L’arte di Bonamico in esilio a Mensano

Mensano è un borgo isolato, di poche case. Sta su un colle, come un castello, come una cittadella chiusa e modestissima. La attraversano due strade, non di più, strette tra le abitazioni; non c’è una piazza, e la pieve sta là, ad un capo di via Ricasoli, e ci sta anche storta, un po’ come può, con l’abside sul vuoto, perché con la chiesa finisce anche lo spazio edificabile, finisce il borgo.

Mensano, la pieve nel borgo

Chissà che cos’ha portato qui a Mensano il maestro Bonamico: chissà come mai, dopo aver lavorato nell’immenso cantiere della cattedrale di Pisa – siamo poco dopo la metà del XII secolo – arrivò fin qui, in questa cittadina arroccata, a dirigere i lavori della chiesa, come pensano alcuni studiosi, o anche solo, come dicono altri, a realizzarne il pulpito ora scomparso e i capitelli della navata. Chissà per quale volgere della sorte lui, che a Pisa, tra cento scultori e operai, aiutò il maestro Biduino, scese infine qui nella campagna di Siena, e qui a Mensano si diede a realizzare le opere che gli potessero portare, se non la fama, per lo meno l’ammirazione e una preghiera: OPUS QUOD VIDETIS BONUS AMICUS MAGISTER FECIT PRO EO ORETIS, recita la lapide posta sul lato dell’altare.

La navata della pieve di Mensano
La lastra nel Museo di Pisa (foto: Sailko)

Tant’è. Se resta qualche dubbio sul ruolo di Bonamico come capomastro architetto della chiesa, è certo invece che i grandi capitelli delle otto massicce colonne della navata sono opera sua, con l’aiuto, al più, dei suoi allievi in quelli più semplici. Lo stile, tardo e classico, è infatti inconfondibile: le teste squadrate come cubi, e gli sguardi nel vuoto; i corpi possenti, scolpiti e atteggiati in modo molto freddo e senza sbavature; le molte superfici lasciate lisce come un sapone sono gli stessi marchi di fabbrica che si ritrovano nella lastra con il Salvatore e i Viventi conservata al Museo di San Matteo a Pisa, anch’essa firmata, con le stesse parole, da Bonamico. E l’insieme dei capitelli, qui a Mensano, è notevole: sono tutti coerenti nelle dimensioni e nella struttura di partenza; e se si escludono i primi due a sinistra, che sono stati scolpiti con semplici motivi geometrici, sono tutti collegati da stilemi e modalità comuni, pur nella continua variazione dei temi; alcuni elementi, come le teste umane o animali negli angoli, i caratteristici draghi attorcigliati, le capre e i bovini, tornano su più capitelli, i quali però sono tutti differenti tra loro. Uno solo sembra narrare una vicenda, organizzata in tre scene: alle classiche teste di leone negli angoli, nelle diverse facce del capitello si susseguono un monaco che cammina aiutandosi con un bastone, poi lo stesso monaco che dialogo con un angelo, e ancora un re in trono che sembra osservare il grande pesce che gli si distende dinnanzi, Si tiene la barba, perplesso, e perplessi lascia gli studiosi che han cercato di trovare un senso a questo racconto, concluso poi sulla quarta faccia – quasi proprio per unire anche questo pezzo agli altri della chiesa – da quel drago con la coda ritorta che si incontra in altri capitelli.

Il capitello con il monaco e il re

E però il più bello, e il più sorprendente, è forse quello che termina la quarta colonna di sinistra. Se osservato distrattamente può apparire simile a quello corrispondente a destra, che è un possente capitello corinzio a grandi foglie; ma nel pezzo di sinistra al centro di ogni faccia, in alto, si inseriscono le testine di un toro, di un muflone e di un cavallo, e infine uno strano fiore quadripartito; e una figura molto particolare sostituisce una – e solo una – delle volute angolari: si tratta di un piccolo uomo con due corpi incurvati che si uniscono in una sola testa, che sbuca in un angolo dal capitello al posto appunto della voluta.

Il capitello con l’omino con due corpi

Anche questo personaggio inatteso, nudo e ingobbito, che si conquista il proprio spazio vitale là dove non doveva essere, si tiene la barba. E anche di fronte a lui ci si chiede a cosa pensasse Bonamico mentre ideava i suoi capitelli, che messaggio avesse in mente, se siamo noi a saper più trovare un filo logico chiaro nel suo lavoro qui a Mensano, o se piuttosto, in questo esilio in periferia, il buon maestro avesse già perso – per l’età o per la nostalgia dei fasti pisani – la voglia e l’urgenza di andare al di là di un semplice divertissment e della orgogliosa riproposizione della propria abilità di scultore.

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Non ci sono questi pezzi notevolissimi nel volumetto sui capitelli romanici che Before Chartres propone, ai suoi lettori più fedeli. Ma ce ne sono altri dodici – anzi, per la verità ce ne sono altri quattordici – che hanno la pretesa di essere altrettanto belli, se non di più. Vedere per credere. Qui: DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI

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6 pensieri su “L’arte di Bonamico in esilio a Mensano

  1. Roberto Gherzi (da Fb):
    Il toro e il caprone del capitello corinzio sono molto molto somiglianti ad alcuni scolpiti da Biduino nel pisano… I due scultori hanno lavorato insieme, e così si spiegano le somiglianze tra i capitelli di Mensano e alcuni di quelli che si trovano in terra di Pisa.

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  2. Paolo Salvi

    Molto interessante questa chiesa e questi capitelli del Bonamico.
    Dovessi andare nel Senese a maggio col gruppo di Itinerari Artistici del Medioevo, come spero, potrei aggiungerla all’itinerario, che comprende la Pieve di San Giovanni di Ponte allo Spino a Sovicille e il chiostro di Santa Mustiola a Torri.

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