Stazione di Guérets, è l’ultima fermata

Ultima fermata, Saint-Jacques-des-Guérets, sotto la croce. Il viaggio ideale attraverso i cicli di affreschi più belli della Francia romanica dovrebbe sempre terminare qui, nella più semplice delle chiese lungo il corso della Loira, e davanti alla sua abside dipinta di smalto, “nettamente segnata già – secondo Raymond Oursel – dalla discreta e pudica umanità gotica”.

Meno di dieci chilometri separano Saint-Jacques dalla cittadina di Montoire, e da quel Cristo bianco che del tempo romanico è una delle più ardite e convinte rappresentazioni; meno di dieci chilometri, quindi, separano Saint-Jacques da quel “pentagono della pittura romanica” che racchiude i grandi cicli dell’epoca: Montoire, appunto, e poi Tavant, Saint-Savin, Brinay, Vic, e cui si aggiunge, al centro del “pentagono”, la cappella di Liget. Ma Saint-Jacques-des-Guérets non sta in questo circuito se non come tappa finale, come capolinea, come luogo in cui il viaggio finisce, o comunque prosegue solo cambiando mezzo e destinazione. Da Guérets in poi, il treno percorre un’altra linea, non più romanica.

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Il muro tondo dell’abside di Saint-Jacques

Non lo si può spiegare meglio di quanto abbia già fatto Oursel: “Ultimi quanto a datazione – tutti i cicli citati, e anche questo, sono del XII secolo -, gli affreschi di Saint-Jacques (…) annunziano da più di un elemento l’avvento del gotico: allentamento e distensione generale delle forme, disegni al naturale nei quali già trapela la mano di un Villard de Honnecourt, realismo di certi profili al limite della caricatura e beffardi come tutte le raccolte di favole di quel tempo…”. E poi… E poi l’azzurro e l’oro e il nero, stesi sulla croce di Cristo, colori d’altro tempo rispetto al romanico, colori araldici, cavallereschi, cortesi; in una parola: colori “gotici”.

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La Crocifissione

E infine, la croce, o meglio: la Crocifissione. Perché quello dipinto sulla grande pala di Saint-Jacques-des-Guérets è proprio il Cristo crocifisso, il Messia appeso al patibolo. Non la Deposizione dolce di tante altre chiese – della lontana Aquileia, delle vicine Vic e Liget, di Monopoli, di Parma, di Monte Sant’Angelo – con cui l’artista romanico quasi rifugge l’idea del supplizio; ma la Crocifissione vera, ben più rara in questo XII secolo, che mille volte invece sarà rappresentata dal Duecento in poi, quando tutto ormai sarà diverso, e diversa sarà anche la religiosità dei più.

Curioso che ad annunciare il tempo delle cattedrali, che saranno immense e in gara tra loro, sia questa chiesa di campagna povera come un giunco. Curioso che il tempo delle altezze sia prefigurato qui a Saint-Jacques, in cappella chiesa fatta di quattro linee, una sola delle quali un po’ ricurva, e di un tetto di legno povero a coprire, senza soluzione di continuità, uno spazio essenziale, che solo affreschi belli come smalti hanno saputo nobilitare.

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Uno sguardo all’aula, al giro dell’abside e alle coperture

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La chiesa nel cimitero

La chiesa di Saint-Jacques abita il piccolo cimitero che la circonda, anonima, e la diresti senz’anima. Vi si accede con libertà, e ci si trova davanti un muro bianco, una pallida fascia di pietra intonacata che solo in fondo alla cappella si piega per disegnare un semicerchio, un’abside senza catino. Su questo semicerchio di fondo campeggiano le due figure più belle del ciclo: a destra della finestra sta il Cristo in Gloria, circondato dai Viventi, che sotto i suoi piedi – strana inversione! – vede scorrere la tavola dell’Ultima Cena; a sinistra è affrescata la Crocifissione, sotto la quale il Maestro di Guérets ha collocato la rappresentazione del risveglio dei morti, richiamati al Giudizio Finale.

Sulle pareti, da entrambi i lati, resti di altri affreschi, coevi e di poco successivi – tra cui un Martirio di san Giacomo, una Resurrezione di Lazzaro, una Natività, una Discesa agli Inferi… – tutti ben poco leggibili, ormai.

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Il Cristo in Gloria e l’Ultima Cena

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L’itinerario attraverso le dodici absidi affrescate più belle del romanico è raccontato, a partire dagli appunti di Before Chartres, in un nuovo bellissimo volumetto: si intitola DODICI meravigliose ABSIDI ROMANICHE, è tutto a colori, ed è un vero e proprio viaggio nelle meraviglie artistiche del tempo medievale.

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7 pensieri su “Stazione di Guérets, è l’ultima fermata

  1. Antonella Bazzoli (da Fb):
    Bellissimo grazie! vorrei far notare alcuni particolari che mi hanno colpita: l’affresco non è stato completato come si vede dal piedistallo su cui poggiano piedi di Cristo, dalla colonna di destra, dalle ali di due delle bestie del tetramorfo, e da altri particolari della figura di Cristo e dell’ultima cena. Inoltre mi colpisce la grandezza della chiave che Pietro tiene in mano, e la posizione accoccolata del Giovanni dormiente in grembo a Gesù

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    1. Non so se si può parlare di “non finito”, Antonella: è vero che le parti che segnali sono quasi “trasparenti”… Chissà, a volte certe tinte sbiadiscono o svaniscono… Giovanni, come da tradizione, appoggia il capo in grembo a Gesù: può essere che io sbagli ma non credo sia per dormire; penso piuttosto ad un segno di affetto e devozione. Verifichiamo.

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  2. Paolo Salvi (da Fb):
    Rappresentazione del Cristo in mandorla estremamente originale, che si discosta notevolmente dai modelli diffusi. Consueto solo il modello con i simboli del tetramorfo, che peraltro sembrano raffigurazioni più caricaturali. Sorprendente!

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  3. Brice Mouliner (da Fb):
    La plupart des noirs à Saint Jacques sont en fait un rouge de plomb, le minium, qui s’est oxydé (auréole de la lune, les bras de la croix de la Crucifixion, le manteau de saint Jacques, le cruciforme de l’auréole du Christ). L’originalité des peintures de Saint jacques est qu’on y trouve aussi bien une terre verte ( manteau du Christ,) du lapislazuli, (robe du Christ), du bleue de cuivre oxydé ( linge du christ de la crucifixion); Alors imaginez toutes ces couleurs dans leurs valeurs originelles et vous aurez un résultat flamboyant

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