il san Giorgio nella lunetta del portale è forse il suo elemento romanico più interessante; dopo i nomi di Lanfranco, di Wiligelmo, dell’Antelami, di Anselmo da Campione, appare ora sulla scena Niccolò, che scolpì la lunetta… e che allo stesso tempo chiude il ciclo della via Emilia romanica, ma annuncia anche il superamento di un altro confine: lo ritroveremo al di là del Po, a Verona, dove la pianura si fa già veneta, e il romanico, incarnato in San Zeno, parla già un altro dialetto.
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Ci sono chiese “di città”, solamente, in questo itinerario sulla via Emilia romanica immaginata e ripercorsa da un padano. Ed è per rispettare questo schema – solo grandi chiese urbane – che non parliamo in questo post di altri grandi siti romanici che pure stanno su questa direttrice: non parliamo di Nonantola, che fu abbazia e non cattedrale; non parliamo di Vigolo Marchese, anch’essa di fondazione monastica e comunque edificata in campagna, al più nei pressi di un villaggio; non parliamo di Castell’Arquato, borgo più che città, e della sua bellissima collegiata; scendendo verso il mare, la via Emilia – quella romana, stavolta – ci avrebbe accompagnato a Brisighella, con la sua pieve vecchia, che però non ha nulla di urbano né di grande; e infine a Forlì dove San Mercuriale è grande chiesa urbana, sì, ma lontana assai dal clima padano e dal fascino delle grandi cattedrali romaniche sorte intorno al Po.
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Non solo la “via Emilia romanica”: nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.
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Gabriele Fratini (da Fb)
Un itinerario straordinario. A Pavia andrò giusto mercoledì prossimo, da Brescia
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Gianluigi Vezoli (da Fb):
Giulio Giuliani, io credevo che tu fossi di Venezia, poi ho visto che sei originario di Pordenone. Ma davvero vi sentite Padani anche lassù ? Pensavo che i veneti ci tenessero a distinguersi dai padani, ma era una mia supposizione, evidentemente errata.
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Nasco padano, Gianluigi, da genitori padani. Sono nato a Pordenone per caso, ma sono cresciuto nella bassa mantovana, in destra Po, e mi sono trasferito a Venezia a diciott’anni.
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Gianluigi Vezoli (da Fb):
Grazie. Giulio Giuliani E di professione sei giornalista, giusto ? Al di là dei contenuti, scrivi molto, molto bene, e Before Charles è una perla nei siti del Romanico mondiale.
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Sono un giornalista, sì. Ed è l’unica cosa corretta che hai scritto nel tuo ultimo commento 🙂 .
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Gianluigi Vezoli (da Fb):
Io so quello che dico, e non sono uno che sbandiera elogi a destra o a manca, anzi sono molto critico. La tua passione per il Romanico è ammirevole ed esemplare, ma soprattutto è l’immedesimazione che vivi con l’arte romanica che permette a noi fruitori di fare uno splendido salto nel passato. Quindi apprezzo la modestia, ma rinnovo i complimenti! 🙂
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Grazie. Soprattutto perché hai colto quello che è il vero obiettivo: condividere una lettura, uno sguardo, una ricerca di senso, più che descrivere. Bene o no, è questo che volevo fare con Before Chartres.
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Fabio Lambri (da Fb):
Bellissimo post. Grazie.
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Milena Vigani (da Fb):
Grazie per queste interessantissime informazioni
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Un itinerario splendido che però non sarebbe del tutto giustificato dalla scelta del leitmotiv della via Emilia.
Pavia è fuori dalla via Aemilia, che notoriamente unisce Rimini a Piacenza. Non è nemmeno sul Po, che è sul Ticino. Idem Cremona, che dista 40 km dalla via Aemilia romana ed è invece sulla via Postumia, che univa Genova ad Aquileia, passando per Placentia.
Certo queste grandi chiese e cattedrali rientrano tutte nel romanico padano ed hanno molto assonanze stilistiche ed architettoniche, pur diverse ognuna dall’altra.
Tutti capolavori architettonici dunque.
Al contrario non comprendo l’esclusione di San Mercuriale di Forlì, pienamente sulla via Aemilia, che pur con le sue particolari differenze e l’essere quasi tutta in cotto, ha certo agganci col romanico padano.
Resta comunque, dopo queste puntigliose osservazioni, la bellezza di un itinerario e del post che lo narra.
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Paolo, sono padano, e per me la via Emilia è dove la terra è terra a perdita d’occhio. A svoltare verso Ferrara quando il mare si avvicina troppo sono io, prima ancora che la via Emilia 🙂 … Di San Mercuriale ho scritto: è molto lontano dalla mia via Emilia, molto molto molto più lontano di Pavia, che dal mio Po dista meno di dieci chilometri.
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Roberto Panchieri (da Fb):
La aspetto sempre a Brescia… ci “gira intorno” spesso senza mai passarci… tra tanto barocco e rinascimento scoprirebbe piccoli e grandi monumenti romanici insospettabili.
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E come no? Brescia tra l’altro è una città bellissima: l’ho rivista nell’autunno scorso e mi ha stupito per la sua eleganza complessiva. Il Duomo vecchio, che volevo rivedere, era chiuso – era una domenica sera – ma… ci arriveremo. Buona serata!
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Roberto Panchieri (da Fb):
Before Chartres, se avremo occasione, la guiderò nella Brescia romanica. Grazie, buona serata, a presto
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Marina Bilotta Membretti (da Fb):
Articolo gradevolissimo e interessante, grazie 🌺
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